sabato 8 novembre 2014

La matematica e la libertà di negare

"La matematica è l'espressione di una libertà umana che si manifesta nella creazione di mondi..." Queste parole di Imre Toth riportano alla mente un'altra significativa frase di Georg Cantor che affermò che "L'essenza della matematica risiede nella sua libertà" (frase che a sua vola trasformava una celebre frase di Hegel “l'essenza dello spirito è la libertà”).





Irme Toth (1921 - 2010), filosofo e storico della matematica, e Georg Cantor (1845-1918), illustre matematico noto per la teoria degli insiemi e per il concetto d'infinito assoluto che identificò con Dio, credo si possano citare e accumunare come esempi di ricerca volta a dimostrare lo stretto legame tra la creazione matematica e la libertà della speculazione filosofica.
In particolare per Irme Toth la libertà è l’essenza della matematica, definita come un "un événement de l’esprit, immerso nel quadro etico-politico della presa di coscienza della libertà". 
"La matematica appartiene a questo spirito e lo sviluppo della matematica non è che un movimento proprio dello spirito". 
"La matematica è l’espressione di una libertà umana che si manifesta nella creazione di mondi, che è una prerogativa divina, e questa creazione è veicolata da un atto di cui solo l’essere umano è capace: la negazione"
Toth afferma che la matematica attinge alla dimensione della libertà umana per creare mondi diversi ed opposti (quali, per esempio, il mondo euclideo e quello non-euclideo), negando un codice già affermato, per strutturarne liberamente un altro.
La speculazione di Toth si basa quindi sulla concezione di un sapere matematico problematizzato ed esteso a dimensione dello Spirito, caratterizzato, nella sua essenza, dalla libera creatività che si concretizza nell'atto della negazione.




Ma vediamo di conoscere meglio questo moderno pensatore.
Ci aiuta in questo la sua autobiografia "Matematica ed emozioni", che partendo dagli avvenimenti e dalle vicissitudini che hanno caratterizzato la sua giovinezza (studi, circostanze di vita drammatica, fughe, condanne, prigionie, evasioni.....), arriva a introdurre la sua visione della matematica, definendola come espressione non solo di un'indagine razionale ma soprattutto filosofica, nonché come presa di coscienza e riflessione etica.
Studiò in un liceo cattolico, dove non trovò risposta ai suoi dubbi sui problemi matematici a causa di insegnanti impreparati o poco disponibili al dialogo. Aveva infatti avuto l’impertinenza di chiedere ragione ai suoi insegnanti del perché moltiplicando due numeri, chiamati "negativi", si ottenesse un numero positivo, come se un debito per un debito desse un credito o una temperatura bassa moltiplicata con un'altra bassa ne desse una alta. Gli insegnanti non davano risposte e Toth preferì interessarsi a speculazioni di tipo filosofico. Per questo in seguito con l'aiuto del padre, Abraham Roth, (Imre falsificò poi i propri documenti in Toth per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei) fu mandato al seminario teologico rabbinico di Francoforte, per poter avere accesso alla ricca biblioteca filosofica dell'istituto. Ritornato all'Università di Cluj, grazie ad un corpo docente preparato si appassionò allo studio della matematica. 
Cercò le risposte nei libri dei matematici, prima di quelli moderni (CardanoCavalieri, Leibniz), poi sistematicamente nei pensatori greci, muovendo da una convinzione che si fece metodo storiografico: la necessità di partire dal sapere del proprio tempo per studiare quello del passato. 
Anzi, secondo Imre Toth, alla luce delle acquisizioni della matematica sul calcolo infinitesimale ed in particolare a quelle relative alle geometrie non euclidee, si possono, scoprire nella matematica greca, profondità dimenticate e rimosse proprio a causa di una visione puramente razionalistica della matematica.
Imre Toth ha saputo ricostruire questa storia, identificando ed analizzando i passi non-euclidei presenti già in Platone (427 - 347 a.c.) e in Aristotele (384 - 322 a.c.), nonché in altri matematici del Settecento e dell’Ottocento, che hanno proposto testi molto vicini alla geometria non-euclidea di Lobatschewskij e Bolyai, nonché sottolineando come le geometrie non euclidee si siano affermate diversi decenni dopo la loro scoperta e per di più in Italia, in pieno Risorgimento.

Platone e Aristotele di Luca Della Robbia, formella del campanile di Giotto
Museo dell'Opera del Duomo, Firenze

Aristotele nel "De Caelo" (Περὶ οὐρανοῦ), ammette come ipotesi che sia impossibile che un triangolo abbia i 3 angoli pari a 2 angoli retti, che è come dire che sono possibili triangoli non euclidei.
Inoltre nell’"Etica Eudemia" (Ηθικά Ευδήμεια) Aristotele indica la decisione sulla scelta tra assiomi euclidei (il triangolo euclideo) e non euclidei (il triangolo non-euclideo) come esempio di un libero atto di scelta tra due poli, laddove il ragionamento logico non può dare indicazioni orientative: l’Ethos è sopra il Logos, la libertà del soggetto, secondo Toth è il fondamento dell’essere matematico e così sarà anche per Cartesio che sosterrà che il teorema euclideo, il quale afferma che la somma degli angoli interni di un triangolo equivale a due angoli retti, è così solo perchè la libertà di Dio l’ha voluto così, non perchè sia più vero dell’ipotesi contraria (Mèditations mètaphysiques). 
Ed ancora Aristotele dice che "proveremmo lo stesso piacere se la somma degli angoli interni di un triangolo fosse uguale a due angoli retti, ma anche se non lo fosse". La scelta infatti non dipende da motivazioni logiche ma dall’ esercizio della libertà del soggetto.

La coscienza dispone della libertà di negare tutto un mondo, quello stabilito da Euclide, e di creare – grazie al solo mezzo della negazione – un nuovo mondo. (…) Ma a questo punto le due creazioni, le due geometrie dispongono di uguali diritti di esistenza e di verità. Invece di essere distruttiva, la negazione si rivela creativa! Di conseguenza la verità non è un limite alla libertà, bensì è la libertà ad essere fonte della verità” 

Ma vediamo di "far luce" sulle conseguenze di questa libertà di negazione, libertà di negare il V postulato di Euclide, che ha portato alle geometrie non Euclidee.


Fig. 1: Triangolo Ellittico Iperbolico Euclideo

Il V postulato di Euclide, più noto come il Postulato (o l’assioma) delle parallele, ha rappresentato il punto cruciale per lo sviluppo della Geometria e della stessa Matematica.
Esso possiede varie formulazioni equivalenti, la più nota delle quali recita:

1)   Data una retta r ed un punto P che non le appartenga, esiste un’unica retta s  passante per P e ad essa parallela.
(in questo caso, poiché rs, si ha: r  s r s =).

Questa formulazione è nota dal 1818 ad opera di Gergonne, ma molto probabilmente risale a tempi precedenti, ed apparirà nella sistemazione della geometria Euclidea dovuta a David Hilbert.

La formulazione originaria di Euclide fu la seguente:
2) Se due linee sono tagliate da una trasversale in modo tale che la somma degli angoli interni da una parte della trasversale è minore di 180°, allora le due linee s’intersecano dalla stessa parte della trasversale.
Un’altra interessante formulazione dello stesso postulato è:
3) La somma degli angoli interni di un triangolo è 180°.

Il problema fondamentale su questo postulato (o assioma) fu, quasi dall'inizio, il tentativo di capirne la necessità e la dipendenza o meno dagli altri assiomi. 
Sembra, infatti, abbastanza curioso e sintomatico che lo stesso Euclide lo abbia adoperato il meno possibile.
Per diverse ragioni quest’assioma non sembrò autoevidente, come gli altri, probabilmente perché i Greci avevano familiarità con linee, dette asintotiche, che pur non incontrandosi in alcuna regione limitata del piano, tendevano ad incontrarsi all’infinito. Non era dunque evidente che per un punto esterno ad una retta si potesse tracciare soltanto una parallela.
Occorsero molto tempo e l’ingegno di molti Matematici per dirimere la questione,  provando l’indipendenza con la costruzione di modelli di due nuove geometrie, dette Geometrie Non Euclidee, che, dal punto di vista della logica matematica, sono equivalenti alla Geometria Euclidea nel senso che ciascuna di esse è consistente se e solo se lo è la geometria Euclidea. (In realtà per geometria non Euclidea si deve intendere una qualsiasi geometria differente da quella di Euclide.)

Volendo schematizzare il problema, si può procedere secondo due direttive:

1) Cancellare il V postulato e studiare tutto quello che si può dedurre dai rimanenti postulati. Si ottiene una geometria nota come Geometria assoluta o neutrale.
2) Cercare di dimostrare la dipendenza del V postulato assumendo come ipotesi la sua negazione. Se si giunge ad una contraddizione questo significherà che il V postulato è in realtà deducibile dagli altri. Poichè il postulato in questione contiene due affermazioni, una di esistenza e l’altra di unicità, è possibile procedere in due modi negando solo l’unicità oppure negando l’esistenza.

Tutti i tentativi non portarono ad alcuna contraddizione; nacquero così due nuove geometrie,  dette appunto non Euclidee: 
1) la geometria iperbolica (Bolyai, Gauss, Lobachevsky) 
2) la geometria ellittica (Gauss, Riemann)
e l’indipendenza del V postulato fu definitivamente stabilita quando si costruirono modelli di tali geometrie (Beltrami, 1868).

1) Il caso iperbolico: data una retta ed un punto P non appartenente ad essa esistono diverse rette per P ad essa parallele.
Equivalentemente: la somma degli angoli interni di un triangolo è minore di 180°.
È necessaria una precisazione. La negazione del V postulato deve essere formulata 
nel seguente modo: esiste una retta r ed esiste un punto P fuori di essa tale che 
almeno due diverse parallele a r passano per P.
Oppure: esiste un triangolo tale che la somma dei suoi angoli interni è minore di 180°.
Tuttavia, partendo da queste ipotesi è possibile dimostrare che la proprietà ipotizzata vale per tutte le scelte di una retta e di un punto fuori di essa, e per tutti i triangoli.  

2) Il caso ellittico: data una retta ed un punto P non appartenente ad essa, non esiste alcuna retta per P ad essa parallela. 
Equivalentemente: la somma degli angoli interni di un triangolo è maggiore di 180°.

Lo stesso Euclide, mentre riteneva evidenti i primi quattro postulati della sua 
geometria, non considerava altrettanto evidente il quinto detto “delle rette 
parallele”, infatti questo postulato non rimanda ad alcuna costruzione 
geometrica che possa limitarsi sempre ad una porzione finita di piano. Vani 
sono stati i tentativi, fatti sino ad oggi dai matematici, di dimostrare, riformulare o sostituire il quinto postulato. 
Alcuni studiosi come Gauss, Bolyai, Lobabacevskij, Riemann nei primi del XIX secolo, hanno costruito delle geometrie che, negando il quinto postulato, hanno dato vita alle geometrie dette appunto non euclidee.




Fig. 2: Due rette aventi una perpendicolare in comune nelle tre geometrie 
Nella geometria iperbolica le rette divergono, ed è quindi possibile trovare molte rette parallele 
(cioè che non si intersecano). 
Nella geometria ellittica le rette convergono e quindi non esistono rette parallele.

Come disse Toth “L’emergere delle geometrie non-euclidee è stato il momento decisivo nel quale il soggetto delle matematiche ha preso coscienza della sua immanente libertà, della sua libertà di assegnare la verità, nello stesso tempo, a due proposizioni assiomatiche contraddittorie. L’assioma logico della contraddizione conserva invariabilmente la sua rigorosa validità all’interno di ciascuno dei due opposti universi”. (…) “Grazie alla Geometria non euclidea, il soggetto della Matematica è divenuto consapevole della sua stessa libertà, allo stesso modo ha preso coscienza che ciò che costituisce la sua essenza: è la libertà di scegliere ciò che è necessario e che, all’interno della scienza Matematica, accettare la pluralità dei mondi e delle verità costituisce una necessità”.
Toth affermò che, in Matematica, la vera grande rivoluzione era stata la scoperta  delle geometrie non euclidee, ignorata per decenni dai matematici e diventata di dominio pubblico solo all’inizio del secolo scorso. Alla base di questa riottosità si trova una notevole contraddizione: una creazione che deriva da una negazione (e questo era inconcepibile nel mondo ancora rigoroso e fondato sul "principio di non contraddittorietà" come quello matematico). Ma Toth si spinge oltre affermando che accettare le geometrie non euclidee significa accettare una concezione diversa dello spazio. Il mondo non è più unico. Esiste una pluralità di mondi generata dalla libertà delle idee e qui il momento decisivo: “si afferma una libertà di scelta tra cose ugualmente possibili”.
Scegliere è difficile perché la libertà di scelta è prerogativa di un uomo totalmente libero!





Per molto tempo però i matematici furono angustiati da due domande: 
qual è la geometria dello spazio in cui viviamo?
qual è la geometria vera?

Alla seconda domanda fornì una famosa risposta Henri Poincaré 
"Se la geometria fosse una scienza sperimentale, non sarebbe una scienza esatta, ma sarebbe soggetta a continue revisioni.Gli assiomi geometrici non sono né intuizioni sintetiche a priori, né fatti sperimentali. Essi sono convenzioni.
La nostra scelta tra le possibili convenzioni è guidata dai fatti sperimentali; ma rimane libera, ed è solo limitata dalla necessità di evitare ogni contraddizione.
Che cosa pensiamo della domanda: la geometria euclidea è vera?
Non ha senso. Potremmo egualmente chiederci se il sistema metrico è vero e se i vecchi pesi e misure sono falsi; se le coordinate cartesiane sono vere e le coordinate polari sono false.Una geometria non può essere più vera di un’altra, può solo essere più conveniente".
E la geometria Euclidea può essere pensata come la più conveniente?
Se lo è per l’ordinaria ingegneria, non lo è per la teoria della relatività.
Inoltre, Luneburg  ha sostenuto che il nostro modo di percepire lo spazio, cioè la trasmissione visiva dello spazio al nostro cervello attraverso i nostri occhi, è più convenientemente descritto dalla geometria iperbolica.

Esperimento e misurazioni di Gauss del 1820

Quale risposta dare alla prima domanda? Qual è la geometria dello spazio in cui viviamo?
Poiché il postulato delle parallele e le sue due varianti, iperbolica ed ellittica, sono esprimibili in termini di somma degli angoli interni di un triangolo, si potrebbe pensare di misurare sperimentalmente tale somma.  
Gauss, che dubitava del carattere euclideo dello spazio, ideò un famoso esperimento usando tre vette di montagne (visibili nonostante la curvatura della terra) come vertici del triangolo (il più grande di questi triangoli aveva come vertici le cime dei monti Hohenhagen, Brocken e Inselberg, e il lato maggiore misurava 107 km.), ma il risultato fu inconcludente forse proprio perché gli strumenti e le rilevazioni si basavano su concetti euclidei (progettò egli stesso un raffinato strumento ottico in grado di riflettere un raggio luminoso in una sola direzione).
Quindi la discussione può e deve essere più sottile:
- gli strumenti non sono forse pensati e costruiti sulla base di assunzioni euclidee?
- i raggi luminosi non potrebbero viaggiare su linee curve?
- lo spazio di dimensioni cosmiche non potrebbe essere governato da geometrie diverse da queste?
Quest’ultima è in realtà la convinzione scientifica attuale.
Secondo Einstein spazio e tempo sono inseparabili e lo spazio-tempo è affetto dalla materia di modo che i raggi di luce possono essere incurvati per effetto dell’attrazione gravitazionale delle masse.
Il problema è dunque più complicato di quanto Euclide e Lobachevsky immaginassero e nessuna delle loro geometrie è adeguata per la nostra presente concezione dello spazio.
Naturalmente, ciò non diminuisce l’importanza storica delle geometrie non-euclidee.
Einstein disse:"A quest’interpretazione della geometria io attribuisco grande importanza, perchè se non avessi avuto familiarità con essa, mai sarei stato in grado di sviluppare la teoria della relatività."
Einstein sviluppò una geometria appropriata per la relatività generale  partendo dalle idee di Riemann e dalla geometria che da lui prese il nome di Geometria Riemanniana.

Gli effetti sulla matematica della scoperta di geometrie non euclidee furono di notevole portata: entrò in crisi il concetto di assioma, si sviluppò lo studio dei problemi fondazionali, si giunse, sia pure a distanza di tempo, al processo di formalizzazione (dai sistemi formali ai teoremi di Gödel), nacquero nuove discipline tra cui la geometria frattale che, partendo dalle intuizioni di Gaston Julia (1893-1978), e studiata in modo teorico ed astratto, dai matematici George Cantor (1895-1919), Giuseppe Peano (1858-1932), David Hilbert (1862-1943) e Helge von Kock (1870-1924), fu finalmente visualizzata, come oggetti frattali, da Benoit Mandelbrot (1924 - 2010) mediante il calcolatore, diventando un mezzo di interpretazione della realtà e della natura. 

Video - L’insieme frattale di Mandelbrot

La Matematica quindi ha dimostrato di poter disporre della libertà di negare tutto un mondo, come quello stabilito da Euclide, e di poter creare, grazie al solo mezzo della negazione, nuovi mondi, dando a tutti uguali diritti di esistenza e di verità
La negazione, invece di essere distruttiva, si rivela creativa e di conseguenza la libertà di negare riesce a essere fonte di nuove verità. 
Proprio come sosteneva Imre Toth "La matematica è l’espressione di una libertà umana che si manifesta nella creazione di mondi, che è una prerogativa divina, e questa creazione è veicolata da un atto di cui solo l’essere umano è capace: la negazione"


Fonti:
From the book:  
Geometrie non Euclidee di Silvia Benvenuti
Matematica ed Emozioni di Imre Toth
No! Libertà e verità, creazione e negazione di Imre Toth
From website: 
http://it.wikipedia.org
http://www.filosofico.net/filos1.html


domenica 19 ottobre 2014

Il Doctor Who e i numeri felici

Un articolo dedicato all'ultimo episodio dell'ottava edizione della serie più longeva del mondo, quella fantascientifica del "Doctor Who", è appena apparso oggi,  19 ottobre, sul sito interamente dedicato al popolarissimo reboot contemporaneo del grande classico dell’emittente britannica BBC.



"Doctor Who", la serie infatti iscritta nel Guinness dei primati come la "serie fantascientifica più longeva della storia della tv”, si riallaccia all’arco narrativo della precedente, omonima produzione, trasmessa nel Regno Unito, per ben ventisei stagioni, dal 1963 al 1989.
Al centro della vicenda c’è l’enigmatico “Dottore”, un extraterrestre dall’aspetto umano, originario del remoto pianeta Gallifrey e la sua cabina telefonica. 
Appartenente alla nobile schiera dei “Signori del Tempo”, il Dottore viaggia da un’epoca all’altra a bordo del TARDIS (suggestivo acronimo di “Time And Relative Dimension In Space”, ovvero “tempo e relativa dimensione nello spazio”), un’astronave appunto mimetizzata in forma di cabina telefonica.
Tipicamente britannica nel classico spirito avventuroso e nella colorita estetica pop, la serie Doctor Who, girata la boa del mezzo secolo (andata in onda infatti per la prima volta il 23 settembre del 1963),  è stata ringiovanita da nuovi protagonisti e dai sistemi produttivi dell’era digitale.



Peter Capaldi - Doctor Who

Dopo 12 protagonisti, ancora si presenta semplicemente come "dottore" e spesso gli altri rispondono con la domanda "il dottore chi?", che appunto in inglese è "doctor who?". Anche se ha un nome vero, si tratta di un segreto che non dovrà mai essere rivelato, a meno di voler porre fine a tutta l'Esistenza! 
I 12 protagonisti sono sempre diversi, perché in punto di morte i Signori del tempo si rigenerano, trasformandosi in un individuo dall'aspetto e dalla personalità diversi.
Beh questa loro capacità si scoprì nel 1966, quando la produzione dovette inventarsi qualcosa per gestire l'abbandono dell'attore protagonista William Hartnell. 
Un'idea rivelatasi poi geniale e chiunque sia l'attore (Peter Capaldi è l'ultimo che ha appena vestito i panni del Gallifreiano) il Dottore passa il proprio tempo viaggiando nello spazio e nel tempo. 
Questo garantisce alla serie una grande varietà, così né lo spettatore né gli scrittori (tra cui anche Douglas Adams) si annoiano mai.
E chissà forse nella prossima nona edizione potrebbe essere una donna a interpretare il Dottore!

Ma cosa c'entra la serie del Doctor Who con la matematica e con il numero 19? C'entra, c'entra!!!!!





In una delle ultime serie, non ricordo né quale né l'episodio, il nostro Dottore usa una sequenza di "numeri primi felici" (313, 331, 367, 379) come codice per sbloccare una porta sigillata su una nave spaziale in procinto di entrare in collisione con una stella. Emblematica la frase del Dottore quando scopre che nessuno sulla nave spaziale oltre a lui ha sentito parlare di numeri felici: "Non insegnano più matematica ricreativa?"
E oggi, 19 ottobre, dovrebbe essere decisamente un giorno felice!!!!
Oltre a essere domenica, giornata per molti di riposo e relax, e, meteoricamente parlando, una bella giornata di sole....ha tutte le caratteristiche per poter essere "felice", visto che il 19 è un "numero felice"!!!!
Cercherò di spiegare questa curiosità matematica, appunto adottata dal Doctor Who, ricordando che è detto "felice" o "non felice" (da non confondere con il numero di Harshad ¹ derivato dal sanscrito harsa "grande gioia") un numero così definito: 
Dato un numero n, si definisce una sequenza data dalla somma dei quadrati delle cifre di n; allora  n è felice se e solo se questa sequenza porta a 1. 
Ovvero tramite il seguente processo: 
Partendo da un qualsiasi numero intero positivo, si sostituisce al numero la somma dei quadrati delle sue cifre (o il quadrato della cifra se unica) e si ripete quindi il processo fino ad ottenere 1 (con ulteriori iterazioni che porteranno sempre a 1), oppure si entrerà in loop, ovvero in un ciclo che non porterà mai a 1. 
I numeri per cui tale processo darà 1 sono quindi "numeri felici", mentre quelli che non danno mai 1 sono "numeri infelici". 
Quindi il nostro 19 non può che essere un numero felicissimo, visto che è anche primo²!!!!!




Vediamone alcune caratteristiche.

  • I numeri felici sono infiniti. E come potrebbe essere altrimenti visto che è infatti evidente che, ad esempio, tutte le potenze di 10 siano numeri felici?
  • Sebbene non esista ancora dimostrazione di ciò, una ricerca su calcolatore fino a 1020 ha fatto ipotizzare che circa il 12% dei numeri sia felice,
  •  I 143 numeri felici fino a 1000 sono:
    1, 7, 10, 13, 19, 23, 28, 31, 32, 44, 49, 68, 70, 79, 82, 86, 91, 94, 97, 100, 103, 109, 129, 130, 133, 139, 167, 176, 188, 190, 192, 193, 203, 208, 219, 226, 230, 236, 239, 262, 263, 280, 291, 293, 301, 302, 310, 313, 319, 320, 326, 329, 331, 338, 356, 362, 365, 367, 368, 376, 379, 383, 386, 391, 392, 397, 404, 409, 440, 446, 464, 469, 478, 487, 490, 496, 536, 556, 563, 565, 566, 608, 617, 622, 623, 632, 635, 637, 638, 644, 649, 653, 655, 656, 665, 671, 673, 680, 683, 694, 700, 709, 716, 736, 739, 748, 761, 763, 784, 790, 793, 802, 806, 818, 820, 833, 836, 847, 860, 863, 874, 881, 888, 899, 901, 904, 907, 910, 912, 913, 921, 923, 931, 932, 937, 940, 946, 964, 970, 973, 989, 998, 1000 (sequenza A007770 in OEIS e quelli in rosso  sono quelli del codice del "Doctor Who")
  • Se un numero è felice, allora tutti i numeri della sua sequenza sono felici; se un numero è infelice, tutti i numeri della sua sequenza sono infelici.
  • Un po' più felici dei numeri felici isolati, saranno due numeri felici vicini, o meglio consecutivi. Ad esempio 31 e 32
  • I primi tre numeri felici consecutivi sono:
    1880, 1881 e 1882
  • I primi cinque numeri felici consecutivi sono:
    44488, 44489, 44490, 44491 e 44492
  • Un primo felice è un numero felice che è anche primo ². I primi felici più piccoli sono: 7, 13, 19, 23, 31, 79, 97, 103, 109, 139, 167, 193, 239, 263, 293, 313, 331, 367, 379, 383, 397, 409, 487
  • Si noti che tutti i numeri primi nella forma e sono felici 
  • Il primo palindromo 10 150006 + 7426247 × 10 75 000 + 1 (dovete crederci al buio dato che non ho la possibilità di scriverlo per esteso!!!!) è anche un primo felice con 150.007 cifre, perché i numerosi zeri di cui è composto non contribuiscono alla somma delle cifre al quadrato  che è un numero felice. Fu scoperto da Paul Jobling nel 2005
  • A partire dal 2010, il più grande conosciuto primo felice è   (primo di Mersenne). La sua espansione decimale ha 12.837.064 cifre






Vorrei concludere questo post, partito dal Doctor Who e passato attraverso le proprietà dei numeri felici, con una visione più poetica ma che credo contenga  forse il vero senso della felicità come unità.

il cielo, raggiunta l’unità divenne chiaro
la terra, raggiunta l’unità divenne tranquilla
lo spirito, raggiunta l’unità divenne potente
la valle, raggiunta l’unità divenne piena
le creature, raggiunta l’unità divennero vive

(Lao Tse)



Sono i versi di Lao Tse (Laozi o Lao Tsu soprannome, che vuol dire "vecchio maestro", forse di Chung-erh o Po-yang o anche Lao tan che pare visse nel VI secolo a.C. di qualche anno più vecchio di Confucio) che arrivano dal Tao Te King, la sacra scrittura del Taoismo. 

Per Lao Tse il problema della felicità ha infatti “una soluzione che dipende soprattutto dal raggiungimento dell'unità". Quindi raggiungere la felicità  vuol dire raggiungere l’unità. 
Così come i numeri possono essere felici se anche loro raggiungono l’uno!!!!



¹ Un numero di Harshad in una data base è un numero intero positivo divisibile per la somma delle proprie cifre.
La definizione dei numeri di Harshad è stata data dal matematico indiano Dattatreya Ramachandra Kaprekar . Il termine Harshad deriva dal sanscrito "harṣa" che significa "grande gioia". A volte ci si riferisce a questi numeri anche come numeri di Niven, in onore del matematico Ivan Morton Niven.

² Per numero primo s'intende un numero divisibile solo per 1 e per se stesso.
I dodici nuovi numeri primi più grandi sono stati scoperti attraverso il GIMPS, un progetto di calcolo distribuito basato sul test di Lucas-Lehmer. Ad oggi (agosto 2014) il più grande numero primo confermato, scoperto nel febbraio del 2013, è 257 885 161 − 1, un numero di quasi diciassette milioni e mezzo di cifre (17 425 170).[84] I numeri primi noti più grandi sono numeri primi di Mersenne o altri numeri primi particolari, per i quali si dispone di un test molto efficiente in termini computazionali.
La Electronic Frontier Foundation ha offerto dei premi in denaro ai primi che riusciranno a trovare numeri primi di oltre un certo numero di cifre. I primi due di questi premi, di 50 000 e 100 000 dollari, sono stati assegnati nel 2000 e nel 2008 per il raggiungimento, rispettivamente, di un milione e di dieci milioni di cifre; il più alto premio attualmente in palio è di 250 000 dollari, per l'arrivo al miliardo di cifre


mercoledì 8 ottobre 2014

Donna e Tango

"Essere se stesse senza frenesie o ansie. Comprendere che la propria bellezza risiede nella signorilità dei propri comportamenti e nell’eleganza dei piedi. Far sentire l’altro a proprio agio, ma anche saper dire con garbo ‘no’. La signora del tango non scende a compromessi, cerca un punto d’incontro. Non si mostra esageratamente. Assapora le atmosfere, ne ricava piacere per l’anima, offre la sua qualità..."
Con queste parole Zuleika Fusco introduce questo suo editoriale, chiaro, semplice e nello stesso tempo molto profondo, contraddistinto da un linguaggio e da una sensibilità che appartengono solo a chi ha davvero interiorizzato questo ballo. 
Un ballo che va infinitamente oltre i passi!


Donna e Tango. 

Il coraggio di esporsi, il coraggio di essere





"Nel tango la donna compie un percorso che la vede trasformarsi. Non impara semplicemente dei passi, ma conosce se stessa, ed il lavoro sul corpo può diventare un percorso di consapevolezza. Incomincia dall’affrontare la sua timidezza. Non a caso prima di tutto si confronta con l’imbarazzo di quella intimità che l’abbraccio del tango produce almeno all’inizio. Certo, non è semplice per una persona comune condividere lo spazio ristretto che l’abbraccio delimita, mettendola a nudo, perché inconsciamente le fa fare i conti con la sua capacità di relazionarsi con l’altro, ma anche con se stessa e il suo corpo… Per la donna di oggi, così abituata a lottare per l’ autonomia, così abituata a fare da sola, è difficile concedersi di chiudere gli occhi per farsi guidare in pista dall’uomo, che ha il compito di scegliere la direzione e i passi da eseguire. Eppure attraverso il tango lei può recuperare fiducia nel suo sentire, apprezzare il piacere dell’accudimento da parte del maschile ed esprimere tutta la sensibilità che la contraddistingue.
Di fatto la donna è protagonista insieme all’uomo. Dobbiamo pensare che il tango è il risultato di un progetto condiviso, in cui due persone creano una terza entità che si chiama coppia e che si nutre del carattere di entrambe. La donna non è passiva, come molti pensano, convinti che questa sia una danza macha o maschilista. Lei rappresenta il gioiello che rende bella la coppia, mentre l’uomo lavora per mostrarla e ne guadagna in cambio soddisfazione e nutrimento. Nell’eseguire la loro danza, i due ballerini contribuiscono in egual misura, nel valore dei ruoli diversi che interpretano. Il tango evidenzia il valore della diversità. Ma ad un tratto avviene un passaggio…
Tutto comincia nel momento in cui si capisce che lei nel tango è come la luna. Rende d’argento quel filo sottile che si chiama connessione, trasforma in magia quella luce che raccoglie dall’uomo, facendolo diventare un silenzioso re. Perché se l’uomo mentre danza ha la responsabilità di accompagnare e di proteggere, la donna ha il ruolo di sentire e di tramutare con delicatezza quell’input in Bellezza, fidandosi del proprio partner, onorando la sua energia e interpretando il suo messaggio, affinché appaia piacevole anche agli occhi di chi guarda.
Secondo il galateo di questa relazione che si chiama tango, la donna consapevole non sceglie, ma favorisce la scelta, la induce sottilmente, mostrandosi al meglio di sé e donando incondizionatamente la sua buona energia. Fa intendere con un linguaggio che non utilizza parole, piuttosto comportamenti e sguardi. La tanguera lo comprende sin dalla sua prima esperienza in milonga, quando con ardire decide di esporsi, accettando di sedersi ad un tavolo nell’attesa di un invito. Quello giusto, sognerebbe lei… ma il tango, come la vita, è fatto di mille sfumature e vissuti, di incontri disastrosi, con lieve sapore, o incantevoli.
La tanguera in altri termini è una creatura coraggiosa. Accetta infatti le sue vulnerabilità e le trasforma in risorse, sedendosi su quella sedia e accettando con stile che durante una serata potrà essere invitata o meno, potrà ballare o no. Impara ad apprezzare lo stare, ascoltando la musica e conversando, interpretando la dimensione sociale del tango e soprattutto lavorando su di sé per comprendere che l’eventualità di mancati inviti non è fatto personale, ma la risultante di una complessità di fattori, non ultimo la fragilità di un maschile che spesso nasconde infinite sfaccettature.
E nel momento del ballo? La donna è signora quando impara l’arte più fine. L’ascolto. Nel tango ascoltare significa prestare orecchio alla musica e al suo reale messaggio, poiché non tutto si balla nello stesso modo. Significa sentire realmente il partner, accogliendo la sua personalità e lavorando per creare un incontro piacevole che si tramuti in intesa. Significa soprattutto portare attenzione a sé, non in modo egoistico, ma per sapersi gestire, far sì che l’equilibrio del proprio corpo parta prima da un conoscersi profondamente, da un rispettare i propri bisogni, dall’onorare i propri limiti oltre che le proprie ricchezze.
Essere se stesse senza frenesie o ansie. Comprendere che la propria Bellezza risiede nelle signorilità dei propri comportamenti e nell’eleganza dei piedi. Far sentire l’altro a proprio agio, ma anche saper dire con garbo ‘no’. La signora del tango non scende a compromessi, cerca un punto d’incontro. Non si mostra esageratamente. Assapora le atmosfere, ne ricava piacere per l’anima, offre la sua qualità"
Zuleika Fusco



Editoriale di Zuleika Fusco dalla rivista El tanguero n 15 anno 2014 


sabato 4 ottobre 2014

Tobia Ravà dipinge la Matematica

"Per me rimane una questione aperta se questo lavoro appartiene al regno della matematica o a quello dell'arte" ¹

Così definiva il suo lavoro artistico Maurits Cornelis Escher, il grande incisore e grafico del secolo scorso, che sicuramente è il genio più amato da scienziati, logici, matematici e fisici per l'uso razionale di poliedri, distorsioni geometriche, interpretazioni originali di concetti appartenenti alla matematica (autoreferenzialità, processi ricorsivi, infinito e moto perpetuo, talassature.....), da cui otteneva effetti paradossali.
Questa frase, ripresa in occasione della presentazione di una prossima mostra a Roma dedicata al grande intellettuale olandese, mi ha anche ricordato un pittore/scultore contemporaneo Tobia Ravà, che mi aveva colpito e incuriosito alla prima mostra di MiArt a cui partecipai, invogliata da un'amica appassionata di pittura contemporanea, nel 2009.
Il tema proposto nello stand di Artiscope e ispirato da un dipinto di Magritte era "L'Usage de la Parole", ma più dell'uso della parola mi colpì l'uso dei numeri in una delle altre opere esposte.


Tobia Ravà - 2008 Fuga senza fine


Uso dei numeri che è ripreso, non a caso, nella brochure del Kangourou della Matematica 2015, gara di matematica che il dipartimento di Matematica dell'Università degli Studi di Milano organizza ogni anno, dal 1994, per gli studenti della scuola primaria e secondaria di I e II grado.
Si tratta infatti dell'opera "Soglie Celesti" che Tobia Ravà eseguì nel 2004, con tempere acriliche su juta e che fa parte di una collezione privata di LasVegas (USA).



Tobia Ravà - 2004 Soglie Celesti

Mi incuriosì tanto che decisi di capire se effettivamente quei numeri racchiudessero un vero simbolismo o fossero semplicemente disegnati come sfondo.
Da appassionata e studiosa di matematica, guardando il quadro di Ravà, mi resi conto di essere attratta da quel tappeto di cifre, simboli e numeri, e indotta a cercare se fossero proprio questi a dare il vero significato e il messaggio dell'opera.
Scoprii così che il simbolismo e il fascino dell'opera di Ravà sta tutto nell'uso dei numeri o delle parole, attraverso la mediazione della tradizione ebraica della ghematrià, che assegnando valori numerici alle lettere dell'alfabeto, e viceversa, gli permette di stabilire un rapporto fra cifre e parole generando veri e propri significati.
I numeri quindi che si vedono nei quadri non sono messi a caso, per fare da sfondo, ma devono essere letti, interpretati e compresi.
Operazione questa molto complessa per un semplice osservatore e quindi queste opere si potrebbero ammirare anche senza scendere in profondità, limitandosi a goderne gli aspetti cromatici e delle forme, ma si farebbe sicuramente un torto all'artista, rimuovendo la vera sostanza e simbologia che le ha generate.



Tobia Ravà - 2010 Unifica gli opposti 

Leggendo un'intervista fatta all'artista, dopo una sua mostra personale, ho incominciato a capire il senso della sua arte e della sua simbologia numerica, che propone appunto un nuovo approccio simbolico attraverso le infinite possibilità combinatorie dei numeri. 
Un fitto tracciato di numeri e lettere che vogliono significare i concetti fondamentali della cultura ebraica, concernenti l’etica e la riqualificazione dell’uomo e dell’ambiente, attraverso un processo di permutazione (ghematrià).
Fitto tracciato che fa si che i suoi dipinti, se osservati da vicino, perdano quasi del tutto la loro capacità figurativa presentandosi come puro testo, ermetico, “criptato” attraverso la sostituzione delle lettere con i numeri, secondo appunto la tecnica cabbalistica della ghematrià. 


Rappresentazione gematrica del Tetragramma coi suoi valori numerologici - il risultato "72" è un numero fondamentale nelle Scritture 

La Ghimatriah, ghematriah, ghematria o gematria (in ebraico: גימטריא/גימטריה?, traslitt. gēmaṭriyā) è un sistema ebraico di numerologia che studia le parole scritte in lingua ebraica e ne assegna i valori numerici, affermando che parole e/o frasi con un valore numerico identico siano correlate, o dimostrino una qualche relazione col numero stesso, applicato per esempio all'età di una persona, ad un anno del calendario ebraico o simili. È uno dei metodi di analisi utilizzati nella Cabala. Uno degli esempi migliori di ghimatriah è la parola ebraica Chai חַי ("vivente"), composta da due lettere che (usando le assegnazioni della tabella Mispar gadol) assommate danno come risultato il numero 18. Questo ha reso il 18 un "numero fortunato" tra gli ebrei e vengono spesso regalati doni che siano multipli di 18.
La parola deriva dell'ebraico "גימטריה (gīmatrīyā)"; adattamento del greco "γεωμετρία (geōmetría)" cioè "geometria".
La premessa della ghimatriah è una peculiarità dell'alfabeto ebraico, il quale veniva normalmente utilizzato sia per rappresentare le parole sia come sistema di numerazione di tipo additivo. Ad ogni parola espressa nell'alfabeto ebraico può quindi essere associato un numero, ottenuto sommando i valori numerici di ogni singola lettera. La ghimatriah viene applicata per decrittare significati nascosti all'interno della Bibbia ebraica tramite il loro valore numerico. 
Esistono diversi metodi di ghimatriah, che avvengono solitamente secondo livelli di esegesi ebraica omiletica ma, come ogni aspetto della Torah, sono applicati anche nell'approccio interpretativo della Cabala, il Sod. (da Wikipedia)


Tobia Ravà - Polvere d'infinito


I numeri e i caratteri ebraici dominano quindi le tele di Tobia Ravà disegnando foreste, interni di fabbriche dismesse, templi, calle della sua Venezia.......luoghi che risultano comunque sempre pervasi da un’atmosfera sospesa, metafisica, dove la luce si irradia in spazi totalmente privi della figura umana.
Tra questi luoghi si trova anche una rappresentazione della Mole Antonelliana, edificio-simbolo torinese che ha accolto sulla sua superficie un’altra serie numerica, quella del matematico medievale Fibonacci, realizzata con il neon da Mario Merz
Questa sua opera che segna un ulteriore legame con la matematica, vuole essere forse anche un riferimento all’iniziale destinazione d’uso della Mole: la sinagoga. 


Tobia Ravà - 2005 Punto di contatto

Tele che l'osservatore percepisce quasi come “elementi di calcolo trascendentale” (titolo dato anche a una sua mostra) pur restando affascinato dalla bellezza della componente figurativa.
Un intreccio di numeri e lettere che a volte sembra disegnare quasi un vortice verso l’infinito, attraverso spirali che ricordano le vertiginose costruzioni di Escher. 
L’estendersi della pittura sulla cornice sembra quasi voler annullare la prospettiva albertiana, presente ma come pura apparenza, sottraendo allo sguardo la percezione di un centro prospettico, quasi come se Ravà volesse esprimere l’infinito, "il senza fine"(l’En-sof, il senza fine appunto).


Tobia Ravà - 2010 L'Enigma di Padula 


Tobia Ravà - 2005 Zimzum con Fibonacci

Uno dei meriti di Ravà è quindi quello di essere riuscito a "disegnare la matematica", vale a dire a comunicare, con l'arte pittorica, concetti astratti, illustrando efficacemente una scienza che sembrerebbe visibile solo attraverso immagini mentali.

Note
1) “For me it remains an open question whether [this work] pertains to the realm of mathematics or to that of art.” - M.C. Escher



Padova - Centro culturale Altinate San Gaetano 


Alcune opere della mostra

Tobia Ravà - Il quadrato dell'albero

Tobia Ravà - Il sacro ascolta

Tobia Ravà - Trota (scultura)

Fonti:

http://www.tobiarava.com/
Opere
http://www.tobiarava.com/html/opere/raccolte.htm
Galleria Artiscope Bruxelles
http://www.artiscope.be/artists/33-rava
Ermanno Tedeschi Gallery
via Pomba 14 - 10123 Torino
via Voghera 14 - 20144 Milano
Mostre
http://www.tobiarava.com/html/mostre/personali.htm
http://www.youreporter.it/gallerie/Incontro_I_Codici_di_Rava_tra_kabbalah_e_matematica/#2
http://www.kulturshop.it/tobia-rava/
Miart 2009
http://www.tobiarava.com/html/news/news_2007.htm