lunedì 3 febbraio 2020

Tavola pitagorica, un falso storico!

Per vedere ogni ben dentro vi gode 
l’anima santa che ‘l mondo fallace 
fa manifesto a chi di lei ben ode.                                  
Lo corpo ond’ella fu cacciata giace 
giuso in Cieldauro; ed essa da martiro 
e da essilio venne a questa pace.
(Dante Alighieri - Divina Commedia - Paradiso (Canto X 124-129)     

Pietra miliare della filosofia medioevale può essere considerato il "De consolatione philosophiae" di Severino Boezio e molti pensatori, letterati e scienziati dell'epoca si formarono filosoficamente alla sua scuola, tra cui due grandi nomi Dante Alighieri considerato il padre della lingua italiana e William Shakespeare della lingua inglese.


Boezio e l'Aritmetica in un manoscritto tedesco del XV secolo © Wikipedia

Nel Paradiso di Dante, Boezio è uno degli spiriti sapienti del IV Cielo del Sole che formano la prima corona di dodici spiriti e ricorda le sue opere con i versi del X Canto del Paradiso (vedi versi 124-129 nell'introduzione), che così si possono tradurre:

Dentro vi gode l'anima santa che dimostra la fallacia del mondo a chi legge bene le sue opere (riferendosi a quelle di Severino Boezio), giacché ora vede il sommo bene.
Lo corpo da cui essa fu strappata giace sulla Terra nella basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro; e la sua anima giunse a questa pace dal martirio e dall'esilio terreno. 

Il periodo di composizione del "De consolatione philosophiae", che risale al 523 circa, vede infatti Anicio Manlio Torquato Severino Boezio rinchiuso in un carcere nei pressi di Pavia, dove attende l'esecuzione capitale che subirà nel 525.
Pur essendo stato il principale collaboratore di Teodorico, ricoprendo la carica di Magister Officiorum, nei suoi ultimi anni il re ostrogoto, divenne sospettoso di tradimenti e congiure, e Severino cadde in disgrazia, fu imprigionato con l'accusa di praticare arti magiche e quindi giustiziato a Pavia, città che ne custodisce appunto i resti nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, dopo che Papa Leone XIII ne approvasse il culto per la Chiesa.


Boezio in prigione, miniatura, 1385 © Wikipedia

Boezio, nel clima di rilancio della cultura che la pace rese possibile durante il regno di Teodorico, concepì anche l'ambizioso progetto di tradurre in latino le opere di Platone e di Aristotele.
Non si occupò solo di filosofia ma tradusse Euclide, nel "De geometria", nel quale vi sono anche la descrizione dell'abaco e l'esposizione dei calcoli aritmetici con esso eseguibili, e scrisse "De Istitutione Artmetica" (nel 500 circa), un adattamento delle Introductionis Arithmeticae di Nicomaco di Gerasa (c. 60 - c. 120) e il "De Institutione musica" (del 510), che si basa su un'opera perduta di Nicomaco di Gerasa e sulla Harmonica di Tolomeo.
Secondo le moderne indagini filologiche sembra invece che l’"Ars Geometrica" non sia di Boezio, bensì un’opera medievale risalente al secolo XI, e che raccolga contributi di vari autori.


Boezio insegna agli studenti, miniatura, 1385 © Wikipedia

Proprio da un'errata interpretazione dell'"Ars geometrica" deriverebbe l'errata dicitura della famosissima cosìddetta "tavola pitagorica".

Abaco e algoritmo

Ma andiamo per ordine e cerchiamo di capire l'aria "aritmetica" che si respirava in quel periodo, facendo prima un passo indietro.  
Molti sono i documenti storici che attestano che le cifre, compreso lo zero , e la notazione decimale posizionale furono inventate dagli indiani nel V secolo d.C., che diffusero l’invenzione presso i "greci di Alessandria nell’epoca classica del Sincretismo. Da essi sarebbe passata ai Neo-Pitagorici (di cui è nota la propensione ad accogliere le idee braminiche), l’ultimo dei quali fu appunto Manlio Severino Boezio. Da Boezio l’avrebbe appresa Gerberto, il quale, a sua volta, l’avrebbe diffusa in tutta l’Europa, non esclusa la Spagna; quivi gli arabi l’avrebbero trovata e se ne sarebbero impadroniti.” 
(Gino Loria, Le scienze esatte nell’antica Grecia, Hoepli, Milano, 1914, pp. 800-807)
Loria si riferisce a Gerbert d’Aurillac (938-1003), filosofo e matematico francese che venne eletto papa con il nome di Silvestro II.
Siamo intorno all’anno 1000 e ci troviamo così di fronte ad un passaggio epocale nella storia, quando Gerbert d’Aurillac introduce le cifre indo-arabiche nell’occidente cristiano.


Esempio di abaco a bottoni di epoca romana
 Nell'esempio in figura si vede come rappresentare 
il numero 120512

Fino ad allora per i calcoli ci si era sempre affidati all'uso dell'abaco ¹ (prima abaco romano poi abaco medioevale), anzi a dir il vero l'abaco fu usato in Europa a partire dai periodi degli antichi greci e babilonesi, come riferisce Erodoto (lo stesso storico greco afferma come già gli egizi lo conoscessero) e anche nella Roma antica si impiegavano tali strumenti, usando tavolette di metallo con scanalature parallele su cui scorrevano palline mobili oppure tavolette di legno coperte di sabbia. 
Anche presso i popoli orientali erano in uso attrezzi simili: in Cina sono stati ritrovati abachi risalenti al VI secolo a.C., che utilizzavano come calcoli bastoncini di bambù.
Nel tardo medioevo comparve un abaco a colonne e a linee orizzontali rappresentanti successive potenze di 10 che deve la sua introduzione agli 'apici' di Boezio.


 Gli 'apici' di Boezio in un manoscritto latino dell’ XI secolo
Cifre ‘indo-arabe’ dette ghobār

Il significato del nuovo abaco medioevale detto anche "mensa pythagorea" ("tavola pitagorica" o "arco pitagorico") era mutato profondamente rispetto all’antico abaco romano, in quanto esso, oltre a fornire uno strumento di computazione, consentiva ormai di rappresentare un numero per mezzo di 'apici' (numerali), a meno dello zero, realizzando un notevole passo verso il trasferimento del principio di posizione dall’abaco alla rappresentazione scritta dei numeri.


La Scacchiera di Gerberto con i gettoni che hanno inciso un valore numerico 
che va moltiplicato per l’indice della posizione (unità, decine, centinaia) 
espressa in alto in cifre romane. 
Si può notare però che le cifre sui gettoni non sono espresse in caratteri romani, 
ma nel nuovo sistema posizionale di origine indiana. © Archeo CPU

Fu un vera rivoluzione e l’aritmetica prenderà il largo grazie all’eredità indiana della numerazione posizionale ed alla nuova notazione numerica dovuta all'uomo, Gilberto, di grande talento, matematico e di profonda cultura, al punto che la sua sapienza gli portò, inevitabilmente per quei tempi di oscurantismo, accuse di stregoneria.
Questo passaggio epocale porterà a un lento ma inevitabile declino dell'abaco e delle tavole a lui collegate per un uso sempre più consolidato dell'"algoritmo", termine con cui inizialmente era chiamato il sistema di numerazione scritta posizionale nei paesi latini, e dei nuovi metodi di calcolo basati appunto sul nuovo sistema posizionale.
Quest’ultimo rese obsoleto l'uso dell'abaco principalmente per le difficoltà di eseguire i calcoli con il vecchio sistema di numerazione additivo.


"Carmen de Algoritm" 
Alexander de Villa Dei nel 1240 circa (o 1225) scrive la Canzone dell’Algoritmo 
letta e riletta nei conventi e nelle università da chiunque si occupasse di aritmetrica
Prima significat unum; duo vero secunda;
Tertia significat tria; sic procede sinistre
Donec ad extremam venias, quae cifra vocatur.² 

Infatti, il nuovo sistema di numerazione posizionale permetteva sia di rappresentare i numeri con maggior economia di simboli, sia proprio di semplificare i procedimenti del calcolo scritto, e pertanto vanificò il vantaggio dell'abaco, decretandone, in Europa, la definitiva scomparsa. 
Definitiva scomparsa che, come detto, fu comunque lenta, come lenta fu la definitiva introduzione del nuovo sistema numerico 'indiano' e le "tavole per contare" (vale a dire gli abachi a gettone dette anche "mense pythagoree") continuarono a sopravvivere in Europa fino al XVIII secolo soprattutto tra i commercianti, i finanzieri, i banchieri e i funzionari statali, o per verificare che i calcoli scritti fossero esatti, fin quando la Rivoluzione francese ne proibì l’uso.
Nacquero, come sempre due scuole contrapposte: gli algoritmisti che si contrapponevano agli abachisti, l’immortale scontro tra innovatori e conservatori.


Immagine contenuta nell’opera Margarita Philosophica 
di Gregor Teisch (1503)  © Wikipedia

Nella illustrazione qui sopra, tratta dall’opera enciclopedica "Margarita philosophica" realizzata da Gregor Reisch nel 1503 è rappresentata questa competizione.
Illustra in forma allegorica la diatriba fra abachisti (rappresentati da Pitagora) e algoritmisti (rappresentati da Boezio). Una figura femminile personifica l’Aritmetica e, dallo sguardo rivolto verso Boezio alla sua destra, si arguisce la preferenza data al calcolo tramite le nuove cifre indiane.
Comunque con la distinzione fra abaco e algoritmo si concluse la disputa fra abachisti e algoritmisti, vale a dire fra coloro che sostenevano i vantaggi del calcolare per mezzo dell’abaco oppure con il sistema di numerazione scritta.
Anche se non va dimenticato che l’abaco è il progenitore di tutte le macchine calcolatrici meccaniche ed elettromeccaniche, fino al primo colosso elettronico uscito nel 1946, l’ENIAC


Errore di trascrizione

L'abaco nell’Ars Geometrica, denominato "mensa pythagorea", è quindi da attribuire ai neo-pitagorici della scuola alessandrina, cui apparteneva appunto Boezio.  
Nel riprodurre successivamente il manoscritto dell’Ars Geometrica, un copista, per errore, sostituì all’abaco neo-pitagorico la comune tavola di moltiplicazione, di aspetto molto simile, conservando però per quest’ultima il nome di "tavola pitagorica", che invece designava l’abaco neopitagorico. 
Questo perché gli amanuensi non erano studiosi delle diverse discipline, copiando e basta, non per forza dovevano conoscere quello che c'era scritto. Copiare è facile e non serve quasi mai ragionare.
Fu proprio quello che capitò per colpa di uno di questi trascrittori, piuttosto sbadato e sicuramente non avvezzo alla matematica, che scambiò per errore un abaco pitagorico (sconosciuto ai più) per una tabella della moltiplicazione, che invece probabilmente conosceva, in quanto già diffusa al tempo. 
In Europa, infatti, la prima tavola moltiplicativa di cui si abbia notizia certa fu opera di Vittorio d'Aquitania, il quale la realizzò intorno al 450, ma con cifre romane. 
Fatto sta che i libri successivi a quello sono stati copiati con questo grossolano errore e a noi è arrivata la tavola della moltiplicazione con il nome di "tavola pitagorica". 


Quaderno Scolastico Liberty Anni '20 con tavola pitagorica e tabella lezioni

Quindi, la tavola di moltiplicazione che tutti noi conosciamo, fin dalle prime classi elementari (le famose esecrate tabelline), come "tavola pitagorica" non deve il suo nome né a Pitagora né ad alcuno dei suoi seguaci, bensì soltanto a un errore di trascrizione. 
Un bello sbaglio che ha in qualche modo condizionato tutti gli studenti  per secoli!
Così, come molto spesso le fake news riscontrino più attendibilità delle verità storiche, ancor oggi si perpetua questo falso storico e si continua ad attribuire a Pitagora la paternità della tavola di moltiplicazione che mai si sognò di ideare.
Potremmo anche considerarlo un insegnamento per capire quanto si debba essere attenti a non sbagliare, senza copiare e basta, e quanto il cercare sempre di ragionare sia un ottimo vantaggio!

Le tabelline

Cerchiamo di definire cos'è questa tabella moltiplicativa.


Matrice simmetrica moltiplicativa con aggiunta dello zero

E' una matrice simmetrica di numeri naturali caratterizzata dal fatto che il valore presente nella posizione individuata dalla riga i e dalla colonna j è il prodotto di ixj.
Perché simmetrica?
Essendo utilizzata per eseguire moltiplicazioni con il sistema numerico decimale e godendo il prodotto di due numeri naturali della proprietà commutativa (ixj = jxi), è immediato notare che è una matrice quadrata che ha la proprietà di essere la trasposta di se stessa, come viene definita appunto una matrice simmetrica nell'Algebra lineare.
Vale a dire che le cifre che la compongono sono simmetriche rispetto alla diagonale principale (nord/est - sud/ovest), che va dall'angolo in alto a sinistra a quello in basso a destra. 
In questa diagonale (evidenziata in azzurro nella figura) si trovano i quadrati dei numeri corrispondenti, quei numeri che, come si vede, si ottengono moltiplicando un numero per se stesso. 
In ambito scolastico essa ha solitamente 10 righe e 10 colonne (11 se contiene anche la cifra zero) e ogni riga e/o colonna di tale matrice è chiamata "tabellina". 
Per esempio, la riga (o colonna) corrispondente al quattro è detta "tabellina del 4",  corrispondente al sette "tabellina del 7" e così via.

Volendo usare un linguaggio prettamente matematico, questa tabella potremmo definirla una "tabella di Cayley", detta anche tavola di composizione, che è una tabella a doppia entrata che descrive la struttura di un gruppo finito. 
La tabella, che deve il nome al matematico britannico Arthur Cayley , è così definita:
Dato un gruppo (per noi le cifre da 0 a 10, definite ì e j in riga e colonna) e un'operazione binaria (la moltiplicazione nel nostro caso), per ogni coppia di elementi del gruppo, l'intersezione della riga i e della colonna j (in cui sono riportati gli elementi del gruppo) contiene il risultato del prodotto ixj.


In definitiva possiamo chiamarla "tabella moltiplicativa", "tavola di moltiplicazione", "tavola delle tabelline" o più pomposamente "tabella di Cayley" ma non chiamiamola "tavola pitagorica" per evitare di perpetrare questo falso storico che vorrebbe attribuirne a Pitagora la paternità.




Note

¹ Il termine "abaco" deriva dal latino abacus, tramite la forma genitiva ἄβακας del greco ἄβαξ, che proviene a sua volta dall'ebraico חשבונייה, "polvere". Infatti il termine originario si riferiva ai primi abachi costituiti da una tavoletta su cui spargere polvere di sabbia.
Va anche ricordato che nel Medioevo in Europa alla parola abaco si attribuiva solitamente il significato di aritmetica in senso generale, e a riprova di questo vi è il titolo di un importantissimo libro di Leonardo Fibonacci, "Liber abbaci", pubblicato nel 1202. 
² Il che significa che zero non è considerato al primo posto nella successione dei numeri naturali, ma è la decima cifra, quella che viene per ultima, dopo il 9.

Fonti

Immagini 
© Wikipedia
© Archeo CPU
http://matematica.unibocconi.it/articoli/la-tavola-pitagorica#11UP



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