Eccomi alla seconda puntata (la prima la trovate qui) del viaggio tra matematica reale e immaginaria vista anche attraverso i fumetti.
Avevo detto che avrei parlato dei numeri immaginari!!??
Non posso fare a meno però di ritornare ai fumetti, anzi alla strisca di "Calvin & Hobbes" dove Calvin si terrorizza al solo sentirne il nome, mentre per Hobbes sono innati. Infatti, come si sa, le tigri di pezza hanno sviluppato la capacità di comprendere e lavorare con i numeri immaginari!!!
Tanto per ricordare chi sono Calvin e Hobbes.....Calvin è un bimbo, Hobbes la tigre di pezza che con lui diventa animata.
Calvin: Ecco un altro problema di matematica che non riesco a risolvere, quanto fa 9+4?
Hobbes: Oh, questo è difficile, devi usare l'analisi matematica e i numeri immaginari per questo
Calvin: Numeri immaginari ??
Hobbes: si, sai come undiciette, trentaventi, roba del genere, è un po' "complesso" al primo approccio
Calvin: E tu dove hai imparato tutte queste cose che non sei mai stato a scuola?
Hobbes: Istinto, le tigri ci nascono con l'istinto
Calvin & Hobbes è una striscia a fumetti realizzata da Bill Watterson, uscita sui quotidiani statunitensi dal 18 novembre 1985 al 31 dicembre 1995, data in cui l’autore smise di disegnare. Ambientata negli Stati Uniti contemporanei, la striscia è incentrata sulle avventure di Calvin, un bambino di sei anni pestifero e fantasioso, e di Hobbes, la sua tigre di pezza che per tutti è un semplice pupazzo, ma che per Calvin si anima e diventa un fedele compagno di avventure e peripezie quotidiane.
Il nome Calvin si ispira a Giovanni Calvino, il teologo del XVI secolo che credeva nella predestinazione, mentre Hobbes è quello del filosofo e matematico britannico del XVII secolo, Thomas Hobbes, autore nel 1651 dell'opera di filosofia politica Leviatano, in cui rivela la sua bassa considerazione per la natura umana.
Dopo questa introduzione fumettistica entro nel vivo dell'argomento dei numeri immaginari che in verità non so se considerarli appartenenti al mondo della Matematica reale o di quella immaginaria!
Comunque Hobbes ha dimostrato di conoscerli davvero e aggiungendo "it's a little confusing" ha implicitamente ammesso che c'è un po' di confusione, insomma che la questione è complessa.
Si perché immaginario e complesso, come ben sanno i matematici, sono due concetti che vanno davvero a braccetto. E accompagnata dai due simpatici fumetti cercherò di introdurli, soprattutto storicamente.
Fu Girolamo Cardano (Ars Magna, 1545), poliedrica figura del Rinascimento italiano, riconosciuto anche come il fondatore principale della teoria della probabilità, il primo a trattare esplicitamente questi numeri (senza ancora usare il simbolo i), tentando di risolvere il seguente problema:
“dividere un segmento di lunghezza 10 in due parti tali che il rettangolo da esse formato abbia area 40”
In realtà l’area di un tale rettangolo è al massimo 25 (quando x=y cioè quando le due parti sono uguali e diventa un quadrato), ma l’algebra ci dice qualcosa in più, se consideriamo l’equazione corrispondente al problema:
x² −10x + 40 = 0 .
Essa conduce alle due soluzioni “sofistiche” 5 + √−15 e 5 − √−15 , che usano il numero “impossibile” √−15 e il cui prodotto è:
(5 + √−15)(5 − √−15) = 25 − (−15) = 40
e la cui somma è:
(5 + √−15)+ (5 − √−15) =10
Nei secoli successivi, numerose altre equazioni algebriche portarono a soluzioni “immaginarie”, come le definì Cartesio nel 1637. Ma fu grazie ad Eulero che lo studio di tale materia trovò pieno compimento con l'introduzione dell’unità immaginaria i, tale che i² = −1, che permise di scrivere i numeri precedenti come 5 ± i√15 e qualsiasi altro numero complesso nella forma a noi nota: z = a + i b
L’interpretazione geometrica fu dovuta alle tesi di Gauss (1799) e Argand (1806) e alla introduzione del piano complesso, che oggi porta il loro nome.
Ma andiamo per ordine e consideriamo il fatto che mentre i numeri naturali e le frazioni sono nati da esigenze di carattere pratico, di tipo amministrativo e commerciale, i numeri negativi, reali, immaginari e complessi sono, invece, frutto di speculazioni interne allo sviluppo della matematica, in particolare di quella parte che è denominata algebra e che fino alla metà dell’Ottocento si identificava con la teoria delle equazioni algebriche.
E proprio la risoluzione e lo studio delle proprietà delle equazioni polinomiali porterà inevitabilmente allo studio della natura e delle proprietà dei vari insiemi numerici.
Per circa sei secoli dalla sua fondazione, comunque l’algebra non ebbe una significativa evoluzione e il primo avanzamento notevole, si ebbe infatti solo nella prima metà del Cinquecento con la risoluzione delle equazioni di terzo e quarto grado ad opera di Scipione dal Ferro, Niccolò Tartaglia, Girolamo Cardano e Lodovico Ferrari. Ed è proprio in questo contesto che si iniziano a considerare anche soluzioni negative ed emerge per la prima volta una problematica che porterà all'introduzione dei numeri immaginari e complessi.
Pochi anni dopo il problema "impossibile" di Cardano, Raffaele Bombelli, nella sua "Algebra, parte maggiore dell'Artmetica" pubblicata a Bologna nel 1572, introduce regole di calcolo per operare con le radici di numeri negativi e accetta queste nuove quantità numeriche anche come soluzioni per le equazioni di secondo grado con discriminante negativo.
Questo tipo di soluzioni vengono denominate da Bombelli “sofistiche” (forse riprendendo il nome già precedentemente usato da Cardano), ma la loro compiuta accettazione non avvenne né facilmente né in tempi brevi.
La resistenza a considerare soluzioni negative o complesse di equazioni algebriche derivava, in gran parte, dal fatto che l’algebra era considerata uno strumento per risolvere problemi “concreti” e le soluzioni di quel genere non avevano alcun significato reale.
Autori come Albert Girard e René Descartes, furono tra i primi ad accettare questo nuovo tipo di soluzioni, ma lo fecero solo per motivi squisitamente matematici.
Albert Girard (1595-1632), nel suo trattato "L’invention en algebre" (1629), usa disinvoltamente coefficienti negativi e calcola non solo le soluzioni negative, ma anche quelle complesse.
Ricordando anche che fu il primo ad utilizzare le abbreviazioni sin, cos e tan in un trattato, notiamo che la parte più interessante di questa pubblicazione è quella dove Girard fornisce uno dei primi enunciati di quello che sarà poi denominato Teorema fondamentale dell’algebra (TFA):
Toutes les equations reçoiventautant de solutions, que la denomination de la plus haute quantité le demonstre, excepté les incompletes.
Tutte le equazioni, tranne quelle incomplete, hanno tante soluzioni quante ne indica la denominazione della quantità più alta (cioé il grado)
Anche René Descartes (Cartesio 1596-1650), filosofo e matematico francese ritenuto fondatore della matematica e della filosofia moderna, nel terzo capitolo della sua "Géometrie" del 1637 tutto dedicato allo studio delle equazioni algebriche, fornisce un enunciato simile a quello di Girard:
Sachez donc qu’en chaque équation, autant que la quantité inconnue a de dimensions, autant peut-il y avoir de diverses racines, c’est-à-dire de valeurs de cette quantité
Sappiate che ogni equazione può avere tante radici, vale a dire valori di questa quantità, quante sono le dimensioni (il grado) della quantità incognita
Egli conclude la sua trattazione dell'algebra con l’affermazione:
Le radici non sono sempre reali, talvolta esse sono immaginarie, cioè mentre noi possiamo sempre concepire tante radici per ogni equazione come ho già detto, tuttavia qualche volta non c’è alcuna quantità che corrisponde a quello che si immagina. Così sebbene si possa immaginare che l’equazione x3-6x2+13x-10=0 abbia tre radici, tuttavia ve ne è solo una reale, mentre le altre due sono immaginarie.
Quest’ultima affermazione sembra indicare che Descartes ammetta che un’equazione di grado n abbia esattamente n radici purché si considerino anche quelle complesse, che lui chiama immaginarie, anche perché se l’equazione ha tutte radici di questo tipo non può essere costruita geometricamente e quindi può essere solo immaginata.
Girard e Descartes anche se in modo un po’ confuso propongono quelle che sono considerate le prime enunciazioni del TFA. Essi non solo non forniscono alcuna giustificazione del loro enunciato, ma si limitano a verificarlo su esempi che riguardano equazioni fino al quarto grado, le uniche per cui all’epoca si conoscevano formule risolutive.
Proseguendo la nostra storia arriviamo a Isaac Newton (1642-1727) che, nella sua "Arithmetica Universalis" del 1707, considera le soluzioni complesse come una indicazione della impossibilità di risolvere un problema, di qui l’appellativo di "impossibili" da lui usato per questo tipo di numeri:
Così l’equazione deve esprimere tutti i casi del problema così bene sia quelli che sono impossibili sia quelli che sono possibili, secondo che le sue radici possono essere possibili o impossibili.
Giungiamo quindi al Settecento, il secolo dell’analisi infinitesimale, ma in cui tuttavia quasi tutti i più importanti matematici si occupano anche della risoluzione delle equazioni polinomiali, cercando metodi per risolvere equazioni di ogni grado.
Gottfried W. Leibeniz (1646-1716) e Giovanni Bernulli (1667-1748) agli inizi del 1700 si occupano di fattorizzazione per la risoluzione di integrali razionali. In particolare Leibniz sulla base di un esempio, mal calcolato, affermò che purtroppo la decomposizione non è sempre possibile.
Il grande matematico svizzero Leonardo Eulero (1707-1783), invece, in una lettera del 1 ottobre 1742 a Nicola Bernoulli afferma, senza dimostrazione, che ogni polinomio a coefficienti reali può essere decomposto in fattori lineari e/o quadratici a coefficienti reali. Bernoulli non giudica corretta l’affermazione e si innesta così una lunga diatriba che sfocerà in una dimostrazione di Eulero in un articolo “Recherches sur les racines imaginaires des equations”, pubblicato, nel 1751, nelle "Mémoires de l’Académie de Berlin".
Il grande matematico svizzero, negli ultimi anni vissuti a San Pietroburgo compose anche un manuale divulgativo di algebra che apparve in edizioni tedesca e russa a San Pietroburgo nel 1770-72 e in edizione francese nel 1774 (sotto gli auspici di d’Alembert, autore forse del primo tentativo serio di dimostrazione del TFA nel 1746).
In esso, aldilà dei pregi didattici, si riscontrano imprecisioni che possono però essere spiegati dal fatto che l'autore, ormai cieco, non era più in grado di scrivere e lo dettò, sfruttando solo la sua memoria, al segretario, Nicolaus Fuss che era anche il marito di sua nipote.
In esso, aldilà dei pregi didattici, si riscontrano imprecisioni che possono però essere spiegati dal fatto che l'autore, ormai cieco, non era più in grado di scrivere e lo dettò, sfruttando solo la sua memoria, al segretario, Nicolaus Fuss che era anche il marito di sua nipote.
E proprio il capitolo XIII di questo testo è dedicato a quei numeri che egli chiama “quantità impossibili o immaginarie”.
Dobbiamo a lui l’uso della lettera i per indicare √-1 che però fu adottata appunto verso la fine della sua vita in una memoria del 1777, pubblicata sugli Atti della Accademia di San Pietroburgo,.
Dobbiamo a lui l’uso della lettera i per indicare √-1 che però fu adottata appunto verso la fine della sua vita in una memoria del 1777, pubblicata sugli Atti della Accademia di San Pietroburgo,.
A Eulero siamo anche debitori di molti dei simboli ancora oggi usati in matematica. Fu lui infatti a introdurre la lettera e per indicare la base dei logaritmi naturali, ad usare sistematicamente π per indicare il valore irrazionale 3,1415926535......., Σ come simbolo per la sommatoria e f(x) per indicare una funzione.
Ma tornando alla dimostrazione del TFA, altri tentativi furono portati avanti, oltre a quello di Eulero, dal torinese Giuseppe Lodovico Lagrangia (più noto come Lagrange) nel 1772 e da Pierre Simon Laplace nel 1795, e finalmente nel 1799 Gauss, il principe dei matematici, riuscì nell'intento.
Johann Carl Friedrich Gauss (1777-1855) provò a dimostrare questo teorema per la prima volta appunto nel 1799, nella sua tesi di dottorato, presentata in quell’anno presso l’Università di Helmstedt in Germania. Successivamente egli trovò altre tre diverse dimostrazioni dello stesso risultato, ma modestamente affermò che era pervenuto alla prima dimostrazione sfruttando i tentativi dei suoi predecessori.
Infine, nel 1814 Jean-Robert Argand, un libraio appassionato di matematica, pubblicò un'altra dimostrazione molto più semplice rispetto a quella di Gauss.
Infine, nel 1814 Jean-Robert Argand, un libraio appassionato di matematica, pubblicò un'altra dimostrazione molto più semplice rispetto a quella di Gauss.
Ma fra i motivi che hanno a lungo ostacolato la comprensione dei numeri complessi c’è sicuramente la mancanza di una loro rappresentazione geometrica.
Questa fu infine proposta quasi contemporaneamente e indipendentemente, tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento da Caspar Wessel (1745-1818), Jean Robert Argand (1768-1822) e da Carl Friedrich Gauss (1777-1855). Ma anche se le tesi di Gauss e Argand apparvero già nel 1799 e nel 1806 rispettivamente, fu solo comunque dopo il 1831, anno in cui fu pubblicato il lavoro di Gauss "Teoria residuarum biquadraticorum. Commentatio seconda", che l’idea del piano geometrico complesso cominciò ad affermarsi.
Gauss pose in corrispondenza i numeri complessi con i punti di un piano cartesiano fornendo così una interpretazione geometrica all’addizione e alla moltiplicazione di due numeri complessi, facendo così apparire più naturali, da un punto di vista intuitivo, queste operazioni e trasformando un numero complesso in un vettore.
Ma non finisce qui.
Un giorno un matematico irlandese, tale William Rowan Hamilton (1805-1865) non soddisfatto dei soli numeri complessi, decise di inventare i "quaternioni". Non bastandogli la sola i, aggiunse altre due unità immaginarie, j e k e così un quaternione assunse dunque la forma: q = a + ib + jc + kd
Se prima i numeri complessi avevano due parametri, la parte reale e la parte immaginaria, ora i quaternioni ne hanno quindi ben quattro. E se i numeri complessi potevano essere disegnati su di un piano, un ente bidimensionale, per i quaternioni non basta: ci vorrebbe un'entità a quattro dimensioni.
Ma non esiste, su questa terra!!!!!
Questo viaggio potrebbe proseguire ancora perché attraverso i numeri complessi si sono ottenuti i frattali e dai quaternioni i superfrattali con tutte le loro implicazioni e applicazioni probabilistiche alla fisica moderna, all'astronomia, alla meteorologia, alla neurologia, alla finanza o ancora alla teoria della relatività e nella meccanica quantistica e in settori più applicati, come la computer grafica 3D, l'ottica e la robotica.
Ma questa è un'altra storia di cui potrei parlare in una terza puntata. Calvin e Hobbes sono esausti e non mi accompagnerebbero più!
Un giorno un matematico irlandese, tale William Rowan Hamilton (1805-1865) non soddisfatto dei soli numeri complessi, decise di inventare i "quaternioni". Non bastandogli la sola i, aggiunse altre due unità immaginarie, j e k e così un quaternione assunse dunque la forma: q = a + ib + jc + kd
Se prima i numeri complessi avevano due parametri, la parte reale e la parte immaginaria, ora i quaternioni ne hanno quindi ben quattro. E se i numeri complessi potevano essere disegnati su di un piano, un ente bidimensionale, per i quaternioni non basta: ci vorrebbe un'entità a quattro dimensioni.
Ma non esiste, su questa terra!!!!!
Questo viaggio potrebbe proseguire ancora perché attraverso i numeri complessi si sono ottenuti i frattali e dai quaternioni i superfrattali con tutte le loro implicazioni e applicazioni probabilistiche alla fisica moderna, all'astronomia, alla meteorologia, alla neurologia, alla finanza o ancora alla teoria della relatività e nella meccanica quantistica e in settori più applicati, come la computer grafica 3D, l'ottica e la robotica.
Fonti:
From the book:
M.SPOGLIANTI "Appunti di Storia delle Matematiche" Litografia Cislaghi, Milano, 1974
R.COURANT e H.ROBBINS "Che cos’è la matematica?" Boringhieri, Torino, 2010
C.B.BOYER "Storia della matematica" Oscar Mondadori, 2011
From website:
Per i metodi di calcolo e le proprietà dei numeri complessi consiglio questo link:
http://www.ing.unitn.it/~bertolaz/files/complessi.pdf
From the pictures
Le immagini, rielaborate da me (Annalisa Santi), sono state reperite dal sito Calvin&Hobbes
http://calvinhobbesdaily.tumblr.com/
From the book:
M.SPOGLIANTI "Appunti di Storia delle Matematiche" Litografia Cislaghi, Milano, 1974
R.COURANT e H.ROBBINS "Che cos’è la matematica?" Boringhieri, Torino, 2010
C.B.BOYER "Storia della matematica" Oscar Mondadori, 2011
From website:
Per i metodi di calcolo e le proprietà dei numeri complessi consiglio questo link:
http://www.ing.unitn.it/~bertolaz/files/complessi.pdf
From the pictures
Le immagini, rielaborate da me (Annalisa Santi), sono state reperite dal sito Calvin&Hobbes
http://calvinhobbesdaily.tumblr.com/