sabato 15 giugno 2019

La Tour Eiffel e il suo segreto matematico

"Mentre gli eventi della Rivoluzione francese sono catturati da Charles Dickens nel suo commovente romanzo 'Un racconto di due città', il centenario della Rivoluzione Francese viene commemorato dall'imponente Tour Eiffel, il cui profilo all'orizzonte appare come una coda di due esponenziali" 
(Weidman e Pinelis nell'introduzione al loro articolo del 2004)

Nel 2004 i ricercatori statunitensi Patrick Weidman e Iosif Pinelis, hanno svelato il segreto dell'incredibile opera architettonica dell'ingegnere francese Gustave Eiffel (1832-1923), trovando un'equazione dalla quale si evidenzia la sagoma della Tour Eiffel.


Fino al 1930 la Tour Eiffel fu il monumento più alto del mondo, 
superato poi dal Chrysler Building di New York. 
Nel 1957 i francesi operano però una beffa e, grazie all'aggiunta delle antenne di
 trasmissione sulla sua sommità, la torre tornò a svettare di poco più di cinque
 metri sopra l'iconico grattacielo newyorkese.  foto © Annalisa Santi 1989

Partendo dagli studi dell'ingegnere Gustave Eiffel sul profilo della torre, soprattutto legati al fattore vento, cioè al caricamento del vento sulla torre, i due ricercatori hanno determinato una nuova equazione che corrisponde strettamente alla forma della metà superiore della torre.
Consultando il documento di 26 pagine stilato da Eiffel, i cui dati ne garantivano la stabilità evitandone il crollo nonostante la sua altezza rilevante, e che analizzava soprattutto l'effetto del caricamento del vento sulla torre, l'ingegner Patrick Weidman  ha trovato un'equazione (di cui parlerò), sotto forma di una funzione esponenziale, rielaborata poi insieme a Iosif Pinelis, un esperto in analisi matematica, che ha offerto il suo aiuto per comprendere le caratteristiche sottostanti, arrivando così a determinare la definitiva equazione integrale.
Lo studio dei due ricercatori statunitensi, dal titolo "Model Equations for the Eiffel Tower: Historical Perspective and a New Equation", pubblicato nel numero di luglio 2004 della rivista dell' Accademia francese delle Scienze, "Comptes Rendus Mecanique", ha spiegato quindi dettagliatamente la relazione tra il fattore del vento (che la fa oscillare fino a 12 cm.) e la larghezza della sezione di base.
Una relazione molto estesa dovuta soprattutto al fatto di dover mettere a confronto il loro studio con quello di Eiffel che, non essendo completamente sicuro dei suoi calcoli, a quei tempi esclusivamente cartacei, preferì costruire la torre esagerando le misure della base in modo da avere la certezza che il vento non avrebbe destato problemi di oscillazioni preoccupanti o di crolli della struttura.
La forma della Torre Eiffel è infatti aerodinamica, pensata espressamente per resistere al vento, come ribadì lo stesso Gustave Eiffel rispondendo alle critiche mosse contro il suo progetto costituito si da 7.300 tonnellate di ferro, ma assemblate in una costruzione reticolare, ossia circa diciottomila pezzi metallici costituiti non da travi massicce ma da barre scanalate, quindi più leggere e aerodinamiche.

La Tour Eiffel poggia su quattro piloni, bloccati nelle fondazioni di calcestruzzo, 
che si collegano in alto formando un’unica struttura 
Espisizione Universale di Parigi 1889  foto  © Fondazione Grossman

Siamo a Parigi nel 1889 dove si svolse la più importante esposizione universale ottocentesca in occasione del centenario della Rivoluzione francesce.
La zona indicata ad ospitare la manifestazione fu scelta presso il Campo di Marte, una vasta area militare vicino alla Senna.
Qui, tra le tante costruzioni destinate a contenere i prodotti più moderni dell'industria, una in particolare stupì profondamente gli spettatori: la Torre Eiffel, all'epoca il più alto edificio del mondo.
Fu edificata dall'ingegnere francese Gustave Eiffel (1832-1923) per dimostrare a tutti quali straordinarie possibilità costruttive offrisse la tecnologia moderna.
Alta 300 metri e costruita unicamente con elementi metallici prefabbricati (perché in ferro e non in acciaio?) fu pensata per resistere alla forte pressione del vento.
Alla sua base quattro enormi pilastri raccolgono e distribuiscono il suo peso colossale per poi assottigliarsi progressivamente fino a formare un altissimo traliccio di ferro.

Venne inaugurata il 31 marzo 1889 con 21 colpi di cannone (l'ingegnere Eiffel salì a piedi tutti i 1.710 gradini per issare sulla punta della torre il tricolore francese) e, nonostante un numero ben maggiore di petizioni per demolirla a fine esposizione, non venne smontata, come previsto dopo 20 anni nel 1909 (fu salvata perché venne considerata  un'ottima antenna per la radio), ed è così che la "dama di ferro" è rimasta come simbolo stesso di Parigi. 

Ma fu tutta farina del suo sacco?
O forse la "Tour en fer de trois cent mètres" invece di chiamarsi "Tour Eiffel" avrebbe potuto prendere il nome di "Tour Koechlin Nouguier"?


Il progetto iniziale di Koechlin e Nouguier, con le dimensioni 
della colossale torre rapportate ad altri monumenti celebri, 
come la cattedrale di Notre Dame, la statua della 
Libertà e la colonna Vendôme  foto  © Wikipedia

Quando, sul finire del 1884, il governo francese annunciò di voler inaugurare l'Esposizione Universale del 1889 di Parigi con un'opera di dimensioni colossali, Maurice Koechlin e Émile Nouguier, due ingegneri alle dipendenze della "Compagnie des Établissements Eiffel", una fiorente ditta gestita da uno dei più accreditati "architetti del ferro" del periodo, Gustave Eiffel , aderirono entusiasticamente all'impresa. 

Progettarono così un "imponente pilastro metallico, formato da quattro travi reticolari svasate in basso che si congiungono in cima, legate tra loro mediante traverse disposte a intervalli regolari" (David I. Harvie, Eiffel: The Genius Who Reinvented Himself, Stroud, Gloucestershire, Sutton, 2006) 
Eiffel inizialmente riservò al progetto solo un'attenzione distratta ma, in un secondo momento, ne intuì la genialità e, avvalendosi della collaborazione di Stephen Sauvestre, ingegnere capo del dipartimento di architettura della sua società, contribuì al progetto con vari ritocchi e perfezionamenti.  
Va rilevato che l'apporto tecnico di Sauvestre fu fondamentale non solo sotto il profilo tecnico, con la correzione di vari errori di fondo del progetto di Koechlin e Nouguier, ma anche sotto quello estetico, in quanto modificò la forma della torre per renderla più accattivante agli occhi dell'opinione pubblica, con l'aggiunta di linee meno spigolose e più aggraziate, ingentilite anche con svariati ornamenti.


15 marzo 1889 costruzione della cupola su progetto finale di 
Stephen Sauvestre del 1887  foto  © Wikipedia

Ma l'opera fu molto osteggiata all'epoca, definita "mostruosa opera" dai detrattori e "un originale capolavoro di metallo" dai sostenitori e, anche allora come oggi, circolarono molte "bufale" per impedirne la costruzione, tra cui l'accusa, tracimante di disprezzo e razzismo, a Eiffel di essere "null'altro se non un ebreo tedesco" e per questo bisognava assolutamente impedire che venisse vergognosamente costruita "une tour juive" o, che mettevano in dubbio le sue competenze, "di non essere in grado di progettare una torre capace di contrastare adeguatamente l'azione del vento", alcuni asserivano che avrebbe potuto crollare sulle case vicine, o che avrebbe attirato fulmini o persino l'assurda ipotesi che la torre Eiffel potesse magnetizzarsi e attrarre tutti gli oggetti ferrosi della capitale.
Arrivarono a definirla addirittura un' "odiosa colonna di metallo e bulloni" o "l'asparago di ferro", nomignolo tuttora in voga tra molti parigini.
Come oggi sui Social nascono petizioni di protesta, anche allora un appello di quarantasette artisti e intellettuali più influenti dell'epoca, tra cui Guy de Maupassant, Alexandre Dumas figlio ed Emile Zola, tentò di bloccarne la costruzione con queste parole:

"E per i prossimi vent'anni vedremo stagliarsi sulla città, ancora vibrante dell'ingegno dei secoli passati, vedremo stagliarsi come una macchia d'inchiostro l'odiosa ombra dell'odiosa colonna di metallo e bulloni." 

Tutto ciò non fece però vacillare il parere di Édouard Lockroy, ministro per il Commercio e presidente della commissione della fiera che scelse proprio il progetto "Tour en fer de trois cent mètres" della "Compagnie des Établissements Eiffel", considerandolo "un monumento destinato a diventare unico al mondo e una delle curiosità più interessanti della capitale". 


Due turbine eoliche sono state montate dall’americana UGE al secondo
 piano della torre (il punto con le migliori caratteristiche di vento) 
per produrre 10.000 kWh di elettricità l’anno, ovvero quanto basta 
ad alimentare i negozi e le caffetterie del primo piano.

Dopo queste brevi note storiche (i più curiosi possono trovarne di più dettagliate qui) torno a parlare di matematica e dell'equazione di Patrick Weidman e Iosif Pinelis.
La forma caratteristica della torre, come rivelano i due ricercatori statunitensi, fu dettata quindi principalmente da ragioni fisiche e matematiche.
Le 26 pagine consultate da Weidman con l'aiuto della traduttrice professionista Claudette Roland, cioè i modelli di calcolo dell'ingegnere Gustave Eiffel, si sono rivelati esatti e hanno dimostrato in che modo la struttura, nonostante sia alta 300 metri, sia in grado di sopportare un vento che soffi oltre 200 Km/h (238 Km/h una velocità mai raggiunta nella città di Parigi).
Struttura che, da una base quadrata di 125 metri di lato da cui, vede innalzarsi quattro pilastri che confluiscono in un'unica colonna, via via più sottile e concava al crescere dell'altezza.
L'ingegnere ne studiò la sagoma, sezione dopo sezione, calcolando per ciascuna il peso che la struttura doveva reggere.

Se si schematizza l’edificio come un corpo rigido omogeneo di densità ρ avente sezioni orizzontali quadrate e trascurando la presenza dell’aria, si verifica che la forza esercitata su una porzione dell’edificio dalla parte sovrastante coincide con il peso di tale parte.


Immagine (1)


Data la densità del materiale ρ considerando A(h) l’area della sezione quadrata alla quota generica h, si può affermare che il volume infinitesimo di uno strato di altezza dh è A(h)dhtrattandosi infatti di un prodotto tra una sezione e un'altezza.
Sia A(x) l’area della sezione dell’edificio alla quota x, misurata dal terreno verso l’alto ed essendo g l’accelerazione di gravità, il peso della parte compresa tra x e l’altezza H della torre è:
e, considerato il peso massimo P che la struttura sottostante può reggere, vale la seguente equazione integrale:
dove : 

P = pressione massima che può essere sopportata
ρ = densità del materiale (7800 Kg/m³)
g = accelerazione di gravità (9,81 m/s²)
A(x) = area della sezione quadrata alla quota generica x
H = altezza massima della torre
x = generica altezza considerata 

Per determinare la funzione incognita A(x) conviene trasformarla in un’equazione differenziale.
Derivando entrambi i membri dell’equazione precedente rispetto ad x si ottiene:
che può essere scritta nella seguente forma:
Si tratta di un’equazione differenziale a variabili separabili e si può quindi scrivere come:
Integrando entrambi i membri si ottiene:
dove C è una costante arbitraria, determinabile perché è nota l’area A(0) all’ altezza H.
Ricordando la definizione di logaritmo si ottiene:
Ottenuto il valore di A(x), si noti che l'equazione è un'equazione esponenziale.
A(x) indica come varia la sezione orizzontale al variare dell'altezza e permette di ricavare il profilo della struttura, che può essere descritto dalla funzione del semilato y della sezione al variare della quota, ovvero la funzione:
Come si vede anche dall'immagine (1) la pressione esercitata dal vento sulla struttura è un fattore fondamentale per l'equilibrio del sistema.
Lo studio dei due ricercatori statunitensi ha spiegato anche la relazione tra il fattore del vento e la larghezza della sezione di base che, come già ricordato, Eiffel surdimensionò per avere la certezza che il vento non avrebbe destato problemi di oscillazioni preoccupanti o di crolli della struttura.
Eppure la sagoma della torre Eiffel non è esattamente esponenziale anche se il suo profilo assomiglia a una curva esponenziale decrescente.
Questo proprio perché Eiffel non trascurò la presenza del vento.
La pressione che il vento esercita sulla torre è un fattore molto importante per
l’equilibrio del sistema. Infatti affinché la struttura sia in equilibrio è necessario che la pressione del vento sia controbilanciata dalla tensione tra gli elementi della costruzione.
Questo si traduce in una equazione integrale non lineare le cui soluzioni forniscono precisamente la sagoma della struttura.
Che rappresentata su un diagramma cartesiano appare così:


dove y(0) è il lato di base, pari alla radice quadrata di A(0). Come si vede, somiglia moltissimo al profilo della Torre Eiffel vista di lato! 

Concludo questo "segreto" matematico con una curiosità legata a un altro segreto, questa volta letterario, un racconto tra il fantastico e il reale di Dino Buzzati, "La Tour Eiffel",  contenuto nella raccolta "La boutique del mistero".
Nella trama lo scrittore immagina che la costruzione della Torre Eiffel nasconda un segreto: gli operai non si erano fermati ai 300 metri di altezza circa che si possono ammirare ancora oggi ma erano andati ben più avanti.
Ben più avanti verso il cielo, ma erano stati fermati e obbligati a distruggere gran parte del loro lavoro, da una sorta di opportunità pubblica. 
Il racconto termina con l'esclamazione 'Ah giovinezza' che fa capire che questo racconto non è una semplice rivisitazione moderna del racconto biblico della Torre di Babele, ma è una riflessione sul tempo inutilmente speso nelle vane costruzioni. 
Spesso l'uomo, da giovane, incomincia a costruire la sua vita su pretese inutili senza rendersi conto che spreca solamente tempo.

Doodle del gigante di Mountain View in onore del monumento più famoso di Parigi, in occasione
 del 126° anniversario, il 31 marzo 2015, dalla sua inaugurazione del 31 marzo 1889.
Come nel racconto di Buzzati, il disegno ritrae un gruppo di operai dell’epoca impegnati 
sulla Torre mentre uno dei cavi che assicura i lavoratori forma la scritta Google. 

"Quando lavoravo nella costruzione della Torre Eiffel, quelli sì erano tempi. E non sapevo di essere felice. La costruzione della Torre Eiffel fu una cosa bellissima e molto importante. Oggi voi non potete rendervene conto. Ciò che è oggi la Torre Eiffel ha ben poco a che fare con la realtà di allora. Intanto, le dimensioni. Si è come rattrappita. Io le passo sotto, alzo gli occhi e guardo. Ma stento a riconoscere il mondo dove vissi i più bei giorni della mia vita. 
I turisti entrano nell'ascensore, salgono alla prima terrazza, salgono alla seconda terrazza, esclamano, ridono, prendono fotografie, girano pellicole a colori. Poveracci, non sanno, non potranno mai sapere. Si legge nelle guide che la Torre Eiffel è alta trecento metri, più venti metri dell'antenna radio. Anche i giornali dell'epoca, prima ancora che cominciassero i lavori, dicevano così. E trecento metri al pubblico sembravano già una pazzia. Altro che trecento. Io lavoravo alle officine Runtiron, presso Neuilly. Ero un bravo operaio meccanico. Una sera che mi avviavo per rincasare, mi ferma per strada un signore sui quarant'anni con cilindro. 
«Parlo col signor André Lejeune» mi chiede. «Precisamente» rispondo. «E lei chi è?» «Io sono l'ingegnere Gustavo Eiffel e vorrei farle una proposta. Ma prima dovrei farle vedere una cosa. Questa è la mia carrozza.» Salgo sulla carrozza dell'ingegnere, mi porta a un capannone costruito in un prato della periferia....."
qui continua la storia!

E per chi volesse trascorrere piacevolmente un'ora e mezza circa, ecco il video dell'interessante documentario francese (doppiato in italiano e  andato in onda su RaiStoria l'8 gennaio 2018) "La leggenda della Tour Eiffel" su come fu ideata, progettata e costruita la celebre Torre Eiffel, e che parla anche della travagliata vita del suo progettista e delle vicissitudini e opposizioni subite dalla "dama di ferro" stessa.


Documentario "La leggenda della Tour Eiffel" tempo 1:34:03  
Una docu-fiction di Pascal Laine, per la regia di Simon Brook e la produzione
 di Jeann Pierre Dusseaux - Produzione VAB, Francia, 2005 



giovedì 6 giugno 2019

Uno, nessuno e 95 miliardi

“Ho trovato in filosofia un metodo per realizzare in tutte le scienze, mediante l’Ars Combinatoria, ciò che Cartesio ed altri hanno fatto in aritmetica e in geometria mediante l’algebra e l’analisi, cioè un mezzo concreto, percepibile con i sensi che serva di guida alla mente. Senza di esse la nostra mente non potrebbe percorrere alcun cammino senza fuorviarsi.” 
(G. W. Leibniz)


"Uno, nessuno e 95 miliardi" versione 1

Quando ho visto quest'opera l'ho trovata geniale e mi ha subito intrigato!
L'opera "Uno, nessuno e 95 miliardi" è un acrilico su tela tessuta con telaio a mano. Una collaborazione a quattro mani e due teste dell'artista Alberto Pigato e della creativa e tessitrice Simona Lombardo. 
Il quadro è formato da 9 piccole tele da 25x25 cm movibili, la cui tela è tessuta con telaio a mano, quindi ognuna può non solo occupare in tutti i modi possibili le posizioni del quadrato 3 x 3 ma anche essere posizionata in quattro modi diversi (rispetto ai suoi lati). 
Come non vedere immediatamente la possibilità matematica di determinarne le possibili combinazioni? 
Sono più di 95 miliardi infatti, come spiegherò, anche se l'autore dell'opera di combinazioni ha preferito "crearne" due che ben inseriscono, con armoniosi incastri geometrici, i nove "tasselli" di cui è composta.


"Uno, nessuno e 95 miliardi" versione 2

Si perché l'opera è non solo originale per questa curiosità matematica che sottende, ma anche perché è stata concepita appunto a due mani, dall'artista Alberto Pigato¹ e dalla creativa Simona Lombardo², con questi "tasselli", piccole tele 25x25, dipinte in acrilico da Alberto su tela tessuta su telaio a mano da Simona.
Genialità e artigianalità si fondono per ottenere quest'opera davvero affascinante e originale.
Un'opera che non aveva ancora un titolo quando mi fu mostrata ma che può dirsi davvero come "una", nella sua completezza dei 9 riquadri, "nessuna" perché nessuna è univocamente determinabile e "95 miliardi" perché sono davvero più di questo numero le possibili combinazioni e quindi i possibili quadri che teoricamente si potrebbero ottenere. 

Ma come si determinano queste possibilità di scelta? Cosa si intede per teoria combinatoria?
La Combinatoria studia le possibilità di combinare in tutti i modi possibili degli elementi semplici dati, secondo una regola prescritta.
Lo scopo del calcolo combinatorio è quello di contare vari tipi di possibili scelte in svariate situazioni e alla base del calcolo combinatorio vi è l’importante "Principio di moltiplicazione".

Se una scelta può essere fatta in N modi diversi, per ciascuno dei quali una seconda scelta può essere fatta in n modi diversi, e per ciascuno dei modi in cui sono state effettuate le prime due scelte una terza scelta può essere fatta in m modi diversi, ecc ecc... allora la successione di tutte le scelte potrà compiersi in N∙n∙m∙....modi diversi.

Scelte totali = N∙n∙m∙....

Nel nostro caso la scelta può essere fatta in N = 9 modi diversi, e per ogni k = 1,2..,9  (k = 1,2..,N) la scelta da compiere al k-mo passo puo essere fatta in m = 4 modi diversi. 
Il principio di moltiplicazione dice che allora il numero totale di possibili scelte è il prodotto 

Stot = m∙1∙m∙2∙m∙3....m∙(N−1)∙m∙N

Nel nostro caso 

Stot = 4∙1∙4∙2∙4∙3∙4∙4∙4∙5∙4∙6∙4∙7∙4∙8∙4∙9 = 4⁹ (1∙2∙3∙4∙5∙6∙7∙8∙9) = 4⁹∙9! = 95.126.814.720 

Se poi vogliamo usare un simbolo che in matematica abbrevia, in una notazione sintetica, la moltiplicazione di un certo numero di fattori, possiamo usare la produttoria, il cui simbolo è dato dalla lettera greca Π (pi maiuscola).
        
         

Applicando quindi quello che viene chiamato "Principio di moltiplicazione" otteniamo 95 miliardi e passa di combinazioni (o scelte), che ben si visualizzano attraverso questa bellissima animazione creata dal Prof. Sergio  Casiraghi (cliccando sulla bandierina si avvia l'animazione)




"Per evitare la prolissità e la labilità della logica tradizionale, abbiamo pensato di inventare (mediante l'aiuto di Dio) una logica nuova e compendiosa che possa essere acquisita senza troppa difficoltà e troppa fatica, possa esser conservata nella memoria completamente e totalmente e ricordata con grande facilità"
 
Queste parole le scrisse Ramon Liull (Palma di Majorca, 1232 – Palma di Maiorca, 29 giugno 1316), nel prologo al "Liber de nova logica", originariamente in catalano a Genova, nel 1303, e tradotto in latino l'anno seguente. 
Parole per introdurre, anche se molto succintamente, le origini, vere o supposte, e il percorso di questa teoria combinatoria che mi ha permesso di determinare tutte queste possibili combinazioni.
Le origini della combinatoria risalgono a tempi antichi come dimostrano i quadrati magici, dalla famosa tartaruga cinese³ al quadrato magico della tradizione alchimistica del Dürer o appunto l'Ars lulliana, anche se è solo in tempi moderni che la combinatoria assume i contorni di disciplina autonoma.
"Ars magna", di Ramon Llull (Raimondo Lullo) © Wikipedia

Ramon Liull  (italianizzato in Raimondo Lullo) è stato uno scrittore, teologo, logico, astrologo, alchimista, mistico e missionario spagnolo, tra i più celebri dell'Europa del tempo.
I pilastri della sua produzione scritta sono i quattro libri, monumentali, che presentano la sua "arte": "Ars compendiosa inveniendi veritatem" e "Art demostrativa", "Ars generalis" e "Art breu".
Per Llull, l'"arte" è un metodo di ragionamento e di catalogazione del sapere, un vero e proprio "metodo dei metodi" che, grazie all'uso di diagrammi, lettere dell’alfabeto e formule mnemoniche, si offre come strumento per distinguere il vero dal falso, per garantire un approccio esaustivo ad ogni campo del sapere e per comunicare in modo efficace ottenendo i risultati prefissati.
L'"arte" di Llull infatti serve a risolvere ogni problema, attraverso la scomposizione di ogni quesito in parti più piccole e successivamente la riduzione in lettere dell'alfabeto. 
Queste lettere fanno parte di ruote che saranno in grado di fornire infinite combinazioni ed è per questo che si può definire quindi un precursore della teoria combinatoria. 
Possiamo definire la "combinatoria" lulliana una nuova logica, una "arte generale" basata sui principi o gli elementi primi che contengono i fondamenti di tutte le scienze.
Con il nome di "Ars Combinatoria", l'"Ars Magna" ricompare quindi con Leibniz (1646–1716). 
Uno studio sistematico dei metodi combinatori fu da lui avviato nella "Dissertatio de arte combinatoria" che, unitamente all'"Ars Conjectandi" di Jakob Bernouilli, sul calcolo delle probabilità, ne pose le basi.
Nella sua "Dissertatio de arte combinatoria" (1666) Leibniz si proponeva di creare un metodo con il quale, servendosi di proposizioni primitive, attraverso la loro combinazione, si potessero verificare le verità già presenti (ars demonstrandi) e trovarne di nuove (ars inveniendi).

Frontespizio del libro stampato nel 1690 © Wikipedia

Moltissimi altri studiosi si sono occupati di problemi legati alla teoria combinatoria, fin da Fibonacci (1170 - 1235) o Tartaglia (1499 - 1557), e quindi, insieme a Leibniz nel XVII secolo, Caramuel, Harriot, Pascal e De Moivre.
Quindi nel XVIII e XIX secolo Eulero, Lagrange, Galois e Cauchy, ma è soprattutto dal XX secolo che la combinatoria prende finalmente la forma di disciplina autonoma. 
La combinatoria raggiungere una certa autonomia dopo la pubblicazione del testo "Combinatory Analysis" di Percy Alexander MacMahon nel 1915 e la sua importanza è cresciuta gradualmente negli anni successivi con i testi di König sulla teoria dei grafi e di Marshall Hall.
Lo sviluppo della combinatoria ha ricevuto quindi impulso dall'opera di Gian Carlo Rota che, a partire dagli anni '60, ha contribuito alla fondazione di teorie unificatrici di ampia portata e di grande chiarezza formale.

"Quasi tutta la matematica classica, dall'algebra elementare alla teoria delle equazioni differenziali, è applicabile al mondo reale solo nell'ipotesi che questo sia costituito di oggetti e di eventi a carattere continuo. Però, in molte situazioni comuni in fisica e in chimica ed in altre scienze, si può parlare realisticamente solo di collezione di oggetti a carattere discreto, i quali agiscono in combinazione, un passo per volta; la matematica applicata a tali situazioni si chiama analisi combinatoria. Molti problemi di analisi combinatoria, tra i più interessanti, si sono presentati nella forma di ingegnosi indovinelli, a sfida di matematici e non matematici assieme: a prima vista, alcuni di essi possono sembrare addirittura frivolezze, eppure quasi tutti hanno delle applicazioni immediate ed importanti a problemi scientifici concreti"

Così scrive Gian Carlo Rota nel suo "Analisi combinatoria" (Le Scienze Matematiche - UMI - Zanichelli, 1973), matematico e filosofo italiano naturalizzato statunitense. 
Dieci articoli, pubblicati da Gian Carlo Rota (Vigevano, 27 aprile 1932 – Cambridge, 18 aprile 1999) tra il 1964 ed il 1992 con titolo “On the foundations of combinatorial theory” sono considerati il suo contributo fondamentale alla teoria combinatoria ed al pensiero matematico.
Tra le altre figure influenti si può ricordare Marcel Paul Schützenberger e, con un'azione diversa ma molto efficace, Paul Erdős e i suoi contributi riguardo soprattutto alla soluzione di problemi estremali. 
In tempi recenti l'introduzione della gestione elettronica dei dati ha rinfocolato l'interesse per la combinatoria, che ha comunque conosciuto applicazioni anche al di fuori del suo tradizionale ambito ispirando interessanti soluzioni in campo artistico.
In letteratura, come faceva notare Umberto Eco, "questo kit preconfezionato che è l’alfabeto, composto di un numero variabile di elementi a seconda delle lingue, oscillante tra venti e trenta, può dar vita a combinazioni le più diverse e lontane fra loro" 
E nel suo saggio "Combinatoria della Creatività" ricorda che:

"Nel 1622 Pierre Guldin aveva scritto un "Problema arithmeticum de rerum combinationibus", in cui aveva calcolato tutte le dizioni generabili con 23 lettere, indipendentemente dal fatto se fossero dotate di senso e pronunciabili, ma senza considerare le ripetizioni, e aveva calcolato che il numero di parole era più di settantamila miliardi di miliardi (per scrivere le quali sarebbero occorsi più di un milione di miliardi di miliardi di lettere)."

Altri esempi famosi di combinatoria letteraria li troviamo in Raymond Queneau (1903-1976), che è tra gli autori più rappresentativi della narrativa combinatoria in voga durante gli anni sessata e settanta (ce ne parla un articolo di Popinga, alias Marco Fulvio Barozzi, "Queneau e la matematica"),  o in Perec (ce ne parla Paolo Alessandrini ne "Il grande quadrato di Perec") e Calvino (ce ne parlano "I tarocchi di Calvino" di Marco Fulvio Barozzi).
In musica troviamo la combinatoria di Iannis Xénakis (1922 - 2001), compositore, architetto e ingegnere greco naturalizzato francese che, per la rilevanza del suo lavoro teorico e compositivo, viene annoverato tra le figure più rappresentative dei compositori della seconda parte del Novecento.
Iannis Xénakis compone partiture che traggono elementi di ispirazione e di realizzazione tecnica da strumenti come il calcolo della probabilità, la teoria degli insiemi e dei gruppi, introducendo nuovi elementi teorici come il concetto di musica stocastica, musica simbolica, masse musicali.
(Iannis Xénakis - Metastasis (Spectral View) - video musicale) 

Gli artisti Simona Lombardo e Alberto Pigato © 
Albero d'ossigeno felice - 2018
Acrilico su tela tessuta con telaio a mano
Mostra "Arte e Salute alle radici della prevenzione" dal 15 al 29 maggio 2019 
Spazio Eventi Grattacielo Pirelli - via Fabio Filzi 22 - Milano

Concludo questo excursus, piuttosto succinto e non certo esaustivo,  tornando alla pittura e alla mostra che mi ha dato il la per introdurre alcune curiosità sulla Combinatoria.
Gli autori dell'opera, Alberto Pigato e Simona Lombardo, avevano infatti partecipato, con il quadro "Albero d'ossigeno felice - 2018", alla mostra "Arte e Salute alle radici della prevenzione", una mostra collettiva d'arte contemporanea sul tema dell'albero, molto interessante e intrigante (alla Sala Eventi del grattacielo Pirelli a Milano, a cura di Francesca Bianucci e Chiara Cinelli).
Mostra che mi ha dato lo spunto per prendere in considerazione alcune opere esposte che mi hanno particolarmente colpito per le chiare implicazioni matematiche.
Come si sa in pittura il gioco delle combinazioni dei colori è intimamente legato alla creatività dell'artista e quindi alle "infinite creazioni" che partendo dai colori primari generano tutte le innumerevoli altre varianti.
Nel quadro "Uno, nessuno e 95 miliardi" la curiosità combinatoria, oltre che nell'intrinseca combinazione dei colori, la possiamo cogliere attraverso le varie possibili disposizioni dei "tasselli" creati ad hoc, con genialità e perizia, dagli artisti.



Note

¹ Alberto Pigato artista eclettico...attore, mimo, caratterista, pittore, tessitore...
pagina Facebook https://www.facebook.com/alberto.pigato.7
sito Web http://tessituremanuali.it/it/i-servizi/arazzi-tessuti-e-dipinti/
contatto cellulare +393358200853 
² Simona Lombardo creativa e tessitrice 
sito Web https://www.tessituremanuali.it
³ Secondo un'antica leggenda cinese, risalente al 650 a.C., si dice che il primo quadrato magico sia stato trovato sul dorso di una tartaruga e questa storia è la prima documentazione scritta di un quadrato magico. 
La leggenda narra che ai tempi delle grandi inondazioni in Cina la disastrosa piena del fiume Lo, causata dall’ira dal dio del fiume contro la popolazione, ebbe fine solo con la comparsa di una tartaruga.
⁴ Melancolia è un'opera di Albrecht Dürer, densa di riferimenti esoterici, tra cui il quadrato magico, che è una delle incisioni più famose in assoluto, oggetto anche di omaggi come quello di Thomas Mann  nella sua opera letteraria "Dottor Faustus" o di Dan Brown nel romanzo "Il simbolo perduto".
Questo quadrato magico è molto complesso e matematicamente interessante. 
Infatti non è solo la somma dei numeri delle linee orizzontali, verticali e oblique a dare 34 ma anche la somma dei numeri dei quattro settori quadrati in cui si può dividere il quadrato e anche i quattro numeri al centro, se sommati danno 34, così come i quattro numeri agli angoli.
Inoltre se si prende un numero agli angoli e lo si somma con il numero a lui opposto si ottiene 17 e se si prendono i numeri centrali dell'ultima riga si trova il numero 1514, anno in cui è stata creata l'opera.

giovedì 30 maggio 2019

Codice binario, tra arte e matematica

“Abbiamo cercato di trasferire in arte ed andare ‘oltre’ il linguaggio che si cela dietro la più grande invenzione del secolo scorso: il computer. Ogni quadro custodisce, ed è celato, sottoforma di linguaggio binario, un messaggio, un ‘segno’ dell’umanità [...] Si crea così un dialogo artistico con chi saprà, uomini e donne del nostro tempo, leggerne il sottile linguaggio d’amore.”
(Giordano Redaelli) 


Superficie verde salice. L'albero è...(2018) - M&G Redaelli -  foto © Annalisa Santi

Come ci fa capire lo stesso Giordano Redaelli questo quadro fa parte della serie di opere, da lui ideate insieme al padre Michele, che, attraverso il codice binario, traducono su tela parole, frasi simboliche e anche pensieri di filosofi come Aristotele, di santi come Madre Teresa, e di scienziati come Einstein o Margherita Hack. 

L'opera citata fa parte della mostra "Arte e Salute alle radici della prevenzione", una mostra collettiva d'arte contemporanea sul tema dell'albero, molto interessante e irtrigante (inaugurata in questi giorni alla Sala Eventi del grattacielo Pirelli a Milano, a cura di Francesca Bianucci e Chiara Cinelli), che mi ha dato lo spunto per prendere in considerazione alcune opere esposte che mi hanno particolarmente colpito per le chiare implicazioni matematiche.


Mostra "Arte e Salute alle radici della prevenzione" dal 15 al 29 maggio 2019 allo 
Spazio Eventi Grattacielo Pirelli - via Fabio Filzi 22 - Milano

Tra queste opere vorrei oggi analizzare, legandola solo a curiosità matematiche, questa opera di Giordano e Michele Redaelli.     
Appare forse singolare che l'opera presenti questa semplice composizione di numeri, per di più limitati a solo due, lo <0> e l’ <1>, anche se l’arte, di ogni tempo e civiltà, spesso in modo inconsapevole, presenta una struttura matematica. 
Traducendo il codice binario del quadro, in testo a noi più comprensibile, si legge la frase "L'albero è salute. ~ L'albero è vita".
Anche in questo acrilico su tela è celato quindi il significato dell'albero che simbolicamente, sia nella pittura, dalle tele di grandi artisti del passato agli interpreti contemporanei, come nelle anonime trame dei tappeti persiani, è sempre stato universalmente considerato un simbolo di vita e di salute.
Dall’immagine biblica dell’albero della vita alle parole di Alce Nero, il mistico Sioux che lo rappresentava al centro del cerchio del mondo, l’albero costituisce davvero un’immagine universale e archetipica, un simbolo potente che vive e si moltiplica, nello spazio e nel tempo, in un’infinita varietà di forme.

Una di queste varietà e che ha costituito per me una particolare curiosità matematica è rappresentata appunto dall'opera "Superficie verde salice. L'albero è..." di M&G Redaelli. 
Una curiosità matematica basata sulla polarità espressa dal codice binario che, sul piano estetico, i due artisti traducono elaborando un linguaggio astratto improntato all’essenzialità visiva e al rigore:

“Questa polarità si esprime in una serie di opposte tensioni che dettano il ritmo dell’opera, infondendo dinamismo al rigore della composizione: semplicità e complessità, luce e ombra, pieno e vuoto, ripetizione e variazione, esattezza e ambiguità, positivo e negativo. La monocromia delle tele associata alla ripetizione seriale dei numeri 0 e 1, disposti in sequenze regolari ma variabili, crea un clima percettivo di pura astrazione visiva che invita a fare un passo più in là, oltre i confini dell’opera stessa”.
(Francesca Bianucci e Chiara Cinelli)

A parte le considerazioni estetiche, ben sottolineate dalla competenza delle due curatrici della mostra, prendo io spunto proprio da quest'opera per introdurre alcune curiosità, magari meno note, sul codice binario.
In informatica e discipline affini, l'espressione codice binario si riferisce, in generale, a notazioni che utilizzano simboli binari (o bit) e può avere numerosi significati specifici:
- nel contesto della programmazione, per codice binario si intende un codice eseguibile da un processore, ovvero si riferisce a un programma (o altra porzione di software) scritto in linguaggio macchina
- nel contesto della rappresentazione dei dati, il termine codice binario si può riferire a un modo di rappresentazione dei numeri interi corrispondente al sistema numerico binario o a un sistema derivato (per esempio la rappresentazione in complemento a due)
- l'espressione codice binario potrebbe essere usata anche in senso generico per intendere un codice (nell'accezione della teoria dell'informazione, della crittografia o di altre discipline analoghe) che utilizza un alfabeto composto da due soli simboli (zero e uno).
Interessante curiosità è l'esempio della codifica binaria di 4 colori diversi: rosso, verde, blu, giallo, in cui a ciascun colore può essere associato il seguente codice: 
rosso 00, verde 01, blu 10, giallo 11.

Ma storicamente a chi si deve l'ideazione del sistema binario?
Il sistema numerico binario è un sistema numerico posizionale in base 2, vale a dire che utilizza solo due simboli, <0> e <1> , invece delle dieci cifre utilizzate dal sistema numerico decimale.  Ciascuno dei numeri espressi nel sistema numerico binario è definito "numero binario" così come i numeri che solitamente usiamo col sistema decimale, a base 10 (0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9), sono definiti "numeri decimali".
In informatica il sistema binario è utilizzato per la rappresentazione interna dell'informazione dalla quasi totalità degli elaboratori elettronici, in quanto le caratteristiche fisiche dei circuiti digitali rendono molto conveniente la gestione di due soli valori, rappresentati fisicamente da due diversi livelli di tensione elettrica. 
Tali valori assumono convenzionalmente il significato numerico di 0 e 1 o quelli di vero e falso della logica booleana.
Tradizionalmente, l’invenzione del sistema si fa risalire al filosofo e matematico tedesco Gottfried W. Leibniz che, nel 1679, pose le basi dell’aritmetica binaria nel suo celebre manoscritto “De Progressione Dyadica” e successivamente Leibniz intuì che il suo sistema potesse essere usato anche a fini logici. Intuizione che si concretizzerà a metà del XIX secolo, quando il matematico inglese George Boole fonderà la logica matematica, ponendo le basi per il futuro linguaggio informatico.


 "Mathesis biceps. Vetus, et noua" (1669) - Juan Caramuel 

Ma fu davvero Leibeniz il primo? 
Al sistema numerico binario sono stati attribuiti molti padri, ma il primo a proporne l'uso fu Juan Caramuel con la pubblicazione del volume "Mathesis biceps. Vetus, et noua" pubblicato a Campagna nel 1669, dieci anni prima della pubblicazione, nel 1679, del “De Progressione Dyadica” di Gottfried Wilhelm von Leibniz, e se ne trova traccia anche nelle opere di Nepero.
Caramuel, chiamato "Magnus" dai contemporanei, fu veramente un uomo straordinario, il cui ingegno portentoso e versatile gli permise di riuscire in tutti i settori dello scibile.
Conoscitore di ben ventiquattro lingue, poliglotta-poligrafo, lasciò una produzione bibliografica talmente copiosa e svariata da sbalordire, ma non è passato alla storia per l'ideazione del sistema binario, bensì è forse più noto come architetto, soprattutto per la Cattedrale con fronte curvilineo che si affaccia sulla splendida piazza Ducale di Vigevano. 
Solo quindi successivamente, il matematico tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz ne studiò l'aritmetica, prendendo spunto dagli esagrammi cinesi, incentrati sull’alternanza binaria delle linee continue e spezzate, dell’I Ching o Libro dei Mutamenti, l’antico testo della cultura tradizionale cinese, attribuito al leggendario imperatore Fu Hsi (Leibniz, il sistema binario e la Cina).


Leibniz accosta gli otto trigrammi fondamentali ai primi otto numeri binari (da 0 a 7), 
sostituendo la linea spezzata Yin con lo 0 e la linea continua Yang con l’1
 e leggendo i trigrammi dal basso verso l’alto. 
Combinando questi 8 trigrammi, si ottengono i 64 esagrammi 
che costituiscono il sistema completo dell’I-Ching

Sarà quindi Leibniz sia ad usare le cifre <0> e <1> per la codifica dei numeri, che a descrivere le principali regole aritmetiche che soggiacciono alla matematica binaria. 
Nel 1703, per sostenere tale sistema di numerazione egli scrisse:

"Invece della progressione di dieci in dieci, impiego da molti anni la progressione più semplice di tutte, che va di due in due, ritenendo che sia perfettamente adeguata alla scienza dei numeri. Utilizzo solo due caratteri, “0” e “1” e poi, quando sono arrivato a due, ricomincio" 
(Leibeniz)

Però, come accennato prima, non ebbe un seguito immediato e l'aritmetica binaria venne ben presto dimenticata e riscoperta solo nel 1847 grazie al matematico inglese George Boole che aprirà l'orizzonte alle grandi scuole di logica matematica del Novecento e soprattutto alla nascita del calcolatore elettronico.

Tornando all'opera dei Redaelli, analizzando e convertendo il testo (usando questo convertitore), si vede come questo codice venga qui utilizzato come codice puramente alfabetico e non numerico.
Ma anche qui salterà agli occhi un'altra curiosità legata al codice e a una importante teoria matematica, la teoria dei codici.

Come anticipato le righe del codice corrispondono alla frase (tradotta da binario ad alfabeto latino ASCII)
L albero è salute. ~ L albero è vita.

0001110001[]01001100L0001100[]01100001a01101100l01100010b01100101e01110010r01101111o00100000spaziovuoto11101000è00100000spaziovuoto01110011s01100001a01101100l01110101u01110100t01100101e00101110.00100000spaziovuoto01111110~00100000spaziovuoto01001100L00011001[]01100001a01101100l01100010b01100101e01110010r01101111o00100000spaziovuoto11101000è00100000spaziovuoto01110110v01101001i01110100t01100001a00101110.00011101

Va qui però notata una stranezza che parrebbe un errore. 
Nel testo, al simbolo []  corrisponde sia 0001110001 iniziale che 00011001 (in seguito con un 1 e uno 0 in meno) perché mai? 

[] = 0001110001 o 00011001

E' un esempio molto banale e semplicistico (solo per rendere l'idea), per spiegare l' importanza della ridondanza nella codifica dell'informazione.
Le informazioni in codice binario devono essere comprensibili ad un operatore umano, e assumono prevalentemente la forma di caratteri alfanumerici (numeri decimali, lettere dell’alfabeto, simboli di punteggiatura, simboli matematici etc..).
Tale apparente incomunicabilità fra i due linguaggi, viene ricomposta mediante l’adozione di opportune codifiche, mediante le quali è possibile rappresentare in modo univoco un certo numero di simboli con configurazioni di bit prestabilite e una stringa o parola in un dato alfabeto è una successione di simboli (anche ripetuti) di quell’alfabeto.
Per rappresentare le 10 cifre distinte dei numeri decimali, occorrono codici binari a 4 bit (m = 4), quando, oltre alle cifre decimali, si vogliono anche codificare caratteri (maiuscoli e minuscoli), punteggiatura, simboli matematici etc... occorre estendere il numero di bit m del codice.
Il codice decimale BCD (Binary Coded Decimal)
Con questa codifica, ogni cifra decimale è rappresentata
dal binario puro corrispondente, secondo la tabella

Il numero decimale (5902) convertito in codice binario BCD

Il codice ASCII (l'acronimo ASCII significa American Standard Code for Information Interchange) è di gran lunga il codice alfanumerico più diffuso per lo scambio di informazioni fra sistemi di elaborazione e costituisce di fatto uno standard per la codifica dell’informazione nei sistemi di elaborazione.
Il codice ASCII standard è codificato su 7 bit, e quindi può rappresentare al massimo 2^7 = 128 simboli diversi.

Lo standard Unicode è stato introdotto per rappresentare caratteri di testo in sistemi informatici, ed è stato assunto come standard internazionale con la sigla ISO/IEC 10646.
Unicode propone uno standard per rappresentare i caratteri e simboli di tutti i linguaggi scritti, simboli matematici etc... e usa un codice a 16 bit, con cui `e possibile codificare 2^16 circa 65. 000 caratteri distinti.

Un codice si dice ridondante, quando codifica i simboli distinti con n = m+r bit, cioè usando r bit aggiuntivi rispetto agli m bit strettamente richiesti dalla codifica binaria.


m bit di parola
r bit di ridondanza
n = m + r bit di parola codice

L’idea è quella di codificare il messaggio in questione, costituito da blocchi di cifre o parole, attraverso una stringa di numeri ridondante, cioè composta da più cifre di quelle strettamente necessarie, in modo tale che il ricevitore possa accorgersi di eventuali cambiamenti del formato iniziale e correggere gli errori presenti.
L’aggiunta di bit di ridondanza permette quindi di costruire codici che consentono di controllare eventuali errori di trasmissione.
Si hanno due tipi di codici ridondanti:
- codici a rivelazione di errore che consentono di individuare la presenza di un errore
- codici a correzione di errore che consentono non solo di individuare la presenza di un errore, ma anche di identifcarne la posizione in modo da poterlo correggere.




In questo articolo non mi dilungherò ulteriormente su questo interessante ma complesso argomento che lascio alla curiosità del lettore, ricordando che fu anche grazie al contributo di una matematica inglese Florence Jessie Collinson MacWilliams e alle sue equazioni "MacWilliams Identities", che è stato possibile raggiungere ottimi livelli nel campo della teoria della codifica e quindi della trasmissione delle informazioni che ormai diamo per semplici e scontate.

Il termine digitale deriva dall’inglese digital, ovvero cifra, derivato dal latino ‘digitus’, ovvero dito. 
Come sappiamo nel cosiddetto segnale digitale, il messaggio è convertito in simboli e attualmente la codifica digitale in uso è quella relativa al sistema binario di <0> e <1> , di conseguenza, convertire un fenomeno naturale o analogico in digitale vuol dire convertirlo in una sequenza di bit (e viceversa). 
Tale tipo di segnale solitamente non subisce molti disturbi e viene ricevuto quasi identico rispetto a quello emesso e l’apparato che riceve il segnale deve quindi decodificare il segnale digitale e trasformarlo in un linguaggio comprensibile. 
E' quindi tutt'ora molto importante trovare soluzioni per correggere eventuali errori che si possono trasmettere in situazioni di disturbo.

Anche la telefonia mobile e la produzione musicale hanno subito dei cambiamenti di qualità e formato, passando dal sistema analogico a quello digitale. 
Per la telefonia si è passati dal Etacs al Gsm per finire con l'attualissimo 5G e, nel campo musicale, dal vecchio vinile (disco a 33 o 45 giri) al cd, per finire agli mp3 e mp4. 
Insomma il digitale ha portato una vera e propria rivoluzione che è entrata a far parte della nostra vita quotidiana, anche se dimentichiamo gli studiosi e i ricercatori che hanno permesso di raggiungere risultati sempre migliori.