lunedì 30 gennaio 2017

Trump, dalla grande inclusione alla grande espulsione

Sorprendentemente, a giudicare dai titoli dei giornali e da come viene percepito il fenomeno migratorio, in un mondo di più di sette miliardi di persone solo il 3% sono migranti internazionali, che vivono al di fuori dei paesi in cui sono nati. 
Eppure, il mondo è sempre in movimento, creando in questo processo, molte trasformazioni. 
Viviamo sempre più in un mondo in cui le ricchezze sono in mano a pochi mentre è sempre più crescente la quota di poveri e quindi, inevitabilmente, le pressioni migratorie continueranno ad aumentare come risultato di disuguaglianze globali e di gravi conflitti, e in cui i paesi più sviluppati si troveranno a dover gestire, con sempre più difficoltà, da una parte l'espansione demografica e dall'altra la necessità di forza lavoro.
E' indubbio che l'immigrazione è una forza di trasformazione, che produce cambiamenti sociali profondi e imprevisti in entrambe le società, sia di partenza che di arrivo, nei rapporti infragruppo all'interno delle società di accoglienza, e tra gli stessi immigrati e i loro discendenti. 


Iimmigrants on the ferry in 1905

L'immigrazione influenza e viene influenzata quindi, giocoforza,  sia dalle politiche statali che cercano di controllarne i flussi, che dalle diverse forme di reazione da parte dei residenti e dei politici di turno, che possono visualizzare i nuovi arrivati anche come una minaccia culturale o economica. 
La paura dello straniero, la xenofobia che porta a una "società del disprezzo", è variata storicamente in tandem con tutte le forme di migrazione internazionale, aggravata oggi maggiormente da una crisi economica globale, dagli attacchi terroristici, dalla guerra, e quindi da sempre maggiori flussi di rifugiati.
Sicuramente una caratteristica della società americana, tanto da auto-definirsi "nazione di emigranti", è stata la capacità  di assorbire, come una spugna gigante, decine di milioni di nuovi arrivati da tutte le classi, culture e paesi. 
Questo risultato fenomenale, tuttavia, ha storicamente convissuto con due lati contrapposti nel processo di costruzione della nazione in quanto gran parte della storia americana può essere vista come una dialettica di processi di inclusione ed esclusione, e in casi estremi di espulsioni e rimozioni forzate.
Per capire la vastità dei processi di inclusione basterebbe raccontarne la storia attraverso due città, New York e Los Angeles.



Italian immigrants on the Ellis Island–Manhattan ferry in 1905

New York, può sicuramente essere considerata la città americana simbolo per eccellenza dell'immigrazione.  Dal 1820 (quando il numero degli arrivi ha cominciato ad essere stimato) al 1892 (l'anno in cui Ellis Island ha aperto all'ingresso del porto di New York, vicino alla Statua della Libertà, installata sul suo piedistallo nel 1886), gli immigrati arrivati prima alle banchine sulla punta di Manhattan, e poi attraverso la vicina Castle Garden (primo impianto di accoglienza degli immigrati) furono più 10 milioni.
Quindi più di 100 milioni di americani possono rintracciare i loro antenati (prevalentemente europei) in questo periodo. Lo stesso Donald Trump trova le sue origini di migrante nel nonno Friederich (Fred) Trump, che, nato il 14 marzo 1869 a Kallstadt in Germania, migrò nel 1885 negli Stati Uniti da Amburgo a bordo della nave "Eider" e diventò un cittadino degli Stati Uniti nel 1892 a Seattle, Washington.


Fred Trump (padre di Donald) nel 1915 da bambino (primo a sinistra), con i genitori, nonché nonni di Donald,
 Friedrich Trump ed Elizabeth Christ, la sorella Elizabeth e il fratello John G. 

Poi dal 1892 fino alla sua chiusura nel 1954, Ellis Island è diventata la porta d'ingresso per altri 12 milioni di immigrati ed è quindi ricordata come la più trafficata stazione di controllo degli immigrati del paese nel decennio tra il 1905 e il 1914.
Dopo il 1924 Ellis Island divenne invece principalmente un centro di detenzione e di deportazione. 
Altri 100 milioni di americani discendono quindi anche da questi immigrati che, arrivati a Ellis Island, si sono poi dispersi in tutto il paese. 
Così, incredibilmente, quasi due terzi della popolazione degli Stati Uniti, circa 320 milioni di oggi, possono rintracciare le loro origini ai nuovi arrivati che sono entrati attraverso New York City nel secolo tra i 1820 e 1920.

Ellis Island  porta d'ingresso a New York

Sulla costa occidentale invece, la storia dell'immigrazione si è  sviluppata in un modo un po' diverso e, in particolare a Los Angeles, che è considerata come la metropoli premier per immigrati nel mondo di oggi. 
E 'difficile valutare e descrivere la trasformazione demografica  che la California ha subito nel corso dell'ultimo mezzo secolo. 
Ancora nel 1960 Los Angeles era la "più bianca" e la più grande città protestante nel paese, tuttavia entro la fine del 1980 un terzo di tutti gli immigrati verso gli Stati Uniti si erano stabiliti in California, e oggi, dei 10 milioni di persone a Los Angeles County (contea più grande della nazione), il 72% sono le minoranze etniche (cioè 7,2 milioni di persone, un numero significativamente più grande delle popolazioni della maggior parte degli stati degli USA). 
In effetti, il sud della California ospita la più grande concentrazione di messicani, salvadoregni, guatemaltechi, filippini, coreani, giapponesi, taiwanesi, vietnamita, cambogiani, iraniani, nonché di altre nazionalità che hanno trovato qui ospitalità al di fuori dei rispettivi paesi di origine e di contingenti considerevolmente alti, come ad esempio armeni, cinesi, honduregni, indiani, laotiani, russi e israeliani ebrei, nonché diverse nazionalità arabe. 
La maggior parte delle più grandi nazionalità di immigrati che si sono stabiliti negli Stati Uniti dal 1960 hanno quindi scelto  il loro insediamento primario a Greater Los Angeles.
Oggi, gli immigrati rappresentano ancora oltre un quarto della popolazione di 38 milioni di persone in California, e più di un quarto di tutti gli immigrati della nazione risiedono proprio in California. 
Questa quota considerevole di immigrazione ha beneficiato di varie leggi o delibere approvate in concomitanza di specifici momenti storici: della Immigration Act 1965 (che ha abrogato la razzista Quota Act 1924), il reinsediamento di centinaia di migliaia di profughi della guerra fredda da Cuba e dal Vietnam, Laos e Cambogia dopo la fine della guerra in Indocina nel 1975, e la disposizioni di amnistia del 1986, Immigration Reform and Control Act (IRCA), agli immigrati senza documenti.
Il censimento della popolazione nel 1970 contava la percentuale più bassa di persone di origine straniera nella storia degli Stati Uniti, il 4,7%. 
Oggi, che la quota è di oltre il 13% a livello nazionale, si avvicina così, ma senza superarlo, al massimo storico del 14,8% raggiunto nel decennio 1890 e 1900.


Los Angeles anni '60

Una caratteristica iconica quindi degli Stati Uniti è stata la sua notevole capacità di assorbire i nuovi arrivati da tutte le classi, culture e paesi.
La diversità etnica e nazionale dei migranti contemporanei negli Stati Uniti impallidisce in confronto alla diversità delle loro origini come classe sociale. 
Ne è un esempio eclatante il fatto che sia i più istruiti che i meno istruiti negli Stati Uniti oggi sono gli immigrati, il che porta a una riflessione sulle conseguenze sul piano lavorativo e di mercato che vede contrapposti tra gli stessi gruppi di migrazione professionisti ad alto livello e manodopera a basso costo, il che porta inevitabilmente a una clessidra che vede da una parte migrazione di "cervelli" e dall'altra lavoratori da sfruttare, spesso anche senza documenti.  
Questi ultimi hanno fatto emergere, in particolare in questi anni del 21esimo secolo, l'elemento più controverso nella politica dell'immigrazione. 
Alcuni milioni di loro sono entrati negli USA da bambini e un segmento di questi, i cosiddetti "Dreamers", sono stati i beneficiari delle politiche di Obama  volte a integrarli, fornendo loro status temporaneo legale, l'accesso al mercato del lavoro legale, patenti di guida e la sicurezza di non essere deportati.



Donald Trump insieme alla madre Mary Anne Macleod (scozzese) e al padre Fred Trump

Purtroppo quello che si pensava impossibile si è avverato e gli Stati Uniti oggi, con l'ascesa al potere di Trump assistono e assisteranno a stravolgimenti e picconamenti delle poliche precedenti, quella di Obama ma forse non solo. Dalla sanità pubblica alla costruzione di un muro lungo il suo confine meridionale, alla fine della cittadinanza per diritto di nascita (un marchio di garanzia degli Stati Uniti nonché diritto costituzionale a partire dalla fine della guerra civile), all'istituzione di un registro musulmano, al finanziamento federale di "città santuario", e, come già vediamo in questi giorni, alla riduzione del reinsediamento dei rifugiati e alla negazione di accoglienza per intere nazionalità (vedi i siriani), a vasti aumenti di divieti di accesso negli USA, detenzione e deportazione di immigrati.
E lui ha già stravolto tutto, “nessun presidente della storia moderna degli Stati Uniti ha cominciato il suo mandato con una tale quantità di iniziative sui temi più disparati e in così breve tempo” (fa sapere l’Agi), annullando anche i più consolidati diritti di donne, lavoratori, nativi, immigrati......ricorrendo persino a ricatti:
- nel giorno del suo insediamento, 20 gennaio, ha firmato un ordine per cominciare a smantellare la riforma sanitaria del suo redecessore. - tre giorni dopo, il 23 gennaio, ha ordinato di ritirare gli Usa dal Tpp, l’accordo di associazione transpacifico, che già in campagna elettorale aveva definito “un disastro potenziale” per gli Usa. 
- ancora il 23 gennaio il tycoon ha firmato un ordine per proibire l’utilizzo di fondi del governo per sovvenzionare le Ong che praticano o danno consigli sull’aborto. 
- sempre lunedì 23 gennaio ha firmato anche un terzo ordine esecutivo per bloccare nuove assunzioni nel governo federale, eccetto che per le Forze armate. 
- il 24 gennaio ha dato il via libera a due grandi (e controversi) progetti di oleodotto che Obama aveva congelato a causa dell’impatto sull’ambiente.
- il 25 gennaio ha firmato l’ordine esecutivo per avviare la costruzione nel giro di “mesi” del muro alla frontiera con il Messico. 
- ancora il 25 gennaio ha ordinato di creare altri centri di detenzione per clandestini, aumentare il numero degli agenti di controllo alle frontiere e interrompere i fondi federali a città come Chicago, New York e Los Angeles, che proteggono dall’espulsione gli immigrati irregolari. 
- il 27 gennaio, il tycoon firma al Pentagono gli ordini esecutivi per la sospensione dell’accoglienza ai rifugiati per 120 giorni (tempo necessario per poter esaminare i meccanismi di accettazione e assicurarsi che gli estremisti non mettano piede sul territorio statunitense), bloccando a tempo indefinito l’ingresso di rifugiati siriani e sospendendo per 90 giorni la concessione di visti a cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana con una storia di terrorismo: Libia, Sudan, Somalia, Siria, Iraq, Yemen e Iran. 
Dimenticandosi, ma forse no dati gli interessi economici in gioco, di paesi dichiaratamente coinvolti in attentati terroristici come Arabia Saudita, Pakistan o Afganistan.
Questi presupposti indicano che sicuramente con Trump è iniziata una nuova era, migliore o peggiore, lo si vedrà in futuro sempre che il Congresso non lasci a Trump carta bianca. In questo caso temo che da presidente si trasformerebbe in tiranno assoluto! 


29 giugno 2017 - Corteo di protesta contro Trump e il suo bando agli immigrati
partito da Battery Park verso Ground Zero e Midtown

Ci aspetta un futuro comunque incerto e potenzialmente uno dei più tragici e vergognosi della storia della "Immigrant America".
Mi auguro non si trasformi nel virulento anti-cattolicesimo "Know Nothing" della metà del 19esimo, o nei successivi movimenti nativisti contro meridionali e orientali europei, che culminò nel restrizionista e razzista "National Origins Quota Act" del 1924.
Prese di posizione che trascinano con se odio e isteria collettiva come quella anti-tedesca della prima guerra mondiale e che ricordano tragici momenti come l'internamento di giapponesi americani durante la seconda guerra mondiale, o il "rimpatrio" (rimozioni forzate) nel corso del 1930 di un milione di messicani americani (oltre la metà dei quali erano cittadini degli stati Uniti).
Al "Dream Act", il sogno di Obama, si era già sostituita la proliferazione di centinaia di leggi e ordinanze federali per cercare di controllare e arginare l'immigrazione a livello locale, nonostante mandati costituzionali in senso contrario statali e locali. 
Ironia della sorte, il presidente Obama, il cui sogno era quello della riforma dell'immigrazione, ha lasciato l'incarico dopo aver forse presieduto, suo malgrado, il maggior numero di espulsioni nella storia americana.



Foto
LEWIS HINE LA GRANGER COLLECTION / CORDON PRESS
dal sito elpais

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