lunedì 18 giugno 2018

Riforme della scuola...quali saranno le pentalegate?

Prima di esprimere opinioni sulle posizioni riguardo a scuola, istruzione, università e ricerca, dichiarate nel "contratto" dal nuovo governo, a guida Giuseppe Conte, del Movimento 5* e Lega, faccio una, per quanto possibile sintetica, carrellata¹ sulle modalità e sulle riforme dell'istruzione in Italia partendo dal Medioevo fino alla "Buona Scuola".




Nel medioevo, l'istruzione e la scolarizzazione in Italia erano forniti interamente dalla Chiesa, e non è documentata l'esistenza di scuole laiche. 
In maniera sintetica, si può dire che vi erano solo tre tipi di scuole (religiose):
- scuole parrocchiali, che fornivano un'alfabetizzazione di base,
- scuole vescovili,
- scuole cenobiali dell'ordine benedettino.

La situazione della scuola inizia a cambiare nel XII secolo e si trasforma profondamente nel corso del secolo successivo. 
Nell'ambito delle scuole religiose, mentre le scuole parrocchiali tendono a sparire, per l'insegnamento superiore i benedettini vengono affiancati da altri ordini, come i domenicani, che istituiscono anch'essi scuole. Inoltre anche lo Stato diventa sensibile a questo fenomeno e si assiste ad uno sviluppo abbastanza rapido di scuole laiche a tre diversi livelli, grosso modo corrispondenti alle attuali scuole:
primaria, secondaria e universitaria.
L'insegnamento elementare laico si sviluppa grazie al moltiplicarsi di scuole sia private che comunali. 
Le università, che nell'età medievale iniziarono a formarsi nei primi decenni del XII secolo per continuare nel XIII secolo (tranne quella di Bologna fondata nel 1088), furono 
l'evoluzione di un modello di insegnamento impartito soprattutto nelle scuole delle chiese cattedrali e dei monasteri.

Nel corso del XIII secolo si svilupparono anche scuole laiche secondarie, rivolte ad alunni già alfabetizzati. Esse erano per lo più di due tipi:
- scuole d'abaco, nelle quali si apprendevano le tecniche di calcolo con le cifre arabe e i metodi della matematica mercantile. 
Si trattava di scuole che, nate in Italia, costituirono una tradizione della nostra cultura.
- scuole di grammatica, il cui programma d'insegnamento era basato sullo studio della lingua latina e la lettura di autori classici e soprattutto medievali.
Alla fine del XIII secolo le scuole religiose, pur rimanendo essenziali per la preparazione del clero, persero ogni importanza per l'istruzione dei laici: riacquisteranno un ruolo importante in questo settore solo all'epoca della Controriforma.




In epoca rinascimentale il sistema scolastico delle città italiane rimase fondamentalmente quello che si era delineato nel corso del '200, basato su scuole ecclesiastiche per la formazione del clero e scuole laiche, private e comunali, per i laici, che dopo un primo livello elementare si differenziavano in scuole d'abaco e scuole di grammatica. Il numero di scuole aumentò però notevolmente.
Tra il 1480 a Firenze e il 1587 a Venezia si stimava un livello di alfabetizzazione (per i maschi ovviamente) che andava da un 28% a un 33%.

Grande importanza nella storia delle istituzioni scolastiche ebbero le scuole istituite, nell'ambito della Riforma cattolica, dai gesuiti e successivamente da altri ordini religiosi. Il primo collegio dei gesuiti fu inaugurato a Messina nel 1548: nel 1600 i collegi aperti in Italia erano 49 ed erano diventati 111 alla fine del Seicento.
Altri ordini religiosi si occuparono dell'istruzione in volgare dei ragazzi dei ceti popolari e nel Seicento, grazie anche al contributo di altri ordini, come gli scolopi, i barnabiti e i somaschi, l'offerta di istruzione si era notevolmente accresciuta e i religiosi avevano riassunto un ruolo predominante nella scuola italiana, che fu incontrastato almeno fino alla seconda metà del Settecento.




Ma è nel Settecento che iniziò l'istituzione di scuole pubbliche promosse e controllate dallo Stato (e non dai comuni, come era accaduto già dal Medioevo).
E il primo Stato italiano che inaugurò la nuova politica scolastica nella penisola fu il Regno di Sardegna: una serie di riforme attuate da Vittorio Amedeo II di Savoia dal 1717 al 1727 istituirono scuole laiche statali di vario grado e un apposito "Magistrato" incaricato di vigilare contro la possibile ingerenza di ordini religiosi nella materia.
Nel Regno di Napoli la gestione delle scuole ricadeva in buona parte sugli istituti religiosi, ma lo Stato borbonico iniziò ad istituire un'istruzione pubblica. Furono Carlo III Ferdinando IV di Borbone ad organizzare la prima istruzione scolastica pubblica nei Regni di Napoli e di Sicilia.
Già nel 1766, poco prima dell'espulsione dei gesuiti, un piano di riforma che prevedeva l'istituzione di scuole pubbliche gratuite anche per i figli dei contadini fu preparato da Antonio Genovesi, su richiesta del ministro Tanucci parzialmente attuato.
Con la Rivoluzione francese (1789) si afferma una nuova concezione della scuola e l'istruzione primaria vi è concepita come pubblica, obbligatoria, gratuita e (per la prima volta) tutti i cittadini, sia maschi che femmine, devono accedervi.
Nelle repubbliche giacobine italiane e poi nel Regno d'Italia e nel Regno di Napoli del periodo napoleonico la scuola cercò di modellarsi su quella francese.



Nella prima metà dell'Ottocento, sotto l'ondata della Restaurazione, anche in Italia le innovazioni scolastiche vennero in parte abbandonate o comunque rallentate.
Arriviamo così alla scuola del regno d'Italia e alla legge Casati  che, promulgata nel 1859 per dare un assetto globale, dalla primaria all'università, all'istruzione pubblica in Piemonte e Lombardia, fu gradualmente estesa alle altre regioni col procedere del processo unitario.
La legge Casati esprimeva la cultura politica dei liberali piemontesi alla vigilia dell'unificazione politico-militare della penisola. 
Essa istituiva una scuola elementare articolata su due bienni, il primo dei quali obbligatorio. Dopo la scuola elementare il sistema si divideva in due: ginnasio (a pagamento) e le scuole tecniche. 
Nonostante le “scuole tecniche” permettessero il proseguimento degli studi alla scuola superiore e in alcuni casi all'università, il sistema risultava comunque classista, dato il fenomeno dell'auto-esclusione, che portava alla rinuncia agli studi i figli delle famiglie meno agiate.
Di fatto al censimento del 1871 si attestò un notevole peggioramento dell'analfabetismo rispetto alla situazione pre-unitaria.
Importante la legge Coppino del 1877 che fu uno dei punti qualificanti del programma e della politica della Sinistra storica. 
Essa porta la durata delle elementari a 5 anni, e introduce l'obbligo scolastico nel primo triennio delle elementari stesse e definisce le sanzioni per i genitori degli studenti che non adempiono a tale obbligo.
Si iniziarono a vedere gli effetti positivi, se pur limitati, del sistema scolastico con una significativa riduzione dell'analfabetismo grazie alla  legge Orlando del 1904, che prolungò l'obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età e alla successiva legge Daneo-Credaro del 1911, durante il ministero Giolitti, che rese la scuola elementare, fino ad allora gestita dai comuni, un servizio statale.




Ma un nuovo e concreto assetto dell'Istruzione pubblica lo darà nel 1923 la riforma Gentile del 1923, durante il primo governo Mussolini (1922-1924) con il filosofo Giovanni Gentile Ministro della Pubblica Istruzione. 
Purtroppo fu una riforma che penalizzò in maniera pesante e definitiva la formazione scientifica nella scuola italiana, al quale si opposero fermamente, ma senza successo, matematici e studiosi dell'epoca tra cui il grande matematico Federigo Enriques, e quello di aver ridotto ad un ruolo del tutto marginale l’insegnamento della scienza contribuì alla scissione tra le due culture scientifica ed umanistica che permarrà per diverso tempo e che forse ancora permane.
Introdusse l'esame di stato a conclusione del ciclo liceale consentendo l’accesso agli studi universitari solo agli studenti liceali, confermando la natura classista del sistema scolastico.
La riforma Gentile portava comunque l'obbligo dello studio a 14 anni di età e le scuole medie acquisivano un sistema a "doppio canale": da un lato un canale che consentiva, o meglio impegnava il giovane al proseguimento degli studi alle scuole superiori per ottenere un titolo di studi valido (per accedere a questo canale lo studente doveva superare uno specifico esame di cultura generale - esame di 5a elementare), dall'altro un canale (scuole di Avviamento al lavoro) che immetteva direttamente lo studente, al termine dei tre anni, nel mondo del lavoro senza consentire un proseguimento degli studi.




Questo fino al 1962-63, quando, dopo lunghe trattative tra DC e PSI, fu avviata la riforma dell'unificazione della scuola media  Media Unica, dove il Latino resta, ma è del tutto facoltativo.
Da questo momento non ci saranno riforme di rassetto degli ordini scolastici di rilievo se si escludono la liberalizzazione degli accessi all'università e le modifiche dell'esame di maturità del 1969, sotto la spinta di una rilevante stagione di movimenti studenteschi.



Dimostrazioni giovanili anni '90 contro l'autonomia scolastica proposta dalla riforma Berlinguer

Nel 1996 le elezioni politiche vengono vinte dalla coalizione dell'Ulivo e a capo del dicastero della Pubblica Istruzione viene posto l'ex rettore dell'Università di Siena Luigi Berlinguer, il quale si propone importanti obiettivi: 
- l'innalzamento dell'obbligo scolastico
- la riforma dell'esame di maturità
- l'autonomia scolastica 
- il riordino dei cicli.
In particolare però la "Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell'Istruzione" (legge n.30 del 10 febbraio 2000) non entrerà mai in vigore in quanto venne abrogata dalla cosiddetta riforma Moratti (legge n.53 del 28 marzo 2003), tutt'oggi in vigore, anche se i suoi decreti attuativi sono stati modificati dalla riforma Gelmini.
Vennero però attivate alcune riforme come quella dell'esame di maturità e dei corsi di studio universitari, con l'introduzione del "sistema del 3+2" ovvero della creazione della laurea triennale e della laurea specialistica.


"Buona Scuola" (legge n.107 del 13 luglio 2015 Governo Renzi)

Arriviamo così alla "Buona Scuola" (legge n.107 del 13 luglio 2015),  di iniziativa del governo Renzi che ha introdotto una nuova riforma della scuola in Italia, aumentando i poteri del dirigente scolastico, introducendo un sistema di valutazione del personale docente, la possibilità per gli studenti di personalizzare parzialmente il piano di studi se previsto dalla scuola che frequentano e l'obbligo della alternanza delle attività di scuola e lavoro anche per gli istituti non tecnici.
Con il Ministro Fedeli, che ha preso il posto del precedente Ministro Giannini sono entrati in vigore a partire dal 31 maggio 2017 i decreti delegati che, dalle parole del Ministro, prosegue il cammino avviato nei primi due anni di attuazione della legge Buona Scuola che ha gettato le basi per un cambiamento culturale importante: la scuola vista come comunità aperta, innovativa, inclusiva in cui ragazze e ragazzi diventano cittadini attivi, accorti, protagonisti, capaci di contribuire alla crescita e alla competitività del paese, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e nella piena attuazione dell’articolo 3 della nostra Costituzione”.

Questo in veloce sintesi il cammino delle riforme scolastiche che ha attuato alcuni cambiamenti di tipo amministrativo ma che sostanzialmente non ha portato molti cambiamenti nella didattica.
Una didattica che resta sempre molto slegata e che invece dovrebbe essere attuata attraverso una metodologia e un approccio culturale, che abbracci competenze di più discipline di studio e di più settori scientifici. 
Processo di integrazione di competenze, spesso indispensabile per affrontare in modo completo ed efficace la frammentazioni dei saperi connessa all'organizzazione della scuola secondaria, l'interdisciplinarità dovrebbe essere un obiettivo costante in tutte le moderne teorie didattiche.


Passaggio di consegne fra la Ministra uscente Valeria Fedeli e il neo Ministro Marco Bussetti

Il 1° giugno 2018 si è insediato il nuovo Governo guidato dal Primo Ministro Giuseppe Conte, formato da una coalizione Movimento 5* /Lega, nel "contratto" sottoscritto dai due rappresentanti Luigi Di Maio e Matteo Salvini.....qualcosa cambierà? 

Così si legge alla voce Scuola:
"......La nostra scuola dovrà essere in grado di fornire gli strumenti adeguati per affrontare il futuro con fiducia. Per far ciò occorre ripartire innanzitutto dai nostri docenti [......]
intervenendo sul fenomeno delle cd. “classi pollaio”, dell’edilizia scolastica, delle graduatorie e titoli per l’insegnamento. Particolare attenzione dovrà essere posta alla
questione dei diplomati magistrali e, in generale, al problema del precariato nella scuola dell’infanzia e nella primaria. [.....]L’eccessiva precarizzazione e la continua frustrazione delle aspettative dei nostri insegnanti rappresentano punti fondamentali da affrontare per un reale rilancio della nostra scuola.[....] Saranno introdotti nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all’origine il problema dei trasferimenti (ormai a livelli record), che non consentono un’adeguata continuità didattica.
[.......] strumenti efficaci che assicurino e garantiscano l’inclusione per tutti gli alunni, con maggiore attenzione a coloro che presentano disabilità più o meno gravi, ai quali va garantito lo stesso insegnante per l’intero ciclo. Una scuola inclusiva è, inoltre, una scuola in grado di limitare la dispersione scolastica che in alcune regioni raggiunge percentuali non più accettabili. A tutti gli studenti deve essere consentito l’accesso agli studi, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini.
[....] Intendiamo garantire la presenza all’interno delle nostre scuole di docenti preparati ai processi educativi e formativi specifici, assicurando loro la possibilità di implementare adeguate competenze nella gestione degli alunni con disabilità e difficoltà di apprendimento.
La c.d. “Buona Scuola” ha ampliato in maniera considerevole le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro.[....] no strumento così delicato che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso."

Per quel che riguarda la voce "Università e ricerca" si legge:
"[....]È prioritario incrementare le risorse destinate all’università e agli Enti di Ricerca e ridefinire i criteri di finanziamento delle stesse.
Il sistema universitario e il mondo della ricerca dovranno essere maggiormente coinvolti nello sviluppo culturale, scientifico e tecnologico del nostro paese, contribuendo ad indicare gli obiettivi da raggiungere e interagendo maggiormente con tutto il sistema Paese. Sarà dunque fondamentale implementare la terza missione delle università attraverso la loro interazione con gli altri centri di ricerca e con la società.
Attraverso una costante sinergia con la Banca per gli investimenti saremo in grado di assicurare maggiori fondi per incrementare il nostro livello di innovazione, rendendoli efficaci ed eliminando gli sprechi. Intendiamo incentivare, inoltre, lo strumento delle partnership pubblico-private, che consentiranno, di fatto, un maggior apporto di risorse in favore della ricerca. [.....] Occorrerà riformare il sistema dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), nell’ottica di potenziare un settore storicamente e culturalmente importantissimo per l’Italia. 
È necessario avere una classe docente all’altezza delle aspettative, eticamente ineccepibile. Occorre riformare il sistema di reclutamento per renderlo meritocratico, trasparente e corrispondente alle reali esigenze scientifico-didattiche degli atenei, garantendo il regolare turn-over dei docenti.
Occorre incentivare l’introduzione di nuove norme per garantire al maggior numero possibile di studenti l’accesso ai gradi più alti degli studi. Tra questi figurano la necessità di ampliare gli strumenti e le risorse per il diritto allo studio, incrementando così la percentuale di laureati nel nostro Paese, oggi tra le più basse d’Europa, e la revisione del sistema di accesso ai corsi a numero programmato, attraverso l’adozione di un modello che assicuri procedure idonee a verificare le effettive attitudini degli studenti e la possibilità di una corretta valutazione.
Amplieremo la platea di studenti beneficiari dell'esenzione totale dal pagamento delle tasse di iscrizione all’università, la cd. “No-Tax area”. Fondamentale sarà l’implementazione dell’Alta formazione tecnologico-professionale. Occorrerà armonizzare il sistema delle lauree professionalizzanti e degli ITS (Istituti Tecnici Superiori) al fine di aumentare il numero di studenti in questi percorsi di formazione terziaria.
Un intervento importante dovrà riguardare l'innovazione didattica ed in particolare quella digitale. Sarà incentivata l'offerta formativa on line e telematica delle università statali attraverso finanziamenti finalizzati, nonché meglio regolamentata l'offerta formativa delle università telematiche private.
Tra coloro che maggiormente hanno sofferto l’attuale condizione di difficoltà del sistema italiano troviamo il personale delle nostre università e dei nostri enti di ricerca. 
[.....] Pertanto è necessario incrementare significativamente le risorse finanziarie per valorizzare i nostri docenti e ricercatori, assicurando adeguate condizioni lavorative e superando la precarietà che in questi anni ha coinvolto in misura sempre maggiore anche il mondo universitario e della ricerca.
Intendiamo intervenire con strumenti che liberino quelle università in cui è ancora forte la presenza di “baronati” che sfruttano in maniera illegittima le risorse e il personale. Per un reale rilancio dei nostri atenei occorre, infatti, garantire la presenza di sistemi realmente meritocratici ed aperti a tutti coloro che intendano proseguire nella carriera accademica,
senza il timore di veder limitate le proprie aspettative da coloro che utilizzano in maniera indebita il proprio potere. 
Occorre inserire un sistema di verifica vincolante sullo svolgimento effettivo, da parte del docente, dei compiti di didattica, ricerca e tutoraggio agli studenti.
[.....]una particolare attenzione, anche del mondo dell’università e della ricerca, sia per la definizione di modelli di sviluppo ad hoc che per la messa a punto di interventi di formazione, disseminazione della conoscenza, innovativi e tecnologici, propedeutici alla creazione di valore dalle risorse specifiche. Verranno perciò promosse, valorizzate e potenziate esperienze e attività di formazione e ricerca in tal senso.
Non è più procrastinabile la semplificazione della legislazione universitaria attraverso la redazione di un testo unico.
Occorrerà apportare dei correttivi alla governance del sistema universitario e all’interno degli stessi atenei, ridisegnando il ruolo dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) per renderlo uno strumento per il governo (e non di governo), e individuando puntualmente i soggetti che potrebbero contribuire nei
processi decisionali, a cominciare dal CUN, organo elettivo di rappresentanza del mondo universitario.
Gli Enti pubblici di Ricerca italiani (EPR) svolgono oggi attività essenziali per lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione del nostro Paese.
Il modello italiano prevede un sistema estremamente frammentato, scarso coordinamento fra gli enti e un carente coinvolgimento sulle questioni di assoluta rilevanza strategica in materia di politiche per lo sviluppo del Paese. 
Per coordinare e raccordare strutturalmente gli Enti e Centri di ricerca sarà creata un’Agenzia Nazionale della Ricerca."

Belle parole condivisibili, ma solo belle parole, dichiarazioni di intenti più che progetti operativi, nessun cenno alle modalità di intervento o alle risorse finanziarie per applicare eventuali riforme e adeguamenti di strutture scolastiche, docenti, enti o centri di ricerca. 
Solo una eventuale traduzione in chiave specificatamente normativa potrà evidenziare appieno l’impatto che queste dichiarazioni avranno sul sistema scolastico nel suo complesso e si potrà valutare l'effettiva distanza che il nuovo esecutivo intende porre rispetto alle riforme finora avviate dalla "Buona Scuola".



Note
¹ Notizie estratte da Wikipedia




domenica 10 giugno 2018

L'arte della matematica...lettere tra Simone e André Weil

André Weil fu un giorno presentato a una conferenza come il più grande matematico vivente ed egli, risentito, sembra abbia ribattuto: 
"Sono semplicemente il più grande matematico"

Simone e André Weil - L'arte della Matematica - Adelphi - 2° edizione marzo 2018

André Weil, a parte gli eccessi di presunzione che spesso lo hanno caratterizzato, grande matematico lo fu davvero, uno dei più grandi del '900.
Io lo conoscevo soprattutto per la sua opera fondamentale "Teoria dei numeri", pubblicata da Einaudi.
Dopo un'introduzione storica dedicata in gran parte a Diofanto, Weil analizza quattro grandi autori (Fermat nel '600, Eulero nel '700, Lagrange e Legendre tra '700 e '800) che danno alla teoria dei numeri la forma che in gran parte è ancora quella che conosciamo oggi e su cui tuttora i matematici indagano.
Il famoso "ultimo teorema di Fermat", al tempo dell'uscita del libro non era ancora stato dimostrato, e così commentava, nella sua prefazione al libro, un altro grande matematico contemporaneo e medaglia Fields nel 1974, Enrico Bombieri:
"La caratteristica dell'opera di Weil è il rigore quasi monastico delle idee, unito a un'ampiezza di respiro che troviamo soltanto nei grandissimi matematici. Le dimostrazioni di Weil raramente sono complicate, e sono invece caratterizzate da economia di mezzi, sintesi e lucidità straordinaria di esposizione".
Weil si occupò infatti, in particolare, di teoria dei numeri e di geometria algebrica e fu uno dei fondatori del gruppo bourbakista, il più importante movimento matematico del Novecento.
Noto per alcuni aneddoti legati al suo carattere stravagante e sicuramente poco socievole, sosteneva infatti l'inutilità della divulgazione matematica:
"E' inutile parlare di matematica a chi non è matematico"
tanto più che il suo concetto di "matematico" era tranchant:
"Si può definire matematico soltanto chi ha scoperto almeno un nuovo teorema".
Insomma un personaggio a cui non avrei certo potuto attribuire pensieri come quelli da me scoperti in un carteggio tra lui e la sorella Simone Weil, in un libro regalatomi da un'amica, "L'arte della matematica"
Si perché in queste poco più di 100 pagine, molto interessanti anche per i riferimenti storici e filosofici, si percepisce il pensiero di Weil, forse meno noto, che dal carcere di Le Havre e di Rouen, in cui era detenuto per espiare la condanna di renitenza alla leva (André riteneva suo dovere "fare il matematico e non la guerra"), scrive alla sorella Simone, grande filosofa a sua volta, su un tema interessante per entrambi, seppure per esigenze diverse, sul significato di proporzione e incommensurabilità tra i numeri. 


André e Simone Weil (1922)

In questo confronto tra Simone Weil e André Weil si può riconoscere anche un dibattito che caratterizza ancora oggi la matematica.
Un confronto che si accende sull’antica questione della commensurabilità/incommensurabilità fra grandezze, tema centrale della matematica greca.
Da una parte c'è André che cerca di spiegare da matematico professionale, ma anche intellettuale, come lui faccia matematica, e perché. Dall'altra c'è Simone, abbastanza digiuna di matematica, ma filosofa profonda ed esigente, che nelle sue parole sembra cercare verità assolute.
Il tutto in otto lettere di Simone Weil (tra le quali una minuta, due abbozzi e un testo mai spedito) e quattro del fratello André, tutte scritte tra febbraio e aprile 1940.
Un confronto che fa emergere le differenze sostanziali di pensiero tra i due fratelli:
"... la matematica non è altro che un'arte; una sorta di scultura in una materia estremamente dura e resistente (come certi porfidi che a volte usano, credo, gli scultori)" 
afferma André Weil, a cui ribatte Simone:
"Tu parli di arte e di materia dura; ma io non riesco a concepire in che cosa consista questa materia. Le arti propriamente dette hanno una materia che esiste nel senso fisico della parola. La stessa poesia ha per materia il linguaggio visto come un insieme di suoni. La materia dell'arte matematica è una metafora; e a che cosa corrisponde questa metafora?" 

Simone Weil con, da sinistra a destra, André Weil, Henri Cartan, e Jean Delsarte (1937)

".......Visto che di tempo ne hai anche troppo - scrive nella prima lettera che apre il libro, del 10 febbraio 1940 (pag.12), Simone Weil all'amatissimo fratello maggiore - un'altra buona occupazione potrebbe essere metterti a riflettere sul modo di far intravedere a profani come me in che cosa consistano esattamente l'interesse e la portata dei tuoi lavori....." e una decina di giorni dopo insiste "Cosa ti costerebbe tentare? Ne sarei entusiasta". 
André, anche se a caldo le aveva risposto: 
"Quanto a parlare delle mie ricerche o di qualsiasi altra ricerca matematica ai non-specialisti, tanto varrebbe spiegare una sinfonia a dei sordi, mi sembra" (pag.18)
di fronte alle domande che lei continua a sottoporgli in un modo così fervido e acuto, finisce per cedere. 
Inizia così uno scambio che è un insieme di passione intellettuale, competenza ma anche e soprattutto affetto, che li porta anche a scontrarsi su punti basilari, come appunto la scoperta degli incommensurabili e il carattere della scienza greca. 
Lettere che dimostrano la grande capacità dei due fratelli di dialogare su Pitagora o sull'Odissea, di cardinali abili nelle strategie di corte o dell'importanza del sanscrito, di dissertare su Dedekind o su Gauss...
Certo entrambi sono capaci di parlarne ma dandone interpretazioni quasi diametralmente opposte e proprio in questo consiste il fascino del carteggio.
André teorico dei numeri vi vede il fallimento dei pitagorici, Simone, al contrario, ci vede una vittoria, una specie di via verso l’assoluto mistico.

Per Simone infatti la geometria greca misura il mistero.
"Possiamo chiederci perché i Greci si siano tanto applicati allo studio della proporzione. Si tratta senz’altro di una preoccupazione religiosa, e di conseguenza (dato che si tratta della Grecia) in parte estetica. Il legame fra le preoccupazioni matematiche da un lato e quelle filosofico-religiose dall’altro, legame la cui esistenza è storicamente attestata per l’epoca di Pitagora, risale certamente a molto tempo prima. Infatti Platone, che è estremamente tradizionalista, dice spesso: «Gli uomini antichi, che erano molto più vicini di noi alla luce...» (alludendo evidentemente a un’Antichità ben più remota di quella di Pitagora); d’altro canto affiggeva sulla porta dell’Accademia: «Nessuno entri qui se non è geometra », e diceva: «Dio è un perpetuo geometra». Fra i due atteggiamenti vi sarebbe contraddizione – il che è da escludersi – se le preoccupazioni da cui è nata la geometria greca (in mancanza di questa stessa geometria) non risalissero a un’Antichità remota; si può ipotizzare che provengano o dagli abitanti preellenici della Grecia, o dall’Egitto, o dagli uni e dall’altro. Del resto l’orfismo (che ha questa duplice origine) ha ispirato il pitagorismo e il platonismo (che sono in pratica equivalenti) al punto che ci si può domandare se Pitagora e Platone non abbiano fatto altro che chiosarlo. Quasi sicuramente Talete è stato iniziato ai misteri greci ed egizi, e di conseguenza, dal punto di vista filosofico e religioso, era immerso in un’atmosfera analoga a quella del pitagorismo. Penso dunque che la nozione di proporzione sia stata fin da un’Antichità abbastanza remota oggetto di una meditazione che costituiva uno dei procedimenti di purificazione dell’anima, forse il procedimento principale. È fuor di dubbio che questa nozione era al centro dell’estetica, della geometria, della filosofia dei Greci"
(dalla lettera, probabilmente del marzo 1940, di Simone Weil al fratello André pag. 38-39)

A lei così risponde André: 
".....quel che dici sulla proporzione suggerisce che agli inizi del pensiero greco si sia avuto un sentimento della sproporzione fra il pensiero e il mondo (e, come dici tu, fra l’uomo e Dio) di un’intensità tale che hanno avuto bisogno di gettare a ogni costo un ponte al di sopra di quell’abisso. Che abbiano pensato di trovare quel ponte (e solido, e incrollabile) nella matematica non è minimamente credibile. O almeno può essere stato vero per certe scuole; lo spirito di Eschilo, che era stato iniziato ai misteri di Eleusi, mi sembra abbastanza diverso. Ma si sa che con l’espediente dell’esoterismo si spiega tutto ciò che si vuole... Gli Indù invece hanno cercato in tutt’altra direzione: dire che l’uomo è identico a Dio, all’universo, ecc. dispensa evidentemente dal costruire un ponte. Mi domando tuttavia se per Platone (nel quale, mi pare, non c’è la minima traccia di angoscia, e forse per questo Nietzsche lo odiava tanto) la frase «nessuno entri qui...» non sia da interpretare, molto più piattamente, nel senso che la matematica è «una ginnastica della mente»: queste parole, che in noi evocano solo idee di una scoraggiante banalità, potevano avere un significato forte per chi vedeva nella ginnastica ben altro, rispetto a noi. Del resto tutto ciò non sarebbe che una sorta di trasposizione, su un piano più banale (com’è opportuno quando si tratta di quell’epoca) e più secolare, della tua ipotesi sulla proporzione come procedimento di purificazione, se con ciò intendi (come presumo) un procedimento, un mezzo in certo qual modo ausiliario. Ma vorrei sapere in maniera un po’ più precisa: un mezzo in vista di che cosa? Vi è traccia, in epoca arcaica, di pratiche ed esercizi mistici? "
(dalla lettera del 28 marzo di André Weil alla sorella Simone - pag. 73-74)) 


André e Simone Weil

Proseguendo nella lettura si coglie sempre più l'intreccio dei fili di filosofia e matematica che reggono la conversazione a distanza tra i due,  attingendo a un campo che eccede entrambe le discipline. 
Nelle lettere, malgrado l’iniziale ritrosia (quasi inutilità espressa da André) vengono invece affrontati problemi come la nozione di numero e di rapporto, di analogia e di proporzione, di commensurabilità e di incommensurabilità, che conducono inevitabilmente verso il sapere misterico, l’orfismo e il pitagorismo, soprattutto per Simone, persuasa che l’assillo della matematica greca fosse non il calcolo ma il raggiungimento della purezza dell’anima. 
"......'Imitare Dio' ne era il segreto e lo studio della matematica – ribatte Simone al fratello – aiutava a imitare Dio in quanto consideravano l’universo come sottomesso alle leggi matematiche, il che faceva del geometra un imitatore del legislatore supremo, un artista capace di rendere sensibile 'l’affinità tra la mente umana e l’universo' e dunque offrire 'il mondo come la città di tutti gli esseri dotati di ragione'....."

Davvero una lettura inaspettata e fascinosa che mi ha appassionato e impegnato nello stesso tempo per la profondità e la complessità dei temi toccati, in un epistolario che diventa quasi un sunto di "filosofia" e "trattato di matematica" da parte di questi due grandi del pensiero, André e Simone Weil, due personaggi chiave della cultura del Novecento, ma così diversi.
Alla rigidità con cui André si approccia alla matematica e alla sua idea che è impossibile fare opera di divulgazione di questa scienza esclusiva si contrappone lo spirito della sorella Simone, filosofa, mistica e scrittrice che sembra impegnata a interpretare gli scritti del fratello come arte e poesia. 
Due mondi apparentemente lontani e contrapposti dove però numeri e parole dialogano con passione ed emerge la forza con cui Simone difende le sue idee a cui si contrappone, ma con amore, il fratello André.
Due vite anche molto diverse. 
Simone, morta a soli trentaquattro anni, fu conosciuta al mondo solo successivamente grazie all’impegno editoriale di Albert Camus, che la definì  "l'unico grande spirito dei nostri tempi" e André, il grande matematico, che a Princeton tutti conoscevano e chiamavano il "mostro sacro" (se si toglie l'aggettivo si ha anche un'idea dell'opinione che molti suoi colleghi del prestigioso Institute for Advanced Study avevano di lui) che invece visse una lunga anche se travagliata esistenza conclusa nel 1998, all’età di novantadue anni.