Viviamo in un mondo che celebra la perfezione, la velocità, l’efficienza, ma è nel limite, nell’errore e nell’incompleto che spesso si nascondono le verità più profonde.
La stessa nozione di "verità imperfetta" può sembrare una contraddizione. La verità, per definizione, non dovrebbe forse essere integra, definitiva, immune da ambiguità?
E tuttavia, sia la logica matematica che l’estetica tradizionale giapponese ci suggeriscono il contrario, cioè che esistono verità non dimostrabili, bellezze non simmetriche, forme non rifinite che contengono, proprio per questo, una forma più alta di autenticità.
Questo mio articolo nasce dal desiderio di proporre un dialogo inusuale tra tre ambiti solo apparentemente distanti:
. la sensibilità estetica del wabi-sabi,
. il teorema di incompletezza di Kurt Gödel e
. la tecnica ceramica raku
mettendoli a confronto per riflettere sul ruolo positivo dell’imperfezione e del limite nella verità, nella bellezza e nella creazione.
Cosa ci suggeriscono, nel loro insieme, rispetto al concetto di imperfezione e alle strutture del sapere e della creazione?
Wabi-sabi scritto in giapponese
Wabi-sabi – Bellezza senza controllo
Il wabi-sabi è una sensibilità estetica giapponese che valorizza l’imperfetto, il transitorio, l’incompleto.
Nelle forme asimmetriche, nei materiali grezzi, nelle superfici segnate dal tempo, si manifesta una bellezza intima e sobria.
Il wabi-sabi non ricerca l’eternità, ma accoglie il divenire, non pretende la perfezione, ma la fragilità.
Derivato dalle pratiche Zen e dalla cerimonia del tè, il wabi-sabi suggerisce una visione del mondo in cui l’essere è sempre in divenire.
È una filosofia del tempo, della precarietà e della profondità in cui l’oggetto bello non è quello che sfida il tempo, ma quello che lo incorpora visibilmente in sé: nella patina, nella scheggiatura, nell’asimmetria.
Il valore non risiede nella finitezza dell’opera, ma nella sua capacità di evocare un silenzio contemplativo, un vuoto fertile.
Caricatura di Kurt Gödel dalla copertina del libro di Deborah Gambetta
Gödel – L’incompletezza come verità
Nel 1931, il logico austriaco Kurt Gödel pubblica i suoi celebri teoremi di incompletezza, modificando radicalmente la visione della logica formale e dei fondamenti della matematica.
Il primo teorema afferma che in ogni sistema assiomatico coerente e sufficientemente potente da includere l’aritmetica esistono proposizioni vere che non sono dimostrabili all’interno del sistema stesso.
Il secondo teorema stabilisce che la coerenza di un tale sistema non può essere dimostrata all’interno del sistema medesimo.
Queste affermazioni hanno implicazioni profonde e negano la possibilità di fondare la matematica su un sistema formale completo e chiuso, come sperato nel programma di David Hilbert.
In una lettera a John von Neumann (1931), Gödel scrive:
“Per ogni sistema formale coerente, ci sarà sempre un enunciato che afferma la propria verità ma non può essere provato nel sistema.”
L’incompletezza, dunque, non va intesa come fallimento, ma come un limite strutturale e costitutivo.
Essa introduce una soglia epistemica che separa ciò che è formalmente derivabile da ciò che è logicamente (o intuitivamente) vero.
Una soglia che, lungi dall’essere un difetto, garantisce la vitalità della ricerca matematica, come dire che vi è sempre qualcosa di vero che attende di essere pensato, ma non può essere dedotto.
A prima vista, il teorema di Gödel e la filosofia estetica del wabi-sabi appartengono a mondi inconciliabili: uno nasce dalla logica formale del primo Novecento, l’altro da una sensibilità millenaria orientale.
Eppure entrambi mettono in discussione l’idea di completezza e di perfezione come ideali assoluti.
Nel wabi-sabi, l’imperfezione non è un errore da correggere, ma una qualità da accogliere e, allo stesso modo in Gödel, l’incompletezza non rappresenta un fallimento del sistema, ma una verità più profonda: che ogni costruzione formale lascia fuori qualcosa, un “di più” che non può essere catturato da regole.
Entrambe le visioni condividono l’accettazione del limite come apertura.
Il silenzio lasciato da ciò che non si può dimostrare (in Gödel), come lo spazio vuoto o la crepa in una tazza wabi-sabi, non è un difetto: è ciò che rende l’opera viva, e la verità accessibile solo attraverso un’intuizione non completamente formalizzabile.
Opere Raku delle artiste Natalia Lubomirski e Cinzia Fantozzi
con le allieve Maria Grazia Giustizieri e Giusi Manini
Foto dalla mostra "L'imperfezione della bellezza"
Immagine elaborata da Annalisa Santi
Raku – L’opera è il fuoco
La ceramica raku nasce in Giappone nel XVI secolo, strettamente legata alla cerimonia del tè e alla filosofia Zen.
L’argilla viene cotta rapidamente e poi estratta dal forno incandescente per essere posta in materiali combustibili.
Il risultato è imprevedibile e ogni pezzo è unico, segnato dal caso, dalla materia, dal fuoco.
Le crepe dello smalto, il tipico "craquelé", non sono difetti, ma tracce del processo, impronte del tempo e della trasformazione.
Come lo spazio vuoto o la crepa in una tazza wabi-sabi, anche il craquelé del raku non va nascosto ed è ciò che rende l’opera viva.
È in queste fratture che si riflette una verità non programmata, accessibile solo attraverso un’intuizione che sfugge alla pianificazione e al controllo formale.
Il controllo dell’artista è solo parziale e l’opera accade, più che essere progettata.
Il raku diviene quindi l'espressione materiale di un principio condiviso con Gödel e il wabi-sabi, vale a dire la creazione che accetta l’incertezza, l’unicità, l’irripetibile.
Wabi-sabi, Gödel e Raku – Tre visioni, un principio comune
In definitiva Wabi-sabi, Gödel e Raku convergono, in modo sorprendente, nella valorizzazione del limite e dove la perfezione logica fallisce, si apre lo spazio della verità irriducibile.
Dove la bellezza si libera dal canone simmetrico, nasce una nuova sensibilità, e dove l’opera non è totalmente controllata, può manifestarsi l’inaspettato.
L’imperfezione, in questo senso, non è una mancanza ma una condizione necessaria.
In una contemporaneità che tende a privilegiare l’efficienza, la completezza e il controllo, queste tre visioni offrono un’alternativa che consiste nel riconoscere valore nel non finito, nel non detto, nel non calcolabile. L’incompletezza - logica, estetica e materiale - non va temuta, ma riconosciuta come apertura verso ciò che eccede il sistema, la regola, la forma.
Una zona dove la verità e la bellezza non si dimostrano, ma si intuiscono, si lasciano accadere.
L'affascinante e intrigante tecnica raku in questo video da CineFilosofia