mercoledì 27 gennaio 2016

Giornata della Memoria...foto da un baule

Questo articolo nasce dai racconti del periodo della seconda guerra mondiale fatti a mio marito, da mio suocero Giovanni Mazzucchetti, e ritornati alla memoria da alcune foto ritrovate in un vecchio baule. 
Papà Giannino, come affettuosamente veniva chiamato in famiglia, era allora Capitano di Fregata e Aiutante di Campo dell'Ammiraglio Principe Aimone, figlio di Emanuele Filiberto, secondo duca d'Aosta, e fratello minore di Amedeo di Savoia-Aosta, terzo Duca d'Aosta, Duca di Ferro ed eroe dell’Amba Alagi, di cui poi ne prese il titolo alla morte, avvenuta nel gennaio 1942 in un Campo di Concentramento Inglese a Nairobi in Kenia, afflitto da malaria e tubercolosi.


Irene di Grecia - Foto con dedica a Giovanni Mazzucchetti

Meglio conosciuta come Irene di Grecia, in questa dedica al Capitano di Fregata Mazzucchetti, la Pricipessa si firma Irene di Savoia - Aosta Duchessa di Spoleto.
Infatti Irene, il 1º luglio 1939 in Santa Maria del Fiore a Firenze, sposò il principe Aimone di Savoia-Aosta, allora Duca di Spoleto, da cui poi ebbe un figlio, Amedeo di Savoia-Aosta, nato il 27 settembre 1943.
Irene di Grecia e Danimarca diventerà poi regina di Croazia e Slavonia dal 1941 al 1943, dato che Aimone venne incoronato Re di Croazia col nome di Tomislavo II, nonché Duchessa d'Aosta.

Proprio riguardo a questa incoronazione, papà Giovanni raccontava che tale nomina costituì una vera e propria tegola in testa per Aimone, che dovette congedarsi dalla Regia Marina, la sua vera passione, in quanto tale servizio sarebbe stato inconciliabile con la Corona. 
Aimone adorava la Marina e non avrebbe voluto lasciare né questa passione né l'Italia.
Uscito infatti dall'Accademia Navale di Livorno, un anno prima di Giovanni, nel 1916 con il grado di Guardiamarina, Aimone divenne Sottotenente di Vascello l'anno successivo e, impiegato in una squadriglia di idrovolanti negli ultimi mesi della prima guerra mondiale, fu decorato con una croce di guerra, due medaglie di bronzo ed una d'argento.
Nel 1933 ricevette la promozione a Capitano di Corvetta e venne trasferito al comando militare delle Isole Brioni. Arrivò quindi la promozione a Capitano di Vascello il 1º marzo 1934 e il 24 dicembre 1935, con il grado di Ammiraglio, Aimone sbarcò a Massaua ed assunse il comando delle siluranti nel Mar Rosso. 
Divenuto Ammiraglio nominò Giovanni Mazzucchetti suo Aiutante di Campo, vale a dire ufficiale assistente e responsabile delle attività militari e organizzative deputate ad Aimone.


Ammiraglio Principe Aimone di Savoia

Di questa incoronazione Aimone non ne voleva proprio sapere, dato anche che non aveva nemmeno mai avuto ambizioni politiche: 
"Non so nulla dei croati e della Croazia. Non desidero neppure conoscerli"
Comunque creò nel suo studio di Firenze un "ufficio per gli affari croati" allo scopo di conoscere il paese sul quale avrebbe dovuto regnare. 
Avrebbe dovuto salire al trono dello Stato Indipendente di Croazia con il nome di Zvonimiro II, che proprio rifiutò, ma il 18 maggio 1941, Aimone accettò a malincuore la nomina con il nome di Tomislavo II.
Del suo predecessore, Tomislavo I, Aimone sapeva soltanto che era vissuto oltre mille anni prima, che si era proclamato re di quelle terre, che aveva combattuto contro i bulgari e che poi era misteriosamente scomparso senza lasciare successori.

La Duchessa Irene, nella sua permanenza a Firenze, a villa Cisterna dove spesso veniva raggiunta dalla moglie di Giovanni, AnnaIda Marsaglia Mazzucchetti, si dedicò soprattutto all'attività di crocerossina, proseguendo così l'impegno della suocera Hélène d’Orléans, Duchessa d'Aosta, che della Croce Rossa fu una valida e importante rappresentante soprattutto nella prima guerra Mondiale. 


Hélène d’Orléans, Duchessa d'Aosta

La Duchessa Hélène era infatti ricordata, oltre che per essere una donna di gran cuore spesso vicina ai malati e ai feriti in un modo non certo convenzionale per una signora dell’alta società per di più reale, per non aver paura di nulla, né dei bombardamenti, spesso restava in prima linea accanto ai soldati, né dei vertici dell’esercito e per aver combattuto per tutti gli anni del conflitto una sua personale lotta contro l’inefficienza e le disposizioni assurde. 
Ne è anche conferma il diario che tenne in quel periodo, ricco di annotazioni sui feriti trasportati in carri bestiame nei quali le condizioni igieniche erano disastrose, sugli ospedali disorganizzati e sporchi, ma anche sulle strutture dove l’assistenza funzionava come si deve.

Proprio a Villa Cisterna, la caduta di alcune bombe alleate nei pressi della villa provocò, il 27 settembre 1943, il parto anticipato della Duchessa che, in una stanza al piano terra considerata al riparo dai bombardamenti, dette alla luce l'unico figlio Amedeo.
Il neonato fu battezzato dal Cardinale Arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa, prontamente accorso, con i nomi di Amedeo (in ricordo dello zio caduto in Africa) Umberto Costantino Giorgio Paolo Elena Maria (in onore dei parenti) Fiorenzo (in omaggio alla città di Firenze) e Zvonimiro. L'ultimo nome, Zvonimiro, deriva dal fatto che, alla nascita, Amedeo era principe ereditario di Croazia in quando, come già ricordato, suo padre Aimone ne era diventato re nel 1941.
Preso atto di essere stato una marionetta di Ante Pavelic, fondatore del movimento nazionalista degli Ustascia e guida dell'autoproclamato Stato Indipendente di Croazia, nonché una pedina nel gioco strategico del totalitarismo, Aimone, che non soltanto non cinse la sua fantomatica corona ma neanche mise mai piede in Croazia, presentò la sua abdicazione al titolo il 12 ottobre 1943.
Il regime totalitario di Pavelic, che basava il proprio fondamento ideologico sulla difesa dell'elemento etnico croato e sul cattolicesimo integralista, aveva attuato infatti una dura politica di repressione nei confronti degli elementi allogeni. 
Le notizie che pervenivano da varie fonti (ambasciata italiana a Zagabria, servizi segreti, rapporti confidenziali e informatori fidati) e che portarono all'abdicazione, descrivevano lo Stato Indipendente di Croazia come una realtà incompiuta non soltanto a livello istituzionale, ma anche sociale e culturale, e convinsero Aimone a non rimanere una marionetta complice involontario della spaventosa gestione della situazione interna dello stato, caratterizzata appunto da continue persecuzioni ed eccidi da parte degli ustascia di Ante Pavelic, che avevano avviato una vera e propria pulizia etnica contro minoranze nazionali (serbi), avversari politici (comunisti) e minoranze religiose (ortodossi, ebrei e musulmani). 

Primo a destra Duca Aimone di Savoia e secondo a sinistra Giovanni Mazzucchetti

Dopo l'abdicazione, come Ammiraglio della Regia Marina, Aimone aveva quindi seguito Vittorio Emanuele III a Brindisi, e quindi, negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, era divenuto comandante della base navale di Taranto, ricevendo il grado militare di Ammiraglio di Squadra, ma perdendo dal settembre del 1943 i contatti con la moglie. 
Fu così che Amedeo, bimbo di pochi giorni, divenne re di Croazia rimanendo tale fino al 1945, quando lo Stato indipendente di Croazia si dissolse.

Ma altre peripezie aspettavano Irene e il suo bambino.
Tre settimane prima della nascita di Amedeo, il Regno d'Italia aveva firmato, il 3 settembre 1943, l'armistizio di Cassibile, cessando le ostilità contro le forze inglesi e statunitensi, che portò quindi al proclama dell'armistizio fatta dal Maresciallo Badoglio, l'8 settembre, e alla conseguente occupazione di Firenze da parte dei tedeschi.
Il 26 luglio 1944, su ordine firmato personalmente da Heinrich Himmler, i nazisti deportarono Irene con il piccolo Amedeo nel campo di concentramento austriaco di Hirschegg, vicino Graz, insieme alla cognata Duchessa Anna d'Orléans, moglie di Amedeo Duca di Ferro, con le figlie Margherita e Maria Cristina.
Come ricorda nel suo diario Carmine Senise, capo della Polizia dal 1940 al 1943 e poi, per un breve periodo, con il primo governo del Maresciallo Badoglio dopo la destituzione di Mussolini, anch'egli prigioniero nel campo di concentramento di Hirschegg, :

"Giunsero a fine luglio le due duchesse d'Aosta: Anna di Francia con le giovanissime principesse Margherita e Maria Cristina, ed Irene di Grecia, con un amore di bimbo di otto mesi, il principino Amedeo. La brutalità tedesca non aveva avuto riguardi né per la tenera età del bambino, [...] né per la nobiltà della personale condotta delle due duchesse, rimaste com'erano a Firenze solo per non abbandonare nell'ora del pericolo la popolazione fra la quale erano vissute. Senza umanità, senza rispetto per il rango, (i tedeschi) li avevano fatti prigionieri accomunandoli nel trattamento a qualsiasi altro internato. Il loro caso ci commosse, ne soffrimmo nel cuore e nei nostri sentimenti di italiani, ma la loro presenza nella tristezza del momento portò subito una nota di alta gentilezza e doveva essere poi, per i loro continui atti di bontà, come un raggio di sole"
(Giulio Vignoli, Il Sovrano Sconosciuto, Tomislavo II Re di Croazia, Mursia, pagina 149.)

Fortunatamente tutti ebbero miglior fortuna della Principessa Mafalda, figla del Re Vittorio Emanuele III, deceduta dopo atroci sofferenze nel Lager di Buchenwald.


Principessa Mafalda di Savoia

Mafalda morì infatti a 42 anni, il 28 agosto 1944, nel campo di concentramento di  Buchenwald. E in quel campo non badò mai a se stessa ma piuttosto agli altri internati e in particolare gli italiani del lager, ai quali fece sentire tutta la sua vicinanza. Le sue ultime parole furono proprio dirette a loro: 
"Italiani, io muoio, ricordatemi non come una principessa ma come una vostra sorella italiana"
Internata, le venne vietato di rivelare la propria identità e per scherno i nazisti la chiamavano Frau Abeba.
Occupò una baracca insieme all’ex deputato socialdemocratico Rudolf Breitscheid ed a sua moglie, e le venne assegnata come badante la signora Maria Ruhnau, alla quale Mafalda, in segno di riconoscenza, regalerà l’orologio che portava al polso.
La dura vita del campo, il poco cibo, che divideva con coloro che reputava avessero più bisogno di lei ed il glaciale freddo invernale, deperirono ulteriormente il già gracile e provato fisico di Mafalda. 
Nell’agosto del 1944 gli anglo-americani bombardarono il lager e la sua baracca venne distrutta.
La principessa riportò gravissime ustioni e contusioni su tutto il corpo. Fu ricoverata nell’infermeria della casa di tolleranza dei tedeschi del lager, ma qui non venne curata. Dopo quattro giorni di agonia, sopraggiunse la cancrena al braccio sinistro che fu amputato con un interminabile e dissanguante intervento chirurgico. Ancora addormentata, Mafalda venne riportata nel postribolo e abbandonata, senza assistenza
 
Il dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald dichiarò che Mafalda era stata intenzionalmente operata in ritardo e l’intervento era il risultato di un assassinio sanitario avvenuto per mano di Gerhard Schiedlausky (poi condannato a morte dal tribunale militare di Amburgo e giustiziato per impiccagione nel 1948), come era già avvenuto per altri casi, soprattutto quando si trattava di eliminare “personalità di riguardo”.

La salma di Mafalda di Savoia, grazie al padre boemo Joseph Tyl, monaco cattolico dell’ordine degli Agostiniani non venne cremata, ma messa in una cassa di legno e sepolta sotto la dicitura: “262 eine unbekannte Frau” (donna sconosciuta). 
Trascorsero alcuni mesi e sette marinai italiani, reduci dai lager nazisti, trovarono la bara della principessa martire e posero una lapide identificativa.



Francobollo Italiano commemorativo del 1995

Dopo la liberazione dal campo di concentramento di Hirschegg, avvenuta nel maggio 1945, Irene soggiornò per alcune settimane in Svizzera e il 7 luglio 1945 rientò in Italia e si fermò prima a Milano, dove Aimone vide per la prima volta il figlio, e successivamente raggiunse Napoli, dove viveva la suocera Hélène d’Orléans.

I racconti di Giovanni Mazzucchetti legati a Irene terminano qui, con questi ultimi momenti a Milano, dove mio suocero rimarrà invece fino alla morte, avvenuta prematuramente nel 1960.



Giovanni Mazzucchetti in alta uniforme



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