martedì 22 settembre 2015

Infinito e Indefinito

La cena si prospetta normale, nessuno dei due predilige la pizza, quindi si comincia con un antipastino freddo di pesce, “poi” - diciamo al cameriere – “si vedrà”. 
È l’ultimo giorno di ottobre e gli altri hanno dato forfait, ci siamo trovati solo in due: Virgilio ed io. 
Si comincia a chiacchierare del più e del meno. I nostri argomenti sono leggeri, quasi frivoli, nessuno di noi due ha preparazione sufficiente per affrontare le questioni kültürali profonde: ascendenze astrali per la corretta interpretazione dell’oroscopo, la prossima edizione del Gi Effe (Grande Fratello), i grandi temi del pacifismo, dell’ambientalismo no global, Zosimo, i profondi pensieri di Celentano, ecc. 
Ci limitiamo a qualche commento alla buona su “San Pietro”, l’ultimo sceneggiato trasmesso dalla Rai, sul diffondersi della cultura della menzogna e del rifiuto sistematico della verità anche di fronte all’evidenza. Io affermo che, pur di non recedere dalle convinzioni ideologiche proprie, o credute per fede partitica, si nega o si fanno affermazioni aberranti. 
Poco prima della fine dell'antipasto, proprio su questa questione della verità e sul significato autentico del termine, riporto, a titolo di esempio, un episodio che mi ha visto coinvolto: discutevo recentemente con un amico circa i numeri primi e gli enigmi ancora irrisolti che li avvolgono: uno fra questi il fatto che siano o meno “infiniti”. Racconto quindi ad Virgilio di come l’amico mi abbia ricordato che esiste più di una dimostrazione matematica che dimostra la loro infinità, e di come io abbia ammesso con franchezza la sua ragione ed il mio torto. 
E qui Virgilio, dopo avermi ascoltato, esprime un concetto inusitato: 
i numeri primi, ma anche i numeri naturali, non sono “infiniti”, sono “indefiniti”. 




Rimango per qualche secondo senza parole, cercando di risalire mentalmente al significato etimologico e sostanziale dei due termini, nonché di cogliere l’essenza del ragionamento che ne deriva. 
Veniamo interrotti dal cameriere, che ci propone altri piatti; io avevo accarezzato l’idea di un fritto di calamari, ma poiché debbo restare lucido, viro su un’innocua mozzarella, rinunciando al vinello frizzante che aveva accompagnato l’antipasto. 
Dunque, penso tra me e me, i numeri non sarebbero infiniti. Riaffiora nella memoria, dai tempi dell’università, la teoria di un fisico nucleare che sostenne la finitezza dei numeri: la logica del ragionamento, in termini assai poveri, era la seguente: i numeri son fatti per contare, per “numerare” appunto. I protoni sono i componenti minimi ed indivisibili della materia. I granelli di polvere e le stelle son fatti di atomi, e il nucleo degli atomi è fatto di protoni. Fatta una stima di tutta materia presente nell’universo, la quantità totale di protoni è un numero composto da circa ottanta cifre. Andare oltre questo numero è solo una finzione logica, perché non vi sarebbe più nulla da “numerare”. 
L’”infinità”, - prosegue dal canto suo Virgilio - è una caratteristica che trascende la capacità umana di comprensione. L’”indefinitezza”, invece, ci conduce ai confini delle dimensioni dello spazio, del tempo e della quantità, poi avvolge la mente in una sorta di nebbia che impedisce di spingere oltre il pensiero. La mente è costretta a fermarsi. 
Non trovo argomenti da opporre. 
E mi ritornano alla memoria i versi immortali di Leopardi:
… Così, tra questa
immensità, s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Autore: Ugolino 



Non solo la facoltà conoscitiva, o quella di amare, ma neanche l’immaginativa è capace dell’infinito o di concepire infinitamente, ma solo dell’indefinito, e di concepire indefinitamente. La qual cosa ci diletta, perché l’anima, non vedendo confini, riceve l’impressione di una specie d’infinità, e confonde l’indefinito coll’infinito, non però comprende né concepisce effettivamente nessuna infinità.

L'ultimo verso leopardiano del post di Ugolino mi ha ricordato queste poche righe dello Zibaldone (del 4 gennaio 1821) che, credo, riflettano perfettamente il pensiero di Leopardi sull’infinito, mettendo in luce appunto la distinzione tra “infinito” e “indefinito”.



"Verso dentro" opera di Tobia Ravà

Ma l'infinito o l'indefinito per un matematico o un fisico? 

Partendo dal presupposto che la differenza sostanziale consiste nel fatto che un oggetto è indefinito quando non è possibile definirne le dimensioni che però sono proprie dell' oggetto in questione e che, al contrario, un oggetto è infinito quando non è possibile definirne le dimensioni perché queste non sono proprie dell'oggetto, si potrebbe rendere più chiara la distinzione con un esempio, considerando una linea e un filo.
Se tracciamo una linea verticale alla lavagna notiamo che avvicinandoci o allontanandoci da essa le dimensioni della linea (valutate relativamente alla nostra posizione) risulteranno scalate proporzionalmente alla nostra distanza dalla lavagna, mentre se ci mettiamo "col naso appiccicato alla lavagna", la lunghezza della linea verticale ci sembrerà infinita.

Sostituendo alla linea un filo ci accorgiamo che, in fisica, quando si parla di filo indefinito significa che stiamo valutando una qualche proprietà del filo ponendoci ad una distanza nulla dal filo, cioè facendo in modo da integrare tale proprietà tra  -oo  e  +oo , cioè consideriamo il filo come se avesse lunghezza infinita, ma visto che un filo infinito non è fisicamente possibile che esista,  implicitamente sappiamo che quel filo per quanto lungo possa essere sarà pur sempre finito. Riassumendo: il filo non lo possiamo considerare infinito perché non è fisicamente possibile che esista ma allo stesso tempo lo possiamo considerare tale a patto di porci a distanza pressocché nulla da esso, dunque questo filo è contemporaneamente finito e infinito, cioè indefinito.   




giovedì 10 settembre 2015

Odio e amore...una dicotomia matematica!

Come si legge in qualunque dizionario, il termine dicotomia deriva dal greco διχοτομία , dichotomìa, composto da δίχα (dìcha, in due parti) e τέμνω (témno, divido) ed è usato prevalentemente in matematica, filosofia e linguistica. 
Per dicotomia si intende dunque la divisione di un'entità in due parti (che costituiscono una diade) che non necessariamente si escludono dualisticamente a vicenda, e che possono essere complementari.
Quindi si può considerare una dicotomia come una partizione in 2 parti. 
Per esempio, se preso un concetto A è possibile dividerlo in due parti B e non-B, allora le due parti formano una dicotomia, dato che nessuna parte di B è contenuta in non-B e che la somma di B e non-B fa esattamente A.
Le dicotomie comunque costituiscono una caratteristica tipica del mondo matematico: dalle dicotomie più "raffinate" quali la famosa dicotomia di Zenone , la dicotomia di Kant (Le verità della matematica sono analitiche o sintetiche?) o quella di Godel (La matematica soggettiva coincide con la matematica oggettiva?), a quelle più "comuni" che vedono i matematici puristi da un lato e pragmatici dall'altro, o forse ancora più "ricorrenti" come l'odio/amore o matofobia/matofilia per la matematica.


Sfondo "La Lettura o Catullo e Clodia", olio su tela di Giulio Aristide Sartorio 

Una di queste dicotomie può essere "Odi et Amo la matematica", parole che sono inequivocabilmente l'inizio del carme 85  del poeta latino Catullo, l'epigramma più noto di tutto il suo Liber.


Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade e sono messo in croce

Anche se il contrasto di sentimenti che l'amore provoca (Ti odio e, contemporaneamente, ti amo) è uno dei tòpoi più comuni nella letteratura mondiale di ogni tempo, in Catullo c'è qualcosa di più perché qui il dramma si acuisce con la triste constatazione che tale difficoltà nasce indipendentemente dalla volontà umana. 
Al Poeta non resta altro che prendere atto della situazione e soffrirne terribilmente: il verbo excrucior, che letteralmente significa "sono messo in croce", rimanda con la sua pronuncia all'idea del dolore lacerante. 

E sembrerebbe nascere indipendentemente dalla volontà umana, l'odio e l'amore per la matematica, che, in alcuni casi, mette proprio in croce il malcapitato di turno.
E così arriviamo a considerare la dicotomia, tutta matematica, matofobia e matofilia.
Il termine matofobia, che deriva dalla fusione delle parole matematica e fobia, sta a significare proprio paura della matematica, ovvero antipatia per la disciplina, anche se in realtà, data la radice greca della parola matematica (μάθημα máthema, ovvero apprendimento), può essere anche intesa in senso più ampio come paura per l'apprendimento.


 Per superare questa matofobia ci vorrebbe un mago

Il matematico sudafricano Seymour Papert  sostiene che tale fobia ha una natura sociale e nasce proprio durante il percorso scolastico. 
I bambini nascono infatti con una grande voglia e capacità di imparare e le difficoltà di apprendimento, in relazione a qualsiasi disciplina, non nascono spontaneamente, ma vengono indotte con l'insegnamento. 
La grande voglia di apprendere, la matofilia si trasforma in matofobia, ovvero il bambino che amava l'apprendimento e la matematica, successivamente riesce a temerle entrambe. 
Il carattere sociale della matofobia è giustificato, secondo Papert, anche da un'altra dicotomia, radicata purtroppo nella maggior parte degli esseri umani, quella tra "persone intelligenti" e "persone stupide" e, di conseguenza, ritenendo erroneamente che la matematica sia una disciplina per pochi eletti, si arriva a pensare che esistano "persone portate per la matematica" e "persone negate per la matematica", come se le abilità matematiche fossero innate. 
Quante volte si sentono affermazioni di disprezzo, di avversione, di odio nei confronti della matematica,  da parte di tutte quelle persone che forse non conservano un buon ricordo della loro vita scolastica proprio in relazione a questa disciplina. 
Si attaccano ai ricordi di insuccessi scolastici legati alla risoluzione di problemi o alle dimostrazioni di teoremi, all'ansia dei compiti in classe di matematica che scatenavano quel senso di limitazione e di impotenza, generando scoramento e avversione per la matematica.
Le ricerche di Papert, e non solo, dimostrano che nella maggior parte dei casi la matofobia nasce nelle aule scolastiche, soprattutto a livello di istruzione primaria. 
In tale contesto operano, spesso, degli educatori che sono essi stessi affetti da matofobia e che, trovandosi costretti a insegnare qualcosa che non amano, trasmettono all'alunno l'avversione per la disciplina.

Come spesso dico a studenti, genitori e colleghi, il vero successo di un insegnante non sta nel riuscire a trasmettere concetti ma riuscire a scatenare l'interesse e l'amore per la matematica.




Non posso dimenticare, alle Medie, la professoressa d'altri tempi già per allora, la "famigerata" e "temutissima" signorina Massarani. 
Sempre rigorosamente con il grembiule nero, arrivava, davanti alla porta ed immediatamente il nostro chiasso fanciullesco si interrompeva e, mentre un'aria gelida sembrava attraversare l'aula, noi in piedi aspettavamo che salisse sulla cattedra, da dove ci scrutava attraverso spesse lenti, quelle stesse che causavano immancabilmente sbagli di riga e di voti, che demoralizzavano e demotivavano alcune mie compagne. 
Parlava a voce bassa, in un silenzio perfetto, e riempiva velocemente la lavagna di numeri, simboli, figure geometriche, sempre con il cancellino nella destra ed il gessetto che strideva nella sinistra, mentre controluce si notavano anche lunghi peli sul mento che ricordavano nonna Abelarda.
Era severissima ma nello stesso tempo le sue lezioni erano coinvolgenti e facevano trasparire il suo amore, direi quasi esclusivo (era infatti "zitella") per le espressioni, le equazioni, i problemi di geometria e la storia dei grandi matematici. 
Parlando ancora adesso con una compagna di allora e amica cara di oggi, Annalia, mi rendo conto come sia stata per molte di noi uno stimolo per amare questa materia, ma nello stesso tempo un ostacolo per molte altre pur essendo riuscita a stimolare in tutte forse quella sottile voglia di trovare una soluzione ai problemi. 
Io amo la matematica, Annalia no, ma la voglia di voler a tutti i costi arrivare a risolvere una situazione, un problema, un gioco, è una caratteristica che ci accomuna e che forse ci ha "inculcato" proprio quella nostra insegnante innamorata della matematica!

Annalia ed io siamo un esempio di matofobia e di matofilia, quindi non può essere solo "colpa" dell'insegnante e per amare o odiare la matematica devono entrare altre componenti. 
Certo esistono insegnanti che non sanno stimolare la curiosità degli alunni, o che non riescono a presentare la matematica con semplicità e giocosità, che non ne esaltono l'aspetto storico e logico, che non tentano soprattutto di evidenziarne le implicazioni con altre discipline come filosofia, storia dell'arte, musica.....e "chi più ne ha più ne metta", perché è solo così che la matematica può, se non proprio essere "amata", almeno non essere "odiata"!
La scarsa preparazione degli insegnanti, o l'"odio" per la matematica da parte di docenti che si trovino ad insegnarla pur non essendo specialisti in materia, non sono certo da sottovalutare e come, sosteneva Alessandro D'Avenia in un articolo apparso tempo fa sul Corriere della Sera "Insegnanti questa scuola non è un'anagrafe", esistono docenti, ma anche in-segnanti che si dimostrano in-docenti o addirittura in-decenti.



Ma quali sono le altre componenti che possono "scatenare" questa matofobia?
Sempre il nostro studioso Seymour Papert, insieme alle già citate componenti che riguardano lo stretto insegnamento e di cui avevo parlato in un precedente articolo "Matematica.....ma quale?" quali appunto:
- Scarsa preparazione degli insegnanti, soprattutto nella scuola primaria
- Odio per la matematica da parte dei docenti che si trovino ad insegnarla pur non essendo  specialisti in materia
- Assenza di situazioni di classe che stimolino la motivazione dei discenti
- Contratto didattico
- Eccessivo uso del formalismo
ne elenca alcune altre:
- Reiterata impotenza nella risoluzione di un problema
- Ansia associata all'eventuale insuccesso
- Convinzione dell'attitudine congenita per la matematica
- Convinzioni sociali circa l'inutilità della matematica
- Netta divisione tra "sapere scientifico" e "sapere umanistico"
- Cattive prassi dei genitori che odiano la disciplina

Sarebbero tutte da valutare con attenzione e forse ce ne sono altre legate anche a fattori davvero congeniti e costituzionali, ma non voglio fare di questo post un trattato e lascio alla curiosità dei lettori "sviscerare" quelle componenti che qui non ho voluto evidenziare.
Componenti che si possono approfondire nel famoso libro di  Seymour Papert  "Mindstorms - Children, Computers, and Powerful Ideas". di cui c'è anche una traduzione in italiano di Anita Vegni "Mindstorm - Bambini, computers e creatività".



Testo di Analisi I (parte seconda) di Giovanni Ricci
Il testo era tratto e copiato direttamente dagli appunti scritti "a mano" dal Maestro

Proprio come in Catullo, questo mio amore per la matematica, a volte, ha convissuto con l'odio o ne è stato addirittura sovrastato!
Ci sono ovviamente stati momenti di sconforto, legati all'incapacità o alla poca volontà di applicarmi a uno studio serio e, a volte, difficoltoso. Uno di questi momenti, in cui forse l'odio ha davvero prevalso, è stato il mio approccio con il teorema sulla copertura di un insieme di Heine-Pincherle-Borel-Lebesgue, che mi costò il primo tentativo di passare l'esame orale di Analisi I, con il mitico "Maestro" Giovanni Ricci (come si nota dall'immagine avevo evidenziato in rosso "no dimostrazione".....che invece ovviamente Ricci pretendeva!). 
Grande Matematico e grande Maestro, Giovanni Ricci ero noto a noi studenti anche per il suo modo di agire bizzarro. Concedeva magari un 18 ma pretendeva il lancio del libretto nella fontana del  Dipartimento di Matematica (quello di via Saldini a Milano) o fissava in aula timide matricole tuonando con la sua voce bassa, cavernosa e un po' impostata (vezzo di famiglia, essendo fratello dell'allora noto attore e regista teatrale Renzo Ricci):
"se non capite queste cose, che capirebbe anche il bigliettaio dell'autòbus (lo accentava sulla o), cambiate...... cambiate subito!"
A me disse "sa che lei è proprio carina? gradirei rivederla alla prossima sessione!", e si ricordò di richiedermi proprio il famigerato teorema che però sapevo alla perfezione perché, forse anche grazie a lui e al suo rigore, il mio odio si era ritrasformato in amore.

A questo mio amore per la matematica hanno certo contribuito tanti fattori, ma mi preme ricordare anche quello che mi diede un grande divulgatore matematico Martin Gardner con la rubrica di giochi matematici che tenne per più di un quarto di secolo in Scientific American, "Mathematical Games" (i Giochi matematici nella traduzione italiana di Le Scienze fino al 1981).
Attraverso i suoi "giochi matematici" mi incuriosì, mi stimolò e soprattutto mi convinse  a impegnarmi profondamente con l'insegnamento di questa disciplina.
Gardner, che ha deliziato e incuriosito sia matematici dilettanti che professionisti, non per niente è stato soprannominato "il miglior amico della matematica mai avuto"!


Martin Gardner sulla statua Alice in Wonderland al Central Park di New York


L’insegnante di matematica di scuola superiore che rimprovera due studenti sorpresi a giocare di nascosto una partita di filetto invece di stare attenti alla lezione, farebbe meglio a fermarsi e chiedersi: 
“Per questi studenti questo gioco è più interessante, dal punto di vista matematico, di ciò che sto loro dicendo?”. In effetti, una discussione in aula sul filetto non sarebbe una cattiva introduzione a diverse branche della matematica moderna.
Martin Gardner,
dall’Introduzione a Enigmi e giochi matematici, Vol. I






venerdì 31 luglio 2015

Belfagor e Annalisa...un dialogo surreale!

Sono in vacanza all'Aprica, un bel passo montano dell'alto valtellinese, e oggi abbiamo deciso di fare un'escursione al Pizzo del Diavolo, 2.924 mt, passando per i suggestivi laghi di Gelt e di Malgina.
Una bella e lunga escursione che dalle cascate di val Caronella ci porta all'omonimo passo a quota 2612 mt, e quindi, su un sentiero che si inerpica, al colletto del Gelt posto a quota 2730 mt. 



Cascate di Val Caronella


Arrivati al Colletto del Gelt, sotto di noi si presenta all’improvviso il lago Gelt (quota 2562 mt) il più alto delle Alpi orobiche e proprio così chiamato perché per la maggior parte dell’anno é ghiacciato. Sia il tratto di salita al Colletto che il tratto di discesa al lago Gelt, pur essendo ripidi, non presentano strapiombi o salti rischiosi e la vista del lago è bellissima con la sua forma a cuore, dentro una conca di pura roccia.


Lago di Gelt

Dopo una fermata al bordo del lago, continuando nella discesa, seguiamo il facile e ben segnato sentiero, e arriviamo al lago Malgina (2339 mt) situato proprio ai piedi del Pizzo del Diavolo della Malgina (2911 mt). 



Lago di Malgina

Da qui abbiamo due possibilità: seguire il sentiero n°310 e raggiungere il rifugio Barbellino in circa 30 minuti o prendere il sentiero che porta al Pizzo del Diavolo in circa un'ora e 30.
E' ormai quasi sera e decidiamo di fermarci al rifugio e proseguire l'indomani per il Pizzo del Diavolo della Malgina. 
Il rifugio Barbellino è un' oasi di pace immersa nella natura. Un luogo di silenzio interrotto solo dal rumore delle candide e fredde acque del fiume Serio.


Arrivo al rifugio Barbellino sul laghetto omonimo

Intorno a un tavolone con una tovaglia a quadrettoni, decidiamo quindi il percorso che ci porterà in vetta, ripassando dal lago Malgina, e stabiliamo la discesa dal lato opposta della salita, seguendo la Val Morta (così denominata per la mancanza di vegetazione e non per tragici eventi) che raggiunge il Rifugio Curò a quota 1903 mt in circa un'oretta e quindi un’altra ora di comodo sentiero per tornare al rifugio Barbellino coprendo i 230 mt di dislivello.
Ci corichiamo nel camerone mansardato e cerchiamo di prendere sonno, stanchissimi per la lunga e impegnativa camminata.




Durante la notte il Pizzo del Diavolo, la valle Morta, il lago Gelt diventano incubi da cui esce una figura, direi spaventosa, che incomincia a parlarmi:



Belfagor raffigurato nel Dictionnaire Infernal 


Ciaoooooooooo, non mi riconosci?

Davvero no!!!! (Rispondo terrorizzata) 

Ma che matematica sei se non riconosci Belfagor?

Anche se la matematica per alcuni è "spaventosa" non vedo proprio come tu, un diavolo sotto tutti gli aspetti, possa c'entrarci con le mie conoscenze matematiche!

Conoscenze matematiche direi un pochino scarse e limitate!

Oh insomma, sei brutto e spaventoso proprio come ti hanno raffigurato nel Dictionnaire Infernal  e per di più odioso e antipatico!

Va bene cercherò di essere meno odioso e proverò ad aiutarti a capire

Ma capire cosa? Che tu sia un diavolo, appunto il diavolo Belfagor, è evidente!

Allora torniamo alle tue scarse competenze matematiche

Ok....spiegami

Spero almeno che tu sappia che esistono i numeri primi!?

Certo sono quei numeri divisibili solo per 1 e per se stessi.....che scoperta! 
Non bisogna essere un matematico per saperlo......lo sanno anche gli alunni delle elementari!

Bene! Alla prima domanda hai risposto esattamente, allora andiamo alla seconda: quali sono i numeri palindromi?

Ma per chi mi prendi, per un' analfabeta? 
Un numero è palindromo quando le sue cifre rappresentano lo stesso valore sia che siano lette da destra che da sinistra.......dimenticavo di dire, visto che continui a dubitare delle mie conoscenze......anche se scritte in una particolare base.
Meglio sottolinearti che non esistono solo i numeri, così come ci sono più noti, in base dieci (con le cifre 0.1.2.3.4.5.6.7.8.9), ma anche in altre basi (sistema a base 2, binario, con solo le cifre 0 e 1, base 3, 4 ecc)

Bene, bene risposta esatta anche se un po' stucchevole e sofistica!!! Non ti permetto di fare del sarcasmo.....è un argomento serio!

E allora? Numeri primi e palindromi cosa c'entrano con Belfagor?

Non avere fretta ci sono altre cose che dovresti sapere prima di svelarti veramente chi sono!

Dimmi sono tutta orecchi!

Ho detto di non essere sarcastica!
Soprattutto adesso che quello che sto per chiederti è legato alla religione e all'occulto. Cosa significano le cifre 666?

Beh come matematica posso solo dirti che è un numero naturale pari composto da tre cifre ripetute (il 6), che segue il 665 e precede il 667, che è composto, abbondante, è un numero di Harshad, di Smith, è triangolare........insomma non posso certo ricordarmi ed elencarti tutte le proprietà numeriche di cui gode!!!??

Ma proprio non capisci!!! Ti ho chiesto il significato religioso, esoterico, occulto.

Vagamente posso ricordare che è detto "numero della Bestia", ma non ricordo altro.

Si propro questo! 
Il 666 è il "numero della Bestia" e appare in un solo passo del Nuovo Testamento, nella Apocalisse di Giovanni, riferito a una bestia che sale dal mare e devasta la terra:
"Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei".

Si.....ma perché tu, Belfagor, vieni associato al 666?

Mi sembra evidente! 
Se nella Bibbia il numero sette è sempre indicato come il numero della perfezione e della natura divina, il numero sei è quindi il numero dell'imperfezione e della natura umana, incline al peccato, alle passioni disordinate e alla disobbedienza alle leggi di Dio.
Se il 666, come dice l'Apocalisse, è un numero ed un nome di uomo, esso indicherebbe sia l'uomo che la sua precisa missione. 
Il numero di uomo potrebbe essere quindi il simbolo di un dualismo 333 x 2 legato all'oscillazione tra bene e male, e alla precisa missione simbolica di una specie di "anti-Trinità" (ripresa altresì nella Apocalisse al capitolo 16). 
In pratica, Bestia-antiCristo-falso Profeta, contrapposti a Padre-Figlio-Spirito Santo.
E quindi il numero 666 è simbolo del male ed è per questo che è strettamente legato a me, Belfagor! 

Ma che tu fossi un diavolo mi è stato chiaro da subito!!! Tanto più che siamo proprio sotto il Pizzo del Diavolo, che posso immaginare sia casa tua??!!!

Vedi che non hai capito proprio niente! 
Io sono Belfagor, il numero primo palindromo 1.000.000.000.000.066.600.000.000.000.001 
E oltre a contenere al mio interno le cifre 666, tipicamente associate al Diavolo o alla Bestia sono caratterizzato da 13 zeri a destra e altrettanti zeri a sinistra del 666, e, come sai, al numero 13 è legato un significato superstizioso di cattivo augurio.

Beh non è poi detto che il 13 sia di cattivo augurio. Per me è un simbolo di fortuna.....e poi sono nata proprio il 13 maggio!

Un'ultima cosa devo svelarti prima che arrivi l'alba e che debba sparire. 
Tu che, insieme al Carnevale della Matematica, parli sempre di π, sai qual'è il mio simbolo?

Non saprei, ma potrei cercare di indovinare. Data la tua mente contorta e capovolta potrebbe essere un π capovolto!!!???

Oh finalmente uno sprazzo di furbizia!
Si proprio così! Il mio simbolo, quindi il simbolo del "numero di Belfagor" è un  π capovolto!

Non poteva che essere una lettera inesistente!

Altro sprazzo di furbizia!
Questo simbolo si trova infatti per la prima volta nel Manoscritto Voynich, un codice illustrato, pare risalente al XV secolo, scritto con un sistema di scrittura che a tutt'oggi non è stato ancora decifrato. 
Il manoscritto contiene anche immagini di piante che non sono identificabili con nessun vegetale attualmente noto e l'idioma usato nel testo non appartiene ad alcun sistema alfabetico/linguistico conosciuto. 
Viene infatti definito "il libro più misterioso del mondo". 

Devo ammettere, Belfagor, che mi sei diventato quasi simpatico e mi sembri meno brutto!!! Saranno le tue doti "matematiche" che ti rendono meno spaventoso!

E tu, Annalisa, sei ora un po' meno ignorante perché hai conosciuto me! E vedrai che troverai altri "numeri famosi"!!!
Ti saluto devo proprio sparire perché le tenebre stanno per lasciar spazio alla luce dell'alba, per me deleteria. Addio!

Ciaooooooooooo!


Numero Belfagor - Numero primo palindromo
 1.000.000.000.000.066.600.000.000.000.001 


Sono ormai le otto del mattino e dopo una bella dormita, e un sogno che sembrava quasi vero, sono pronta per partire alla volta del Pizzo del Diavolo.
Risaliamo al lago della Malgina, imbocchiamo il sentiero segnato con qualche bollino rosso e qualche omino in pietra, quasi tutto su pietraia fino al nevaio e, seguendo quindi la traccia del sentiero che va a destra, ci dirigiamo verso il passo della Malgina. Arrivati in prossimità del passo, la traccia del sentiero piega decisamente a sinistra su un ghiaione che porta proprio sotto la vetta del Pizzo e da qui, per ripide ma facili roccette, raggiungiamo agevolmente la vetta in 20 minuti.



Dal Pizzo del Diavolo: Pizzo Strinato, Passo Grosso di Pila, Cime Caronelle e laghi di Gelt e  Malgina



Dal Pizzo del Diavolo: Monte Gleno, Monte Costone e Pizzo Strinato


Dalla croce del Pizzo del Diavolo: La Presolana e Vigna Soliva 

Beh dalla vetta, a quasi 3000 mt. (2911 mt. per la precisione), con questo cielo limpido, solcato solo da qualche nuvoletta, si gode un panorama indimenticabile. 
Verso sud appare maestoso il Monte Gleno con ai lati il Pizzo Recastello e il Pizzo Strinato, e più in basso il lago della Malgina e il lago Gelt. Ad est si vede il monte Torena, oltre il quale si apre la Valle di Belviso, con a nord le sorgenti del Serio. Ad ovest invece si ha una splendida visuale della Bocchetta dei Camosci e del Pizzo Coca, mentre a nord si apre la Valtellina.

Ma sogno o son desta? 
Ecco il mio "amico" Belfagor che fa capolino proprio in vetta!







Fonti

From Website
https://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale
http://www.voynich.nu/
From the Pictures
Annalisa Santi
Rifugio Barbellino
http://www.rifugiobarbellino.com/index.htm
https://it.wikipedia.org/wiki/Numero_di_Belfagor


sabato 11 luglio 2015

Tartaglia e la "poesia" rubata

Il Carnevale della Matematica di questo mese di luglio è ospitato da Dioniso e ha per tema, come annunciato nel suo Preannunciazò "Matematica e Rinascimento", dove "Rinascimento" è inteso in tutti i suoi significati etimologici e non.
Confesso che in questo mese, tra impegni vari e caldo a volte insopportabile, non ho avuto tempo e voglia di pensare a un post che potesse adattarsi al tema, finché non ho ascoltato una pubblicità (video qui) apparsa recentemente in televisione in cui si accenna a Leonardo Pisano detto il Fibonacci.
In questa pubblicità gli ideatori dimostrano una notevole ignoranza, attribuendo al Fibonacci un fantomatico "codice".......e questo purtroppo porterà ad identificare la figura del grande matematico.
Forse hanno confuso il nome? 
Infatti si chiama Leonardo come il grande Da Vinci di cui è invece noto il famoso Codice.
O forse per loro successione è sinonimo di codice?
Non so dare una risposta spero solo che quando parlerò ai miei alunni degli enormi contributi di Fibonacci, anche alle recenti matematiche dei frattali, non mi rispondano: "ah si, Fibonacci, quello del codice". 



Spirale di Fibonacci - Opera al neon di Mario Merz

Comunque Fibonacci è forse uno dei più grandi matematici di tutti i tempi e, anche se non si sognò mai di stilare un "codice", contribuì, con altri matematici del tempo, alla rinascita delle scienze esatte dopo la decadenza dell'Età Tardo Antica e del Basso Medioevo e stabilì un connubio fra i procedimenti della geometria greca euclidea (gli Elementi) e gli strumenti matematici di calcolo elaborati dalla scienza araba e alessandrina, mettendo le basi proprio per quella speculazione algebrica che caratterizzerà la matematica del Rinascimento. 
Questa associazione tra Fibonacci e il Rinascimento mi è saltata agli occhi ricordando anche la proprietà (già precedentemente vista in un mio articolo) che lega la successione di Fibonacci al triangolo di Tartaglia. 
Dal triangolo di Tartaglia si possono infatti ricavare i numeri di Fibonacci, sommando i numeri delle diagonali (come evidenziato nella figura).



Numeri di Fibonacci ottenuti sommando i due numeri precedenti:
1,1,2,3,5,8,13,21,34,55,..........

E Tartaglia appunto è il matematico rinascimentale autore della poesia del titolo.
Ma andiamo per gradi e introduciamo il Rinascimento e la sua influenza sulla matematica. 

Il Kline assume come limiti del periodo rinascimentale il 1400 ed il 1600 circa. 
Sono paletti approssimativi, tenendo presente il fatto che il termine Rinascimento è usato anche per indicare tendenze diverse nei vari campi del sapere, spesso cronologicamente non coincidenti. 
Comunque sia, nel periodo che va dal 1400 al 1600, l'Europa fu profondamente scossa da un certo numero di eventi che ne alterarono profondamente il polo culturale e le prospettive intellettuali, stimolando anche un'attività matematica su vasta scala e un ritorno di questa alle radici "magiche", e quindi astratte, da cui era partita fin dai tempi dei greci e dei pitagorici.
Nel 1453 cade Costantinopoli in mano ai Turchi e ha termine così l’impero bizantino, si conclude la peste in Europa da cui consegue una rinascita della società, si ha l’invenzione della stampa che renderà disponibile la cultura ad un maggior numero di persone.
Il primo libro viene infatti stampato nel 1447 e già alla fine del 1400 sono disponibili più di 30.000 edizioni di diverse opere.
Inoltre questo periodo è caratterizzato storicamente dall'alternarsi di condizioni politiche "positive" e di governi "democratici" che favoriscono l'affermarsi dell'individuo (si inizia a parlare di Umanesimo), in forte antitesi con l'appiattimento e l'omogenizzazione del Medioevo, durante il quale l'uomo era schiacciato dalla potenza divina e l'individualità era una prospettiva nemmeno considerata.
Probabilmente questi, insieme ad altre concause, sono i motivi che hanno dato, a partire dalla metà del XV secolo, una notevole ripresa degli studi matematici.

In questo breve post non posso certo parlare di tutti gli enormi contributi che i  matematici rinascimentali diedero allo sviluppo di questa disciplina, ma mi vorrei soffermare solo su alcuni contributi algebrici alle soluzioni delle equazioni, e poi in particolare sul contributo "poetico".

A parte i singoli metodi di risoluzione usati dalle varie civiltà, le equazioni algebriche di primo grado venivano risolte fin dall'antichità "per tentativi", e nei greci per via geometrica. Soltanto a partire dagli arabi (IX secolo d.C.) si può iniziare a parlare di risoluzione in senso moderno.
E le equazioni di secondo grado?
Già i matematici babilonesi (intorno al 400 a.C.) e i cinesi utilizzano la tecnica del completamento dei quadrati per risolvere equazioni quadratiche con radici positive ed Euclide descrive un metodo geometrico più astratto intorno al 300 a.C. 
Tuttavia, il matematico cui si attribuisce la formula algebrica generale, che ingloba sia le soluzioni positive sia quelle negative, è l'indiano Brahmagupta (VII sec. d.C.).
Anche prima del sedicesimo secolo i matematici si erano imbattuti in alcune equazioni di grado superiore al secondo, ma si trattava sempre di equazioni particolarmente semplici, e dunque di facile risoluzione, o equazioni riconducibili a quelle di grado due, oppure rappresentabili geometricamente. 
Nessuno prima del sedicesimo secolo aveva dato una formula risolutiva!



Raffaele Bombelli (1526 – 1573) - Algebra - 1560

Non voglio fare certo un trattato e addentrarmi ad analizzare tutti i contributi dei grandi algebristi rinascimentali, mi limiterò a citarne solo alcuni:

Nicolas Chuquet (1445 - 1488) scrive "Triparty en la science des nombres", il primo trattato di aritmetica razionale, radici di numeri e "regle des premiers" ossia la regola dell’incognita (algebra).
Luca Pacioli (1445 – 1514) scrive la "Summa de aritmetica, geometria, proporzioni et proporzionalità" (1494), in cui l’algebra è tratta essenzialmente da testi medievali ed arabi.
Nel 1489 Johannes Widmann (1460 - 1498 circa) a Lipsia pubblica "Rechenung auff allen kauffmanschafft", in cui compaiono per la prima volta i segni + e -.
Nel 1524 Adam Riese (1492 – 1559) scrive "Die Coss", un trattato di algebra in cui dà le basi per sostituire il calcolo con l’abaco e le cifre romane con quelle indo-arabe (ancora oggi "nach Adam Riese" indica in Germania l’accuratezza dei procedimenti aritmetici).
Nicolò Tartaglia (1499 circa – 1557) matematico a cui è legato il noto triangolo numerico, detto triangolo di Tartaglia e la scoperta della risoluzione algebrica delle equazioni di terzo grado. Sua è la prima traduzione dal latino in italiano degli Elementi di Euclide (1543)
Gerolamo Cardano (1501 – 1576) scrive "Ars magna" (1545) che dà la soluzione di equazioni di terzo e quarto grado. Prende il terzo grado da Tartaglia ed il quarto grado da Ferrari.
Lodovico Ferrari (1522 – 1565) matematico italiano che fu il maggiore responsabile della soluzione delle equazioni di quarto grado che Cardano pubblicò.
Raffaele Bombelli (1526 – 1573) scrive Algebra nel 1560 in cui fa un resoconto delle conoscenze dell'epoca (calcolo con potenze e delle equazioni) e prende in esame le radici immaginarie ("quantità silvestri") e i numeri complessi ("più di meno" e "meno di meno" per +i e -i), stabilendone le regole di calcolo (addizione e moltiplicazione). Numeri che più tardi Cartesio chiamerà "numeri immaginari".
Robert Recorde (1510 – 1558) scrive Whetstone of Witt (1557) dove compare per la prima volta il segno =



(Umberto Bottazzini - La "grande arte": l'algebra nel Rinascimento -
a cura di Paolo Rossi, Storia della Scienza Vol.1)

E proprio ricordando Tartaglia e Cardano ho ritrovato quel contributo "poetico" di cui parlavo, vale a dire una delle più celebri poesie della storia della matematica.
E' quella che Niccolò Tartaglia inviò il 9 Aprile 1539 a Gerolamo Cardano per comunicargli la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado. 
Il punto interessante di questa poesia è che è possibile analizzare ogni singolo verso e tradurlo nel linguaggio matematico. 

Quando che ‘l cubo con le cose appresso [x³ + px ]
se agguaglia à qualche numero discreto [= q]
trovan dui altri differenti in esso. [u - v = q]
Dappoi terrai questo per consueto
che’l lor produtto, sempre sia eguale
al terzo cubo delle cose neto. [uv = (p/3)³]
El residuo poi suo generale,
delli lor lati cubi ben sottratti [√u - √v]
varra la tua cosa principale. [= x]
Questi trovati, et non con passi tardi,
nel mille cinquecent’ e quattro e trenta, [1534]
con fondamenti ben sald’ e gagliardi,
nella città del mar’intorno centa. [Venezia]

Tenendo presente dalla "poesia" che: 



ed esprimendo il procedimento in un'unica formula si ottengono le note formule cardaniche:




Tartaglia svelò così a Cardano la famosa formula, dietro la promessa che non ne avrebbe parlato ad alcuno, anche nella speranza di ottenere una qualche introduzione nel mondo accademico milanese, che invece non arrivò.




Cardano, con l'aiuto del suo allievo Ludovico Ferrari, approfondì le formule dell'equazione cubica e la migliorò, trovandone una anche per il caso generale. 
Dato che Tartaglia non si decideva a pubblicare i suoi risultati, qualche anno dopo il Cardano, con l'aiuto di Fiore, scoprì da alcune carte che erano in possesso del genero di Dal Ferro che la formula era stata inventata anche da quest'ultimo. Pertanto si ritenne libero dalla promessa fatta al Tartaglia e si decise a pubblicare i suoi risultati nella "Ars Magna" (1545), suscitando quindi  le ire di Tartaglia.
Nel 1546 infatti Tartaglia pubblicò la sua opera "Quesiti et Inventioni diverse" dove, con parole offensive verso Cardano (chiamandolo "huomo di poco sugo"), denunciava la violazione del giuramento fattogli. 
In conseguenza di ciò il Ferrari, in difesa del suo amico e professore, lanciò il primo cartello di disfida contro Tartaglia, seguito da altri cinque nel giro di due anni, che portarono poi allo scontro da cui Tartaglia ne uscì sconfitto.
Tartaglia fu infatti non solo umiliato e sconfitto, ma poco dopo vide il ritiro del suo incarico di professore.
Solo i posteri ridaranno a Tartaglia parte della paternità dell'invenzione della formula risolutiva dell'equazione cubica, chiamandola formula di Cardano-Tartaglia, riconoscendo così che la "formula", in poesia, era stata rubata! 




Fonti
From book
La formula segreta - Fabio Toscano
http://www.ibs.it/code/9788851801243/toscano-fabio/formula-segreta-tartaglia.html
Storia del pensiero matematico - Morris Kline
http://www.einaudi.it/libri/libro/morris-kline/storia-del-pensiero-matematico-i/978880615417
From webside
https://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale