giovedì 2 ottobre 2025

Fake news? La matematica le smaschera!

"Mille storie che gli ignoranti raccontano, e cui credono, si spengono subito quando il matematico le prende sotto il suo controllo"
(Samuel Johnson)

Nella mia prima esperienza come insegnante di matematica a Saronno, nei lontani anni 70/80, dovetti fare i conti con l'ora di "Osservazioni Scientifiche" e, nonostante l'indirizzo didattico scelto alla facoltà di Matematica, poco mi appassionava l'insegnamento delle Scienze Biologiche. 
Decisi quindi di riservare quell'ora soprattutto per far osservare scientificamente ai miei alunni alcuni aspetti della vita reale.
Tra le varie ricerche fatte (tra cui un dossier sull'energia nucleare e le sue alternative che, rileggendo ancora oggi, trovo attualissimo), una riguardava il potere dell'informazione.

Tra i giornali un dossier sull'energia nucleare

Ai tempi non era di moda il termine "fake news" ma anche allora l'informazione che veniva veicolata dai giornalisti attraverso i quotidiani, subiva le varie distorsioni e le inevitabili interpretazioni personali e politiche della "verità", 
Negli anni settanta, in Italia, la stampa (quotidiana e periodica) raggiungeva infatti più persone della radio, 24 milioni circa contro i 17, mentre la televisione era ferma a meno di 11 milioni e internet era lontana anni luce.
Nella nostra ricerca prendevamo quindi in esame una notizia e cercavamo di analizzarla "scientificamente" nel tentativo di arrivare alla sua oggettività, scevra dalle interpretazioni ed opinioni personali dei giornalisti di diverso orientamento politico. 
Analizzavamo la stessa notizia, consultando le varie testate giornalistiche che la riportavano (quelle di allora più diffuse erano: il Corriere della Sera, la Stampa, l'Unità, il Secolo XIX, l'Avvenire, la Notte....) ed osservavamo così come venisse presentata a volte in modo contrastante e contradditorio, a volte in modo superficiale e spesso con gravi errori ed omissioni.
Il mio intento era quindi quello di far capire ai ragazzi che solo attraverso un'attenta valutazione delle parole, dei concetti e del grado di attendibilità e di conoscenza, avrebbero potuto evitare di accettare passivamente le notizie e, per quanto possibile, di esserne condizionati.
Senza addentrarmi oltre nei dettagli di questo esperimento scolastico, la mia soddisfazione di allora fu che i miei alunni dai 10 ai 14 anni, alla fine dell'anno, non solo non prendevano più come "oro colato" quello che leggevano, ma arrivavano al punto di capire, dopo poche frasi di un articolo letto da me senza dirne la provenienza, il quotidiano che l'aveva pubblicato.



Tanti anni sono passati da allora e il problema del condizionamento non è certo stato risolto né credo sia stato sufficientemente affrontato, tanto che, ultimamente, il potere dei giornalisti e dei media si è consolidato a dismisura condizionando in modo significativo l'opinione pubblica.
Negli ultimi anni la diffusione di fake news e teorie del complotto è cresciuta in modo esponenziale grazie soprattutto ai social network e agli algoritmi che li governano. 

Il matematico Noah Giansiracusa, in "The Mathematics of Misinformation" (La matematica della disinformazione), un articolo apparso su "Notices of the American Mathematical Society" nel 2022, ha mostrato come strumenti matematici possano aiutare a comprendere le dinamiche della disinformazione: dai modelli epidemiologici che descrivono il "contagio" delle notizie false alle soglie critiche oltre le quali queste diventano fenomeno sistemico.
L’articolo analizza la diffusione delle fake news attraverso modelli matematici ispirati alle dinamiche di rete, e gli algoritmi che governano i social media tendono a favorire contenuti polarizzanti e sensazionalistici, creando bolle informative e rafforzando le camere dell’eco.
La matematica offre strumenti per comprendere queste dinamiche, individuare soglie critiche oltre le quali la disinformazione diventa sistemica e ipotizzare strategie per contenerla.

"Robin Hood Math", libro di Noah Giansiracusa, che sarà insignito 
nel 2026 del JPBM Communications Award
un prestigioso riconoscimento per il contributo
alla divulgazione scientifica

Ma oltre ai modelli, c’è un aspetto più sottile: la formazione matematica stessa sembra fornire anticorpi cognitivi contro le fake news.
Perché?
Ecco i capisaldi:

Pensiero logico e coerenza
I matematici sono allenati a non accettare nulla senza prove. La ricerca di contraddizioni e la necessità di dimostrazione li rendono più diffidenti verso affermazioni sensazionalistiche ma non supportate.

Capacità di leggere i numeri
Statistiche, grafici e percentuali sono strumenti quotidiani. Questo riduce la probabilità di farsi impressionare da dati presentati in modo ingannevole o decontestualizzato.

Abitudine ai modelli e alle ipotesi
Ogni teorema poggia su ipotesi precise: chi fa matematica sviluppa l’attitudine a chiedersi sempre quali assunzioni sostengano un discorso. Un meccanismo utile anche di fronte a notizie troppo belle (o troppo brutte) per essere vere.

Consapevolezza dei bias e del caso
La familiarità con la probabilità e con errori sistematici rende più semplice riconoscere correlazioni spurie e coincidenze presentate come causalità.

Il dubbio come metodo
Più che credere, il matematico preferisce verificare. Non c’è autorità che tenga se manca l’evidenza: è un’attitudine che, fuori dall’aula universitaria, diventa uno scudo contro la manipolazione informativa.

Una statua, scolpita dall’artista Jules Blanchard nel 1871, nei "Jardin du Luxembourg" 
a Parigi, ritrae una giovane donna nell’atto di inserire la mano
nella fessura del Mascherone (Bocca della verità)

Un matematico quindi tende a essere più attrezzato nel riconoscere le fake news perché abitualmente verifica la coerenza logica delle affermazioni, legge i dati con occhio critico e sa valutare se le ipotesi alla base di un discorso sono solide. 
La familiarità con concetti come probabilità, bias statistici e correlazioni spurie lo rende meno vulnerabile a manipolazioni numeriche o narrative. 
Al contrario, chi non ha questa formazione rischia di accettare più facilmente ciò che appare autorevole o viene ripetuto, senza analizzarne le basi.
Naturalmente nessuno è immune alla disinformazione e anche i matematici possono cadere vittima di pregiudizi o narrazioni persuasive. 
Tuttavia, il loro addestramento mentale li mette in una posizione privilegiata per smascherare incoerenze, numeri sospetti o assunzioni traballanti.

La Bocca della Verità murata nel pronao della Chiesa 
di Santa Maria in Cosmedin a Roma

In un’epoca in cui gli algoritmi amplificano contenuti polarizzanti e virali, la lezione della matematica è più attuale che mai: dubitare, controllare, cercare prove. 
Proprio per la sua capacità di rendere accessibili questi concetti complessi al grande pubblico, Noah Giansiracusa sarà insignito nel 2026 del JPBM Communications Award, un prestigioso riconoscimento per il contributo alla divulgazione scientifica, a testimonianza del valore della matematica non solo come disciplina, ma anche come strumento di comprensione critica del mondo digitale.
 


lunedì 25 agosto 2025

Tra pensiero e storia…il segreto dei matematici

La matematica è spesso percepita come una disciplina austera, fatta di formule e teoremi rigorosi, tuttavia, dietro questa facciata si cela un mondo ricco di bellezza, intuizione e storie affascinanti. 
In questo articolo, cercherò di esplorare, seppur brevemente, due aspetti del “segreto” dei matematici: il loro modo di pensare e le enigmatiche curiosità storiche a loro legate.

René Magritte, Il doppio segreto (1927)
Il segreto come rivelazione di mondi nascosti

Quando si parla di “segreti dei matematici” si pensa subito a formule incomprensibili, appunti nascosti o enigmi lasciati senza soluzione. In realtà, i matematici custodiscono questi due tipi di segreti molto diversi: da un lato, un modo di pensare che non sempre appare a chi osserva dall’esterno, dall’altro, una serie di curiosità storiche, enigmi e aneddoti che svelano il lato più umano e sorprendente della disciplina.

Il segreto come modo di pensare

Il primo segreto non è fatto di misteri irrisolti, ma di uno sguardo particolare sul mondo.
Per un matematico, la matematica non è solo calcolo, ma è una ricerca di ordine dentro al disordine, di semplicità nascosta dietro la complessità.

Giorgio De Chirico, Colloquio segreto (litografia, 1969–1977)
La dimensione del “segreto” come dialogo interiore 
o confronto silenzioso tra mente e intuizione

Il "segreto" per i matematici è un modo di pensare condiviso incentrato su semplicità, ordine e comprensione, insieme a un profondo apprezzamento per i modelli e l'estetica che si collegano all'arte e al mondo naturale. 
Abbracciano ripetuti tentativi ed errori, prospettive mutevoli e la libertà di rivedere le idee entro i limiti della logica. 
C’è chi ha detto che un buon teorema non si riconosce solo perché è vero, ma perché è bello. 
Questa idea attraversa i secoli: Platone vedeva nella matematica la via privilegiata per accedere alle forme pure e immutabili, Bertrand Russell parlava della matematica come di una “fredda e austera bellezza, simile a quella della scultura”, un’arte che unisce rigore e immaginazione, e Paul Dirac sosteneva che tra più teorie possibili occorresse scegliere quella più elegante, perché la bellezza matematica è spesso segno di verità.

Jacob Lawrence, La Biblioteca (1960)
Un santuario della conoscenza e dell’immaginazione, 
un invito a esplorare l’ampia estensione 
del pensiero umano e della creatività

Come scrive Imre Toth :
“La matematica è l’espressione di una libertà umana che si manifesta nella creazione di mondi, che è una prerogativa divina, e questa creazione è veicolata da un atto di cui solo l’essere umano è capace: la negazione”
E come sottolinea Georg Cantor:
“L'essenza della matematica risiede nella sua libertà”

Queste citazioni evidenziano la concezione della matematica come atto creativo e libero, dove la negazione di principi consolidati permette la nascita di nuovi mondi e teorie. 
Questo concetto si collega strettamente all'idea che la matematica non sia solo una disciplina rigida, ma anche un campo di esplorazione e innovazione, dove il “segreto” risiede nella capacità di pensare oltre le convenzioni e creare nuove realtà logiche.
La libertà di esplorare nuove prospettive è un altro tratto distintivo del pensiero matematico. 
È la stessa libertà che ha permesso, nell’Ottocento, a Carl Gauss, Nikolaj Lobacevskij  o Jànos Bolyai di immaginare geometrie diverse da quella di Euclide, osando mettere in discussione un principio rimasto intoccabile per duemila anni, il V postulato di Euclide

Salvador Dalí, La persistenza della memoria (1931)
Il tempo scandito dagli orologi è solo uno dei tanti possibili.  
Per Dalí il tempo “fa una cosa sola con lo spazio”, pensiero legato 
al vivacissimo dibattito sul rapporto spazio-tempo

Da quel salto di pensiero sono nate le geometrie non euclidee, che non solo hanno arricchito la matematica, ma hanno preparato il terreno per la relatività di Albert Einstein e per una nuova visione dello spazio stesso.
Infine, c’è una parte della cultura matematica che resta invisibile al grande pubblico: articoli firmati senza gerarchie tra autori, idee condivise apertamente su archivi online, come arXiv, prima ancora della pubblicazione ufficiale, seminari informali dove conta più il gesso sulla lavagna che il titolo accademico. 
È un mondo che vive quasi “in segreto”, lontano dalle luci mediatiche.

I segreti come curiosità storiche

Accanto a questo atteggiamento mentale, ci sono poi i segreti più gustosi, quelli che assomigliano a piccole leggende.

Nel 1637, Pierre de Fermat scrisse, a margine di un libro, questa nota allettante
“Ho scoperto una dimostrazione veramente meravigliosa, una vera e meravigliosa dimostrazione di questo, anche se questo margine non è abbastanza grande per contenerla”

Pierre de Fermat, ad esempio, lasciò scritto a margine di un libro di aver trovato una “dimostrazione meravigliosa” per un teorema...ma che lo spazio era troppo stretto per scriverla. 
Per secoli nessuno seppe se fosse vero o un bluff, fino a quando Andrew Wiles riuscì a darne una dimostrazione nel 1994.


Pierre de Fermat e Andrew Wiles 
Fermat's Last Tango - A Musical Fantasy

Srinivasa Ramanujan, geniale autodidatta indiano, sosteneva che le sue formule gli fossero sussurrate in sogno dalla dea Namagiri. 
E molte delle sue intuizioni, verificate solo decenni dopo, hanno davvero lasciato sbalorditi i colleghi.
C’è poi la storia di George Dantzig, che arrivò in ritardo a lezione e, copiati due problemi dalla lavagna pensando fossero esercizi assegnati, li risolse, senza sapere che erano problemi ancora aperti, che nessuno aveva mai risolto prima.

E non mancano i segreti collettivi. 
Il “matematico inesistente” John Rainwater, nato come scherzo nel 1952 da studenti dell’Università di Washington e poi divenuto autore di veri articoli. 
O Nicolas Bourbaki, pseudonimo dietro cui si celava un gruppo intero di matematici francesi che riscrisse da zero interi settori della disciplina.
I membri originali del gruppo Bourbaki, fondato nel 1935, includevano matematici come André Weil, Henri Cartan e Jean Dieudonné
I membri del gruppo mantennero l’anonimato e lavorarono collettivamente contribuendo al mito e alla curiosità intorno a Nicolas Bourbaki. 
Il collettivo francese Bourbaki e l’invenzione di John Rainwater divennero lo pseudonimo collettivo di numerosi matematici di spicco, con cui pubblicarono teoremi molto importanti, mostrando come a volte dietro le firme ci siano pseudonimi e giochi d’identità.

Perfino il Nobel ha la sua leggenda: perché non esiste un premio per la matematica? 
Si è diffusa la voce che Alfred Nobel avesse una rivalità personale con un matematico svedese. 
Nobel avrebbe deciso di escludere la matematica dalle discipline premiate dopo aver scoperto che una sua amante lo aveva tradito con un famoso matematico svedese, Magnus Gustaf Mittag-Leffler.
In realtà non ci sono prove, ma il mito continua ad affascinare.

Tra le curiosità storiche ci sono anche i segreti ancora aperti

Non tutti i segreti infatti sono stati svelati. 
Alcuni vivono ancora oggi sotto forma di enigmi che resistono a ogni tentativo di soluzione, come i problemi di Hilbert o quelli del Millennio, i Millennium Prize Problems.
I problemi di Hilbert costituiscono una lista di 23 problemi matematici stilata da David Hilbert e presentata l'8 agosto 1900 nella sua conferenza del Congresso internazionale dei matematici svolta a Parigi.
Tutti i problemi allora presentati erano ancora irrisolti e molti di essi hanno avuto un notevole impatto sulla matematica del XX secolo. 
Ispirata all'iniziativa di Hilbert è la proposta di cento anni dopo dell'Istituto matematico Clay di una lista dei cosiddetti 7 problemi per il millennio.
I problemi del millennio, selezionati appunto dal Clay Mathematics Institute durante il convegno del Millennio di Parigi, il 24 maggio 2000 (di cui cade quindi quest'anno il 25esimo anniversario), sono sette sfide per il futuro, di cui solo la congettura di Poincaré è stata risolta dal matematico russo Grigori Perelman.


Grigori Perelman rifiuta 1 milione di dollari del Millennium Prize
Qui le ultime foto scattate a Grigori Perelman

Ai 7 problemi, a differenza di quelli di Hilbert, per ognuno di essi di cui si fornisca la dimostrazione, viene assegnato un premio di un milione di dollari, che Grigori Perelman però rifiutò.

Oltre alla congettura di Poincaré, verificata e ritenuta risolta nel 2002 (la dimostrazione della Congettura di Poincaré di Grigori Perelman commentata e spiegata da Terence Tao), l’ipotesi di Riemann, forse resta il più celebre “segreto” della matematica, legata alla distribuzione dei numeri primi, ed è l'unico problema presente in entrambe le liste.
La Congettura di Riemann, o ipotesi di Riemann, è una teoria analitica dei numeri primi, sulla distribuzione degli zeri non banali della funzione zeta di Riemann ζ(s), a cui si sta dedicando da anni, oltre ad altri matematici prestigiosi, il grande matematico Terence Tao medaglia Files 2006.
Tra i problemi, forse il più noto anche se non compare in nessuna delle due liste, è la Congettura di Goldbach, secondo cui ogni numero pari maggiore di 2 è somma di due numeri primi, che, nata da una regola semplicissima, resta ancora indimostrata.
Nessuno infatti è riuscito a dimostrare la congettura di Goldbach nella sua forma originale, tuttavia, la congettura debole di Goldbach, che afferma che ogni numero dispari maggiore di 5 può essere scritto come somma di tre numeri primi, è stata dimostrata dal matematico peruviano Harald Andrés Helfgott nel 2013.

I problemi di Hilbert o quelli del millennio, sono enigmi e segreti che non sono soltanto problemi tecnici, ma anche il simbolo di un orizzonte che si sposta sempre più in là, mantenendo viva la tensione tra ciò che sappiamo e ciò che resta segreto.

Due percorsi che si incontrano

Alla fine i due percorsi, il pensiero e la storia, si intrecciano.
Il segreto dei matematici è al tempo stesso un modo di pensare e una serie di racconti umani.

Giorgio de Chirico, Enigma dell’ora (1911)  
Evoca un'atmosfera enigmatica come l’incontro tra pensiero e storia

Da un lato, la ricerca della bellezza, la pazienza degli errori, la libertà nel rigore, dall’altro, le stranezze biografiche, i miti, i problemi irrisolti, gli episodi in cui la matematica si rivela più vicina alla vita di quanto si creda.
Insieme ci dicono che il segreto dei matematici è, in fondo, questo: 
“trasformare il mondo in forme, connessioni e storie che sanno di poesia”

 

lunedì 9 giugno 2025

Verità imperfette: wabi-sabi, Gödel e la ceramica raku

Viviamo in un mondo che celebra la perfezione, la velocità, l’efficienza, ma è nel limite, nell’errore e nell’incompleto che spesso si nascondono le verità più profonde. 
La stessa nozione di "verità imperfetta" può sembrare una contraddizione. La verità, per definizione, non dovrebbe forse essere integra, definitiva, immune da ambiguità? 
E tuttavia, sia la logica matematica che l’estetica tradizionale giapponese ci suggeriscono il contrario, cioè che esistono verità non dimostrabili, bellezze non simmetriche, forme non rifinite che contengono, proprio per questo, una forma più alta di autenticità.


Opera "Testa" dell'artista  Natalia Lubomirski - tecnica mista con base in raku nudo

Questo mio articolo nasce dal desiderio di proporre un dialogo inusuale tra tre ambiti solo apparentemente distanti: 
. la sensibilità estetica del wabi-sabi, 
. il teorema di incompletezza di Kurt Gödel e 
. la tecnica ceramica raku 
mettendoli a confronto per riflettere sul ruolo positivo dell’imperfezione e del limite nella verità, nella bellezza e nella creazione.
Cosa ci suggeriscono, nel loro insieme, rispetto al concetto di imperfezione e alle strutture del sapere e della creazione?

Wabi-sabi scritto in giapponese 

Wabi-sabi – Bellezza senza controllo

Il wabi-sabi è una sensibilità estetica giapponese che valorizza l’imperfetto, il transitorio, l’incompleto. 
Nelle forme asimmetriche, nei materiali grezzi, nelle superfici segnate dal tempo, si manifesta una bellezza intima e sobria. 
Il wabi-sabi non ricerca l’eternità, ma accoglie il divenire, non pretende la perfezione, ma la fragilità.
Derivato dalle pratiche Zen e dalla cerimonia del tè, il wabi-sabi suggerisce una visione del mondo in cui l’essere è sempre in divenire. 
È una filosofia del tempo, della precarietà e della profondità in cui l’oggetto bello non è quello che sfida il tempo, ma quello che lo incorpora visibilmente in sé: nella patina, nella scheggiatura, nell’asimmetria. 
Il valore non risiede nella finitezza dell’opera, ma nella sua capacità di evocare un silenzio contemplativo, un vuoto fertile.


Caricatura di Kurt Gödel dalla copertina del libro di Deborah Gambetta

Gödel – L’incompletezza come verità

Nel 1931, il logico austriaco Kurt Gödel pubblica i suoi celebri teoremi di incompletezza, modificando radicalmente la visione della logica formale e dei fondamenti della matematica. 
Il primo teorema afferma che in ogni sistema assiomatico coerente e sufficientemente potente da includere l’aritmetica esistono proposizioni vere che non sono dimostrabili all’interno del sistema stesso. 
Il secondo teorema stabilisce che la coerenza di un tale sistema non può essere dimostrata all’interno del sistema medesimo.
Queste affermazioni hanno implicazioni profonde e negano la possibilità di fondare la matematica su un sistema formale completo e chiuso, come sperato nel programma di David Hilbert
In una lettera a John von Neumann (1931), Gödel scrive: 

“Per ogni sistema formale coerente, ci sarà sempre un enunciato che afferma la propria verità ma non può essere provato nel sistema.”

L’incompletezza, dunque, non va intesa come fallimento, ma come un limite strutturale e costitutivo. 
Essa introduce una soglia epistemica che separa ciò che è formalmente derivabile da ciò che è logicamente (o intuitivamente) vero. 
Una soglia che, lungi dall’essere un difetto, garantisce la vitalità della ricerca matematica, come dire che vi è sempre qualcosa di vero che attende di essere pensato, ma non può essere dedotto.

Opera dell'artista Cinzia Fantozzi - Immagine tratta dalla pagina Raku e dintorni

A prima vista, il teorema di Gödel e la filosofia estetica del wabi-sabi appartengono a mondi inconciliabili: uno nasce dalla logica formale del primo Novecento, l’altro da una sensibilità millenaria orientale. 
Eppure entrambi mettono in discussione l’idea di completezza e di perfezione come ideali assoluti.
Nel wabi-sabi, l’imperfezione non è un errore da correggere, ma una qualità da accogliere e, allo stesso modo in Gödel, l’incompletezza non rappresenta un fallimento del sistema, ma una verità più profonda: che ogni costruzione formale lascia fuori qualcosa, un “di più” che non può essere catturato da regole.
Entrambe le visioni condividono l’accettazione del limite come apertura. 
Il silenzio lasciato da ciò che non si può dimostrare (in Gödel), come lo spazio vuoto o la crepa in una tazza wabi-sabi, non è un difetto: è ciò che rende l’opera viva, e la verità accessibile solo attraverso un’intuizione non completamente formalizzabile.


Opere Raku delle artiste Natalia Lubomirski e Cinzia Fantozzi
con le allieve Maria Grazia Giustizieri e Giusi Manini
Foto dalla mostra "L'imperfezione della bellezza"
Immagine elaborata da Annalisa Santi


Raku – L’opera è il fuoco

La ceramica raku nasce in Giappone nel XVI secolo, strettamente legata alla cerimonia del tè e alla filosofia Zen. 
L’argilla viene cotta rapidamente e poi estratta dal forno incandescente per essere posta in materiali combustibili. 
Il risultato è imprevedibile e ogni pezzo è unico, segnato dal caso, dalla materia, dal fuoco. 
Le crepe dello smalto, il tipico "craquelé", non sono difetti, ma tracce del processo, impronte del tempo e della trasformazione.
Come lo spazio vuoto o la crepa in una tazza wabi-sabi, anche il craquelé del raku non va nascosto ed è ciò che rende l’opera viva. 
È in queste fratture che si riflette una verità non programmata, accessibile solo attraverso un’intuizione che sfugge alla pianificazione e al controllo formale.
Il controllo dell’artista è solo parziale e l’opera accade, più che essere progettata.
Il raku diviene quindi l'espressione materiale di un principio condiviso con Gödel e il wabi-sabi, vale a dire la creazione che accetta l’incertezza, l’unicità, l’irripetibile.


Immagine elaborata da Annalisa Santi 

Wabi-sabi, Gödel e Raku  –  Tre visioni, un principio comune
In definitiva Wabi-sabi, Gödel e Raku convergono, in modo sorprendente, nella valorizzazione del limite e dove la perfezione logica fallisce, si apre lo spazio della verità irriducibile. 
Dove la bellezza si libera dal canone simmetrico, nasce una nuova sensibilità, e dove l’opera non è totalmente controllata, può manifestarsi l’inaspettato. 
L’imperfezione, in questo senso, non è una mancanza ma una condizione necessaria.
In una contemporaneità che tende a privilegiare l’efficienza, la completezza e il controllo, queste tre visioni offrono un’alternativa che consiste nel riconoscere valore nel non finito, nel non detto, nel non calcolabile. L’incompletezza - logica, estetica e materiale - non va temuta, ma riconosciuta come apertura verso ciò che eccede il sistema, la regola, la forma. 
Una zona dove la verità e la bellezza non si dimostrano, ma si intuiscono, si lasciano accadere.

L'affascinante e intrigante tecnica raku in questo video da CineFilosofia