lunedì 24 febbraio 2020

Lapalissiano...e la vera storia di Monsieur de Lapalisse

"Benedetti quei fortunati secoli cui mancò la spaventosa furia di questi indemoniati strumenti di artiglieria, al cui inventore io per me son convinto che il premio per la sua diabolica invenzione glielo stanno dando nell’inferno" 
(Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia)


Il 24 febbraio di 495 anni fa, era infatti l'anno 1525, gli eserciti del re di Francia Francesco I e del marchese di Pescara, al servizio dell’imperatore Carlo V, si scontrarono a Pavia, e tra gli illustri personaggi che parteciparono all'epica battaglia c'era Jacques de Lapalisse, ahimè poco conosciuto come condottiero di valore.
Jacques II de Chabannes de La Palice, più noto come Monsieur de Lapalisse, morto a Pavia il 24 febbraio 1525, è stato un militare francese e maresciallo di Francia e non certo una persona che amava dire ovvietà.


Ritratto di Jacques de La Palice 

Perché ricordarlo?

Intanto perché la vicenda, legata al suo nome, avvenne non in Francia bensì appunto a Pavia e perché Alberto Arecchi, architetto e storico pavese, si era fatto promotore, insieme alla sua Associazione Culturale Liutprand, di una petizione che intendeva spingere il Comune di Pavia a realizzare un monumento in onore di La Palice, ingiustamente ricordato soltanto per l'aggettivo "lapalissiano", che appunto deriva dal suo nome ed indica una palese tautologia, qualcosa cioè che è talmente evidente da risultare ovvio e scontato, se non addirittura ridicolo per la sua ovvietà.

Ma cerchiamo di ricostruire la vicenda 

Era un gelido febbraio del 1525, i lanzichenecchi imperiali e gli spagnoli, una guarnigione di 6000 uomini comandata da Antonio de Leyva  (un cognome che i lettori del Manzoni dovrebbe ricordare per una certa Marianna de Leyva, suor Virginia, la sventurata monaca di Monza) erano assediati a Pavia dai francesi, guidati dal re Francesco I, che avevano campo nel parco del Mirabello, alle spalle del castello di Pavia.
Il 24 febbraio 1525 i rinforzi imperiali guidati da Carlo di Lannoy, viceré di Napoli, e dal Connestabile di Borbone, diedero battaglia all'esercito assediante, di cui, oltre ai francesi, facevano parte anche gli alleati svizzeri, i lanzichenecchi di Anne de Montmorency , e le forze del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere.
Il re francese guidò personalmente l'assalto della sua cavalleria, ma questa si trovò circondata dal grosso della fanteria imperiale, comandata dal marchese di Pescara, Fernando Francesco d'Avalos, al quale si era aggiunta l'avanguardia comandata dal marchese del Vasto, Alfonso III d'Avalos, che la massacrò. 
Mentre la celeberrima fanteria svizzera fuggiva, il re stesso veniva fatto prigioniero e questo successo fu conseguito anche grazie alla sortita della guarnigione di Pavia comandata da Antonio de Leyva che prese alle spalle l'esercito francese.
L’armata transalpina veniva così annientata e la maggior parte dei nobili cavalieri francesi (circa l’80% del totale della nazione) moriva in battaglia e, tra di loro, il prode seppur vegliardo La Palice.


Uno dei 7 arazzi¹ sulla battaglia di Pavia (1525), in cui trovò la morte il 
signor de La Palice, conservati al Museo di Capodimonte a Napoli.

Egli fu in servizio per quasi quarant’anni alla corte dei re francesi, Carlo VIII, Luigi XIIFrancesco I, e fu anche insignito del titolo di Maresciallo di Francia.
Condottiero valoroso, tanto da scendere in battaglia con chili e chili di ferraglia in sella al suo destriero alla veneranda età, per l’epoca, di 55 anni, fu un comandante amato e i suoi soldati gli dedicarono questo epitaffio, ignari di consegnare il Maresciallo di Francia alla storia, suo malgrado:

"Ci-git Monsieur de La Palice. Si il n’était pas mort, il ferait encore envie" 
(Qui giace il signore di La Palice. Se non fosse morto, farebbe ancora invidia).


Cattura di Francesco I
Particolare di uno no dei 7 arazzi¹ sulla battaglia di Pavia (1525)
in cui trovò la morte il signor de La Palice, 
conservati al Museo di Capodimonte a Napoli.

Su come siano andate le cose dopo, ci sono due versioni

Versione 1 
Quella, comunemente accettata e che mi raccontava il mio papà², è che, di bocca in bocca, di trascrizione in trascrizione, la "f" di "ferait" sia diventata una "s", e quindi "serait", "farebbe" trasformato quindi in  "sarebbe"
Tesi verosimile in quanto all’epoca si utilizzava la "s lunga" ("ſ"), che in corsivo si può facilmente confondere con una "f", e, in più, che "envie" si sia trasformato in "en vie", con uno spazio, con il risultato di un epitaffio lapalissianamente ridicolo:

"Ci-git Monsieur de La Palice. Si il n'était pas mort, il serait encore en vie" 
(Qui giace il signore di La Palice. Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita)

Ed è con questa dicitura che l'epitaffio del nostro eroe è passato alla storia.

Nel 2013 le Poste francesi dedicano un francobollo a Jacques de La Palice

Versione 2
L'altra versione, che propone Alberto Arecchi, afferma invece che la frase sia stata modificata di proposito.
Nelle scuole primarie che si stavano diffondendo tra il XVII e il XVIII secolo si doveva storicamente parlare di guerra e ricordare purtroppo anche la disfatta del re Francesco I, che per la Francia fu terribile, rimasero sul campo seimila o forse diecimila uomini e cadde quasi tutta la nobiltà di Francia, senza però spaventare i bambini. 
Per questo motivo venne inventata una filastrocca che facesse ridere. 
Anche perché, aggiunge Arecchi, "l’errore sarebbe stato troppo banale. Qualcuno si sarebbe reso conto che la frase non aveva senso"


 "La chanson de la Palisse" di Bernard de la Monnoye 

Versione uno o versione due, sta di fatto che la frase di questo epitaffio risulta di un'ovvietà sconcertante, ma fu ripresa, proprio a cavallo del XVII secolo, dall’accademico, membro dell’Académie française, e poeta Bernard de la Monnoye in "La chanson de La Palisse", una canzone a lui dedicata con ovvio fine parodistico e piena di ovvietà, che non rende certo giustizia alle virtù militari di Jacques de La Palice, il nobile maresciallo di Francia.
Molto in voga all’epoca, la canzone cadde poi nell’oblio fino all’800, quando lo scrittore Edmond de Goncourt la recupera e conia il termine "lapalissade", per indicare una verità scontata.
Il termine in francese è un sostantivo, e si potrebbe da noi usare in luogo di un’ovvietà o un’idiozia, tipo "hai detto una lapalissade". 
Come ricorda il Dizionario De Mauro, il termine compare invece in italiano nel 1914, ma nella forma di aggettivo derivato, "lapalissiano".  

"La Chanson de La Palisse", Bernard de la Monnoye


(FR)
«Messieurs, vous plaît-il d'ouïr
l'air du fameux La Palisse,
Il pourra vous réjouir
pourvu qu'il vous divertisse.
La Palisse eut peu de biens
pour soutenir sa naissance,
Mais il ne manqua de rien
tant qu'il fut dans l'abondance.
Il voyageait volontiers,
courant par tout le royaume,
Quand il était à Poitiers,
il n'était pas à Vendôme!
Il se plaisait en bateau
et, soit en paix soit en guerre,
Il allait toujours par eau
quand il n'allait pas par terre.
Il buvait tous les matins
du vin tiré de la tonne,
Pour manger chez les voisins
il s'y rendait en personne.
Il voulait aux bons repas
des mets exquis et forts tendres
Et faisait son mardi gras
toujours la veille des cendres.
Il brillait comme un soleil,
sa chevelure était blonde,
Il n'eût pas eu son pareil,
s'il eût été seul au monde.
Il eut des talents divers,
même on assure une chose:
Quand il écrivait en vers,
il n'écrivait pas en prose.
Il fut, à la vérité,
un danseur assez vulgaire,
Mais il n'eût pas mal chanté
s'il avait voulu se taire.
On raconte que jamais
il ne pouvait se résoudre
À charger ses pistolets
quand il n'avait pas de poudre.
Monsieur d'la Palisse est mort,
il est mort devant Pavie,
Un quart d'heure avant sa mort,
il était encore en vie.
Il fut par un triste sort
blessé d'une main cruelle,
On croit, puisqu'il en est mort,
que la plaie était mortelle.
Regretté de ses soldats,
il mourut digne d'envie,
Et le jour de son trépas
fut le dernier de sa vie.
Il mourut le vendredi,
le dernier jour de son âge,
S'il fut mort le samedi,
il eût vécu davantage."
(IT)
«Signori, vi piaccia udire
l'aria del famoso La Palisse,
Potrebbe rallegrarvi
a patto che vi diverta.
La Palisse ebbe pochi beni
per mantenere il proprio rango,
Ma non gli mancò nulla
quando fu nell'abbondanza.
Viaggiava volentieri,
scorrazzava per tutto il reame
e quando era a Poitiers,
non era certo a Vendôme!
Si divertiva in battello
e, sia in pace sia in guerra,
andava sempre per acqua
se non viaggiava via terra.
Beveva ogni mattina
vino spillato dalla botte
E quando pranzava dai vicini
ci andava di persona.
Voleva per mangiar bene
vivande squisite e tenere
E celebrava sempre il Martedì Grasso
la vigilia delle Ceneri.
Brillava come un sole,
coi suoi capelli biondi.
Non avrebbe avuto pari
se fosse stato solo al mondo.
Ebbe molti talenti,
ma si è certi di una cosa:
quando scriveva in versi,
non scriveva mai in prosa.
Fu, per la verità,
un ballerino scadente,
ma non avrebbe cantato male,
se fosse stato silente.
Si racconta che mai
sia riuscito a risolversi
a caricar le pistole
se non aveva le polveri.
Morto è il signor de la Palisse,
morto davanti a Pavia,
Un quarto d'ora prima di morire,
era in vita tuttavia.
Fu per una triste sorte
ferito da mano crudele,
Si crede, poiché ne è morto,
che la ferita fosse mortale.
Rimpianto dai suoi soldati,
morì degno d'invidia,
e il giorno del suo trapasso
fu l'ultimo della sua vita.
Morì di venerdì,
l'ultimo giorno della sua età,
Se fosse morto il sabato,
sarebbe vissuto di più.»

Un monumento per Jacques de La Palice 

Si va beh ma perché dedicare un monumento commemorativo al nobile condottiero? 
Perché, come sottolinea Alberto Arecchi, Pavia è conosciuta, all’estero e sopratutto in Francia, grazie all’associazione con La Palice e al termine "lapalissiano", mentre dovrebbe ricordare la storica battaglia che esplose a nord della città, nella frazione di Mirabello, in cui morì il maresciallo di Francia La Palice. 
Ed è proprio lì, al Mirabello, che dovrebbe trovare posto il monumento al condottiero Jacques II de Chabannes de La Palice, sul suo destriero.


Jacques II de Chabannes de La Palice sul suo destriero

Filastrocca lapalissiana

Anche il grande poeta italiano Gianni Rodari, compositore di simpatiche filastrocche e poesie per bambini (ma non solo), prese ispirazione dalla Canzone di La Palisse per comporre una filastrocca. 
Il protagonista della storia, nella sua versione, è nientepopodimenoché³ Napoleone Bonaparte, e il suo testo fu poi musicato da un altro grande uomo della cultura musicale italiana, Sergio Endrigo.  
La filastrocca di Rodari, "Napoleone" risalente al 1974, è stracolma di frasi lapalissiane tipo: 

"Napoleone era fatto così
se diceva di no, non diceva di si
quando andava di là, non veniva di qua
se saliva lassù, non scendeva quaggiù
se correva in landò, non faceva il caffè
se mangiava un bigné, non contava per tre
se diceva di no, non diceva di si"... 

e Sergio Endrigo la cantava così:

Video della canzone "Napoleone" 
cantata da Sergio Endrigo



Note

¹ Nei sette arazzi sono raccontati gli episodi salienti della battaglia di Pavia, del 24 febbraio 1525, combattuta per il dominio in Italia tra le truppe del re di Francia Francesco I di Valois e quelle imperiali di Carlo V d’Asburgo.
Come in una sequenza cinematografica i sette arazzi vedono in scena i protagonisti della storica battaglia, spesso identificati proprio come in un fumetto grazie alle scritte intessute con fili d’oro e di argento su cavalli e armature.
Cavalieri, fanti, picchieri, mercenari svizzeri e lanzichenecchi, si scontrano in una battaglia che ha segnato il corso della storia: la cavalleria francese è massacrata da soldati semplici muniti di armi da fuoco, considerate vili e insidiose perché colpendo da lontano permettevano anche al meno prode di prevalere.
Alcuni personaggi guardando fuori campo ci invitano con il loro sguardo a partecipare agli eventi. Probabilmente è proprio a noi che è rivolto lo sguardo del re Francesco I nel momento in cui è catturato, perché il suo cavallo è stato ferito da un colpo di archibugio.

² Il mio papà (classe 1899) mi raccontava che tra gli allievi dell'Accademia Navale di Livorno, da lui frequentata, era diventato di moda prendersi in giro e raccontare ovvietà, usando un sostantivo, un francesismo molto chic "lapalissade" o un aggettivo da poco coniato "lapalissiano". 
Raccontandomi anche che derivava da un detto, che così lui mi riferì "Monsieur de Lapalisse qui avant de mourir etait encore en vie".

³ Nientepopodimenoché è una parola inventata da Mario Riva, star della televisione italiana fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del Novecento e conduttore della popolarissima trasmissione "Il Musichiere" (1957-1960).
Il significato è circa quello di "addirittura!" o "niente di meno!".
In realtà si tratta proprio della forma "niente di meno" rafforzata da un "po’" ripetuto due volte, e questo "po’ po’" si usa in italiano parlato per indicare una quantità notevole (in pratica: un po' = un poco - un po'po' = due volte poco, quindi tanto!) e ha un forte valore enfatico.



lunedì 3 febbraio 2020

Tavola pitagorica, un falso storico!

Per vedere ogni ben dentro vi gode 
l’anima santa che ‘l mondo fallace 
fa manifesto a chi di lei ben ode.                                  
Lo corpo ond’ella fu cacciata giace 
giuso in Cieldauro; ed essa da martiro 
e da essilio venne a questa pace.
(Dante Alighieri - Divina Commedia - Paradiso (Canto X 124-129)     

Pietra miliare della filosofia medioevale può essere considerato il "De consolatione philosophiae" di Severino Boezio e molti pensatori, letterati e scienziati dell'epoca si formarono filosoficamente alla sua scuola, tra cui due grandi nomi Dante Alighieri considerato il padre della lingua italiana e William Shakespeare della lingua inglese.


Boezio e l'Aritmetica in un manoscritto tedesco del XV secolo © Wikipedia

Nel Paradiso di Dante, Boezio è uno degli spiriti sapienti del IV Cielo del Sole che formano la prima corona di dodici spiriti e ricorda le sue opere con i versi del X Canto del Paradiso (vedi versi 124-129 nell'introduzione), che così si possono tradurre:

Dentro vi gode l'anima santa che dimostra la fallacia del mondo a chi legge bene le sue opere (riferendosi a quelle di Severino Boezio), giacché ora vede il sommo bene.
Lo corpo da cui essa fu strappata giace sulla Terra nella basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro; e la sua anima giunse a questa pace dal martirio e dall'esilio terreno. 

Il periodo di composizione del "De consolatione philosophiae", che risale al 523 circa, vede infatti Anicio Manlio Torquato Severino Boezio rinchiuso in un carcere nei pressi di Pavia, dove attende l'esecuzione capitale che subirà nel 525.
Pur essendo stato il principale collaboratore di Teodorico, ricoprendo la carica di Magister Officiorum, nei suoi ultimi anni il re ostrogoto, divenne sospettoso di tradimenti e congiure, e Severino cadde in disgrazia, fu imprigionato con l'accusa di praticare arti magiche e quindi giustiziato a Pavia, città che ne custodisce appunto i resti nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, dopo che Papa Leone XIII ne approvasse il culto per la Chiesa.


Boezio in prigione, miniatura, 1385 © Wikipedia

Boezio, nel clima di rilancio della cultura che la pace rese possibile durante il regno di Teodorico, concepì anche l'ambizioso progetto di tradurre in latino le opere di Platone e di Aristotele.
Non si occupò solo di filosofia ma tradusse Euclide, nel "De geometria", nel quale vi sono anche la descrizione dell'abaco e l'esposizione dei calcoli aritmetici con esso eseguibili, e scrisse "De Istitutione Artmetica" (nel 500 circa), un adattamento delle Introductionis Arithmeticae di Nicomaco di Gerasa (c. 60 - c. 120) e il "De Institutione musica" (del 510), che si basa su un'opera perduta di Nicomaco di Gerasa e sulla Harmonica di Tolomeo.
Secondo le moderne indagini filologiche sembra invece che l’"Ars Geometrica" non sia di Boezio, bensì un’opera medievale risalente al secolo XI, e che raccolga contributi di vari autori.


Boezio insegna agli studenti, miniatura, 1385 © Wikipedia

Proprio da un'errata interpretazione dell'"Ars geometrica" deriverebbe l'errata dicitura della famosissima cosìddetta "tavola pitagorica".

Abaco e algoritmo

Ma andiamo per ordine e cerchiamo di capire l'aria "aritmetica" che si respirava in quel periodo, facendo prima un passo indietro.  
Molti sono i documenti storici che attestano che le cifre, compreso lo zero , e la notazione decimale posizionale furono inventate dagli indiani nel V secolo d.C., che diffusero l’invenzione presso i "greci di Alessandria nell’epoca classica del Sincretismo. Da essi sarebbe passata ai Neo-Pitagorici (di cui è nota la propensione ad accogliere le idee braminiche), l’ultimo dei quali fu appunto Manlio Severino Boezio. Da Boezio l’avrebbe appresa Gerberto, il quale, a sua volta, l’avrebbe diffusa in tutta l’Europa, non esclusa la Spagna; quivi gli arabi l’avrebbero trovata e se ne sarebbero impadroniti.” 
(Gino Loria, Le scienze esatte nell’antica Grecia, Hoepli, Milano, 1914, pp. 800-807)
Loria si riferisce a Gerbert d’Aurillac (938-1003), filosofo e matematico francese che venne eletto papa con il nome di Silvestro II.
Siamo intorno all’anno 1000 e ci troviamo così di fronte ad un passaggio epocale nella storia, quando Gerbert d’Aurillac introduce le cifre indo-arabiche nell’occidente cristiano.


Esempio di abaco a bottoni di epoca romana
 Nell'esempio in figura si vede come rappresentare 
il numero 120512

Fino ad allora per i calcoli ci si era sempre affidati all'uso dell'abaco ¹ (prima abaco romano poi abaco medioevale), anzi a dir il vero l'abaco fu usato in Europa a partire dai periodi degli antichi greci e babilonesi, come riferisce Erodoto (lo stesso storico greco afferma come già gli egizi lo conoscessero) e anche nella Roma antica si impiegavano tali strumenti, usando tavolette di metallo con scanalature parallele su cui scorrevano palline mobili oppure tavolette di legno coperte di sabbia. 
Anche presso i popoli orientali erano in uso attrezzi simili: in Cina sono stati ritrovati abachi risalenti al VI secolo a.C., che utilizzavano come calcoli bastoncini di bambù.
Nel tardo medioevo comparve un abaco a colonne e a linee orizzontali rappresentanti successive potenze di 10 che deve la sua introduzione agli 'apici' di Boezio.


 Gli 'apici' di Boezio in un manoscritto latino dell’ XI secolo
Cifre ‘indo-arabe’ dette ghobār

Il significato del nuovo abaco medioevale detto anche "mensa pythagorea" ("tavola pitagorica" o "arco pitagorico") era mutato profondamente rispetto all’antico abaco romano, in quanto esso, oltre a fornire uno strumento di computazione, consentiva ormai di rappresentare un numero per mezzo di 'apici' (numerali), a meno dello zero, realizzando un notevole passo verso il trasferimento del principio di posizione dall’abaco alla rappresentazione scritta dei numeri.


La Scacchiera di Gerberto con i gettoni che hanno inciso un valore numerico 
che va moltiplicato per l’indice della posizione (unità, decine, centinaia) 
espressa in alto in cifre romane. 
Si può notare però che le cifre sui gettoni non sono espresse in caratteri romani, 
ma nel nuovo sistema posizionale di origine indiana. © Archeo CPU

Fu un vera rivoluzione e l’aritmetica prenderà il largo grazie all’eredità indiana della numerazione posizionale ed alla nuova notazione numerica dovuta all'uomo, Gilberto, di grande talento, matematico e di profonda cultura, al punto che la sua sapienza gli portò, inevitabilmente per quei tempi di oscurantismo, accuse di stregoneria.
Questo passaggio epocale porterà a un lento ma inevitabile declino dell'abaco e delle tavole a lui collegate per un uso sempre più consolidato dell'"algoritmo", termine con cui inizialmente era chiamato il sistema di numerazione scritta posizionale nei paesi latini, e dei nuovi metodi di calcolo basati appunto sul nuovo sistema posizionale.
Quest’ultimo rese obsoleto l'uso dell'abaco principalmente per le difficoltà di eseguire i calcoli con il vecchio sistema di numerazione additivo.


"Carmen de Algoritm" 
Alexander de Villa Dei nel 1240 circa (o 1225) scrive la Canzone dell’Algoritmo 
letta e riletta nei conventi e nelle università da chiunque si occupasse di aritmetrica
Prima significat unum; duo vero secunda;
Tertia significat tria; sic procede sinistre
Donec ad extremam venias, quae cifra vocatur.² 

Infatti, il nuovo sistema di numerazione posizionale permetteva sia di rappresentare i numeri con maggior economia di simboli, sia proprio di semplificare i procedimenti del calcolo scritto, e pertanto vanificò il vantaggio dell'abaco, decretandone, in Europa, la definitiva scomparsa. 
Definitiva scomparsa che, come detto, fu comunque lenta, come lenta fu la definitiva introduzione del nuovo sistema numerico 'indiano' e le "tavole per contare" (vale a dire gli abachi a gettone dette anche "mense pythagoree") continuarono a sopravvivere in Europa fino al XVIII secolo soprattutto tra i commercianti, i finanzieri, i banchieri e i funzionari statali, o per verificare che i calcoli scritti fossero esatti, fin quando la Rivoluzione francese ne proibì l’uso.
Nacquero, come sempre due scuole contrapposte: gli algoritmisti che si contrapponevano agli abachisti, l’immortale scontro tra innovatori e conservatori.


Immagine contenuta nell’opera Margarita Philosophica 
di Gregor Teisch (1503)  © Wikipedia

Nella illustrazione qui sopra, tratta dall’opera enciclopedica "Margarita philosophica" realizzata da Gregor Reisch nel 1503 è rappresentata questa competizione.
Illustra in forma allegorica la diatriba fra abachisti (rappresentati da Pitagora) e algoritmisti (rappresentati da Boezio). Una figura femminile personifica l’Aritmetica e, dallo sguardo rivolto verso Boezio alla sua destra, si arguisce la preferenza data al calcolo tramite le nuove cifre indiane.
Comunque con la distinzione fra abaco e algoritmo si concluse la disputa fra abachisti e algoritmisti, vale a dire fra coloro che sostenevano i vantaggi del calcolare per mezzo dell’abaco oppure con il sistema di numerazione scritta.
Anche se non va dimenticato che l’abaco è il progenitore di tutte le macchine calcolatrici meccaniche ed elettromeccaniche, fino al primo colosso elettronico uscito nel 1946, l’ENIAC


Errore di trascrizione

L'abaco nell’Ars Geometrica, denominato "mensa pythagorea", è quindi da attribuire ai neo-pitagorici della scuola alessandrina, cui apparteneva appunto Boezio.  
Nel riprodurre successivamente il manoscritto dell’Ars Geometrica, un copista, per errore, sostituì all’abaco neo-pitagorico la comune tavola di moltiplicazione, di aspetto molto simile, conservando però per quest’ultima il nome di "tavola pitagorica", che invece designava l’abaco neopitagorico. 
Questo perché gli amanuensi non erano studiosi delle diverse discipline, copiando e basta, non per forza dovevano conoscere quello che c'era scritto. Copiare è facile e non serve quasi mai ragionare.
Fu proprio quello che capitò per colpa di uno di questi trascrittori, piuttosto sbadato e sicuramente non avvezzo alla matematica, che scambiò per errore un abaco pitagorico (sconosciuto ai più) per una tabella della moltiplicazione, che invece probabilmente conosceva, in quanto già diffusa al tempo. 
In Europa, infatti, la prima tavola moltiplicativa di cui si abbia notizia certa fu opera di Vittorio d'Aquitania, il quale la realizzò intorno al 450, ma con cifre romane. 
Fatto sta che i libri successivi a quello sono stati copiati con questo grossolano errore e a noi è arrivata la tavola della moltiplicazione con il nome di "tavola pitagorica". 


Quaderno Scolastico Liberty Anni '20 con tavola pitagorica e tabella lezioni

Quindi, la tavola di moltiplicazione che tutti noi conosciamo, fin dalle prime classi elementari (le famose esecrate tabelline), come "tavola pitagorica" non deve il suo nome né a Pitagora né ad alcuno dei suoi seguaci, bensì soltanto a un errore di trascrizione. 
Un bello sbaglio che ha in qualche modo condizionato tutti gli studenti  per secoli!
Così, come molto spesso le fake news riscontrino più attendibilità delle verità storiche, ancor oggi si perpetua questo falso storico e si continua ad attribuire a Pitagora la paternità della tavola di moltiplicazione che mai si sognò di ideare.
Potremmo anche considerarlo un insegnamento per capire quanto si debba essere attenti a non sbagliare, senza copiare e basta, e quanto il cercare sempre di ragionare sia un ottimo vantaggio!

Le tabelline

Cerchiamo di definire cos'è questa tabella moltiplicativa.


Matrice simmetrica moltiplicativa con aggiunta dello zero

E' una matrice simmetrica di numeri naturali caratterizzata dal fatto che il valore presente nella posizione individuata dalla riga i e dalla colonna j è il prodotto di ixj.
Perché simmetrica?
Essendo utilizzata per eseguire moltiplicazioni con il sistema numerico decimale e godendo il prodotto di due numeri naturali della proprietà commutativa (ixj = jxi), è immediato notare che è una matrice quadrata che ha la proprietà di essere la trasposta di se stessa, come viene definita appunto una matrice simmetrica nell'Algebra lineare.
Vale a dire che le cifre che la compongono sono simmetriche rispetto alla diagonale principale (nord/est - sud/ovest), che va dall'angolo in alto a sinistra a quello in basso a destra. 
In questa diagonale (evidenziata in azzurro nella figura) si trovano i quadrati dei numeri corrispondenti, quei numeri che, come si vede, si ottengono moltiplicando un numero per se stesso. 
In ambito scolastico essa ha solitamente 10 righe e 10 colonne (11 se contiene anche la cifra zero) e ogni riga e/o colonna di tale matrice è chiamata "tabellina". 
Per esempio, la riga (o colonna) corrispondente al quattro è detta "tabellina del 4",  corrispondente al sette "tabellina del 7" e così via.

Volendo usare un linguaggio prettamente matematico, questa tabella potremmo definirla una "tabella di Cayley", detta anche tavola di composizione, che è una tabella a doppia entrata che descrive la struttura di un gruppo finito. 
La tabella, che deve il nome al matematico britannico Arthur Cayley , è così definita:
Dato un gruppo (per noi le cifre da 0 a 10, definite ì e j in riga e colonna) e un'operazione binaria (la moltiplicazione nel nostro caso), per ogni coppia di elementi del gruppo, l'intersezione della riga i e della colonna j (in cui sono riportati gli elementi del gruppo) contiene il risultato del prodotto ixj.


In definitiva possiamo chiamarla "tabella moltiplicativa", "tavola di moltiplicazione", "tavola delle tabelline" o più pomposamente "tabella di Cayley" ma non chiamiamola "tavola pitagorica" per evitare di perpetrare questo falso storico che vorrebbe attribuirne a Pitagora la paternità.




Note

¹ Il termine "abaco" deriva dal latino abacus, tramite la forma genitiva ἄβακας del greco ἄβαξ, che proviene a sua volta dall'ebraico חשבונייה, "polvere". Infatti il termine originario si riferiva ai primi abachi costituiti da una tavoletta su cui spargere polvere di sabbia.
Va anche ricordato che nel Medioevo in Europa alla parola abaco si attribuiva solitamente il significato di aritmetica in senso generale, e a riprova di questo vi è il titolo di un importantissimo libro di Leonardo Fibonacci, "Liber abbaci", pubblicato nel 1202. 
² Il che significa che zero non è considerato al primo posto nella successione dei numeri naturali, ma è la decima cifra, quella che viene per ultima, dopo il 9.

Fonti
Articolo di Luca Nicotra 

Immagini 
© Wikipedia
© Archeo CPU
http://matematica.unibocconi.it/articoli/la-tavola-pitagorica#11UP



lunedì 18 novembre 2019

Chika's Test, un criterio per dividere per 7

Qualcosa di molto eccitante è successo venerdì 13 settembre 2019 quando Chika Ofili, un ragazzo nigeriano allievo di Miss Mary Ellis, che insegna matematica alla Westminster Under School di Londra, è entrato in classe e ha chiesto se poteva dirle qualcosa a cui aveva pensato durante le vacanze estive. 
L'insegnante si è incuriosita.


Chika Ofili, il ragazzo nigeriano di 12 anni residente nel Regno Unito, 
ha ricevuto i "TruLittle Hero Awards" per aver scoperto il nuovo
 criterio di divisibilità per 7 

Gli aveva dato un libro chiamato First Steps for Problem Solvers (pubblicato da UKMT) da consultare durante le vacanze e all'interno del libro c'era un elenco dei criteri di divisibilità, che vengono utilizzati per capire rapidamente se un numero è esattamente divisibile per 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 o 9 prima di iniziare effettivamente la divisione. 
Solo che non era stato elencato alcun criterio per verificare la divisibilità per 7, forse perché non facilmente memorizzabile.
Chika però si era reso conto che se si prende l' ultima cifra di un numero intero, la si moltiplica per 5 e poi la si aggiunge alla parte rimanente del numero, si ottiene un nuovo numero, scoprendo così che se questo nuovo numero è divisibile per 7, allora il numero originale è divisibile per 7.
Dopo che Chika l'ebbe spiegato alla maestra, lei, sabato mattina si svegliò pensando ancora al criterio di Chika e telefonò al fratello minore, Simon Ellis, che insegna anche lui matematica, per  chiedergli se avesse mai incontrato un tale criterio. 
Simon le confermò di non aver mai incontrato simile criterio e di aver verificato che il criterio funziona anche se si inizia moltiplicando l'ultima cifra per 12, 19, 26, 33 ... (appartegono alla stessa classe resto di 5 modulo 7), e quindi aggiungendola alla parte rimanente del numero.
Il tutto, come vedremo, è facilmente dimostrabile attraverso l'aritmetica modulare, vale a dire quella parte dell'aritmetica che si basa sul concetto di congruenza modulo n. 

"Dati tre numeri interi a, b, n, con n ≠ 0, diciamo che a e b sono congruenti modulo n, oppure che a è congruo a b modulo n, se la differenza (a − b) è un multiplo di n." 

In questo caso scriviamo
a ≡ b (mod n)
Per esempio, possiamo scrivere
38 ≡ 14 (mod 12)
poiché 38 − 14 = 24, che è un multiplo di 12

L'aritmetica modulare insieme alla notazione usuale della congruenza (tre trattini) vennero formalmente introdotte da Carl Friedrich Gauss nel suo trattato Disquisitiones Arithmeticae, pubblicato nel 1801.

Ma andiamo a spiegare e dimostrare questo criterio di divisibilità per 7. 


Immagine di Chika Ofili da Westminster Under School

Criterio di Chika Ofili di divisibilità per 7

Si basa sulla separazione dell'ultima cifra, quella delle unità e dice:

"Un numero è divisibile per 7 se la somma tra il numero ottenuto escludendo la cifra delle unità (prenumero) e il quintuplo della cifra delle unità (coda numerica) è 7 o un multiplo di 7."

Esempio: 68089 
eliminiamo l'ultima cifra 9 -> otteniamo 6808
calcoliamo 6808 + 5x9 = 6853 
non sapendo se 6853 sia divisibile per 7 basta ripetere la procedura 
quindi eliminando il 3 si ripete 
685 + 3×5 = 700
che è evidentemente un multiplo di sette. 
Pertanto 68089 è multiplo di 7.

Dimostrazione

Considerato un numero N, le sue cifre decimali sono i coefficienti a(i) che compaiono nella somma
N = a₀ + a₁10 + a₂10² + a₃10³ .... + a(n)10ⁿ
che possiamo scrivere più sintenticamente
N = a₀ + 10b
nel linguaggio dell'aritmetica modulare sappiamo che N è divisibile per 7 se e solo se:
N  ≡ 0 (modulo 7)
ovvero
a₀ + 10b ≡ 0 (modulo 7)
e se moltiplichiamo tutto per 5 (che è l'inverso aritmetico di 10 modulo 7) abbiamo
5a₀ + 50b = 0 (modulo 7)
ovvero
5a₀ + b + 49b ≡ 0 (modulo 7)
(49b si può elidere essendo multiplo di 7)
da cui
b + 5a₀ ≡ 0 (modulo 7)

Criterio di divisibilità per 7

Da questa dimostrazione può essere dedotto anche il criterio più noto che dice:

"Un numero è divisibile per 7 se la differenza tra il numero ottenuto escludendo la cifra delle unità (prenumero) e il doppio della cifra delle unità (coda numerica) è 0, 7 o un multiplo di 7."

Usando lo stesso numero del primo esempio: 68089 
eliminiamo l'ultima cifra 9 -> otteniamo 6808
calcoliamo 6808 - 2x9 = 6790 
non sapendo se 6790 sia divisibile per 7 basta ripetere la procedura 
quindi eliminando prima lo 0 e quindi il 9 si ripete 
67 - 18 = 49
che è evidentemente un multiplo di sette. 
Pertanto 68089 è multiplo di 7.

Dimostrazione

Dato che -2 appartiene alla stessa classe resto di 5 modulo 7, il criterio sopra definito può essere modificato come segue:
a₀ + 10b ≡ 0 (modulo 7)
se si moltiplica per -2 si ottiene
-2a₀ - 20b ≡ 0 (modulo 7)
ovvero
-2a₀ + b - 21b ≡ 0 (modulo 7)
(21b si può elidere essendo multiplo di 7)
da cui
b - 2a₀ ≡ 0 (modulo 7)



lunedì 11 novembre 2019

Matematica, dall'astratto all'applicato il passo è breve?

Il tema del prossimo Carnevale della Matematica di novembre, che MaddMaths ospita, è "Comunicare o non comunicare, questo è il problema", ovvero credo si ponga il problema di capire se davvero sia possibile comunicare e divulgare la matematica con linguaggio comprensibile o in tempi che davvero coincidano con la sua applicazione.
Proprio in questo mese cadono anche i 150 anni dall'uscita del primo numero del Magazine Nature, che sicuramente ha molto contribuito a comunicare e divulgare tutta la Scienza e anche molti studi e curiosità matematiche.


Video 150 Years of Nature

Tra queste curiosità mi piace qui ricordare un tema apparso su Nature nel lontano luglio 2011 sull'impatto non pianificato della matematica, "The unplanned impact of mathematics".
In questo intrigante articolo Peter Rowlett introduceva sette racconti, poco conosciuti, che illustravano come il lavoro teorico del matematico, con le sue scoperte, possa poi portare ad applicazioni pratiche, ma anche come non possa essere forzato e, a volte, richiedere secoli.
Introduce l'articolo un divertente aneddoto:
"Da bambino, ho letto una barzelletta su qualcuno che ha inventato la spina elettrica e ha dovuto aspettare l'invenzione di una presa per metterla dentro.



Ma chi inventerebbe qualcosa di così utile senza sapere a quale scopo avrebbe potuto servire? 
Nessuno tranne i matematici, perché la matematica mostra spesso questa sorprendente qualità. Cercando di risolvere i problemi del mondo reale, i ricercatori spesso scoprono che gli strumenti di cui hanno bisogno sono stati sviluppati anni, decenni o persino secoli prima da matematici senza alcuna prospettiva o senza curarsi dell'applicabilità. 
E la cassetta degli attrezzi è vasta, perché, una volta che un risultato matematico è dimostrato con soddisfazione della disciplina, non ha bisogno di essere rivalutato alla luce di nuove prove o confutato, a meno che non contenga un errore...se era vero per Archimede, allora è vero oggi!
Il matematico sviluppa argomenti che nessun altro può vedere e spinge le idee lontano nell'astratto, ben oltre dove gli altri si fermerebbero.
Questa estensione e astrazione, senza una direzione o uno scopo apparente, è fondamentale per la disciplina, né l'applicabilità è la ragione per cui lavorano i matematici.
Quindi spesso la comunicazione e la divulgazione di queste idee e scoperte appare anni o addirittura secoli dopo.
Non c'è modo di garantire in anticipo quale matematica pura troverà l'applicazione in seguito. Possiamo solo lasciare che il processo di curiosità e astrazione abbia luogo, lasciare che i matematici prendano in considerazione i risultati solo dal punto di vista logico, lasciando da parte la pertinenza applicativa e aspettando di vedere quali argomenti risulteranno in futuro estremamente utili. 
Si potrebbe dire che, così procedendo, quando arriveranno le sfide del futuro, avremo a portata di mano il pezzo giusto di matematica apparentemente inutile.

Per illustrare questa partiolarità della scoperta e della conseguente applicazione e comunicazione matematica a posteriori, Peter Rowlett chiese ai membri della British Society for the History of Mathematics alcune storie, non raccontate, dell'impatto non pianificato della matematica, tralasciando ovvietà come l'uso della teoria dei numeri nella crittografia moderna, o che la matematica esistesse già prima del computer o che i numeri immaginari sono diventati essenziali, per esempio, per i calcoli complessi che pilotano gli aeroplani... 
Peter Rowlett, nell'articolo, ne riportava sette:

- Dai quaternioni a Lara Croft di Mark McCartney e Tony Mann (Università di Ulster, Newtownabbey, Regno Unito; Università di Greenwich, Londra)
- Dalla geometria al Big Bang di Graham Hoare (Redattore di Mathematics Today)
- Dalle arance ai modem di Edmund Harriss (Università dell'Arkansas, Fayetteville)
- Dal paradosso alle pandemie di Juan Parrondo e Noel-Ann Bradshaw (Università di Madrid; Università di Greenwich, Londra)
- Dai giocatori d'azzardo agli studi attuariali di Peter Rowlett (Università di Birmingham, Regno Unito)
- Dai ponti al DNA di Julia Collins (Università di Edimburgo, Regno Unito)
- Dalle corde al nucleare di Chris Linton (Università di Loughborough, Regno Unito)

Io mi soffermerò solo su due, da me rielaborate con dati più recenti, legate ai grandi Keplero ed Eulero, che ho trovato interessanti e intriganti, per gli altri lascio alla curiosità del lettore l'articolo originale.


Dalle arance ai modem 

Nel 1998 la matematica salì alla ribalta con la notizie che Thomas Hales dell'Università di Pittsburgh, in Pennsylvania, aveva dimostrato che la congettura di Keplero era "molto probabilmente vera", dimostrando che il modo in cui i fruttivendoli impilano le arance è il modo più efficiente per imballare le sfere. 
Un problema che era stato aperto dal 1611 era finalmente risolto! 
Il problema è molto semplice da formulare: se si hanno un numero di sfere uguali, come si devono posizionare per occupare il minor spazio possibile? Ad esempio, se devo imballare le arance, come le organizzo in modo da ottenerne il massimo in una cassetta?
La sua dimostrazione comportò un gigantesco calcolo computazionale e alcuni anni dopo, Hales stesso avviò un programma per completare una vera prova formale della congettura, finché il 10 agosto 2014 il progetto, chiamato Project FlysPecK (dove le lettere F, P e K sono le iniziali delle parole che compongono la frase Formal Proof of Kepler), ha annunciato il completamento con successo del programma con un calcolo al computer che richiese 6 giorni e mezzo. 
Anche se al tempo in televisione un fruttivendolo dichiarò "Penso che sia una perdita di tempo e denaro dei contribuenti", da allora, continuando metaforicamente e mentalmente a discutere con quel fruttivendolo, oggi la matematica del confezionamento delle sfere consente la comunicazione moderna, essendo al centro dello studio di codifica di canali e codici di correzione degli errori.
Nel 1611, Johannes Kepler suggerì che l'accatastamento del fruttivendolo fosse il più efficiente, ma non fu in grado di fornire una prova. 
Si è rivelato essere un problema molto difficile e anche la più semplice domanda del modo migliore per accostare i cerchi è stata dimostrata solo nel 1940 da László Fejes Tóth. 
Già nel diciassettesimo secolo, Isaac Newton e David Gregory discutevano del "kissing problem" "quante sfere possono 'baciare' una determinata sfera senza sovrapposizioni?"
In due dimensioni è facile dimostrare che la risposta è 6 e Newton pensava che 12 fosse il massimo in 3 dimensioni. 
Lo è, ma solo nel 1953 Kurt Schütte e Bartel van der Waerden ne hanno dato una dimostrazione.
Il numero di accostamenti in 4 dimensioni è stato dimostrato essere 24 da Oleg Musin nel 2003. 
In 5 dimensioni possiamo solo dire che si trova tra 40 e 44 e tuttavia sappiamo che la risposta in 8 dimensioni è 240, dimostrata nel 1979 da Andrew Odlyzko dell'Università del Minnesota, Minneapolis e Neil Sloane. 
Lo stesso problema ha avuto un risultato ancora più strano e la risposta in 24 dimensioni è stata 196.560. 
Queste dimostrazioni, sorprendentemente, sono più semplici del risultato per tre dimensioni e si riferiscono a due accostamenti di sfere incredibilmente densi, chiamati reticolo E8 in 8 dimensioni e reticolo Leech in 24 dimensioni.

Il tutto sembrerebbe abbastanza magico, ma è utile? 
Negli anni '60 un ingegnere di nome Gordon Lang lo credeva. 
Lang stava progettando i sistemi per modem ed era impegnato a raccogliere tutta la matematica che riusciva a trovare perché aveva bisogno di inviare un segnale su un canale rumoroso, come una linea telefonica. 
Il modo naturale è scegliere una raccolta di toni per i segnali, ma il suono ricevuto potrebbe non essere lo stesso di quello inviato. 
Per risolvere questo, ha ricavato i suoni da un elenco di numeri ed è stato quindi semplice scoprire quale dei segnali che avrebbero potuto essere inviati fosse il più vicino al segnale ricevuto. 
I segnali possono quindi essere considerati come sfere, con spazio di manovra per il rumore,  e, per massimizzare le informazioni che possono essere inviate, queste "sfere" devono essere accostate il più strettamente possibile.
Negli anni '70, Lang sviluppò un modem con segnali a 8 dimensioni, usando l'imballaggio E8. 
Ciò ha contribuito ad aprire Internet, poiché i dati potevano essere inviati al telefono, invece di affidarsi a cavi appositamente progettati.
Tutto questo senza dimenticare i contributi dati in precedenza dal Secret Communication System (brevettato l'11 agosto 1942), il sistema ideato da Hedy Kiesler (Hedy Lamarr) e George Antheil per il quale ottennero il Pioneer Award dalla EFF, premio atteso da tempo per gli sforzi scientifici che arrivò a Hedy solo tre anni prima della sua morte nel 2000, mentre all'epoca Antheil era già scomparso da oltre 40 anni.
La loro invenzione è infatti alla basa di molti sistemi per le trasmissioni radio ancora oggi, non solo nella crittografia o in scopi militari, ma anche in ambito informatico e nella telefonia mobile, e sempre per questa invenzione, Lamarr e Antheil sono stati anche inseriti nella National Inventors Hall of Fame degli Stati Uniti nel 2014.

Dai ponti al DNA

Quando Leonhard Euler dimostrò alla gente di Königsberg nel 1735 che non potevano attraversare tutti i loro sette ponti in un solo viaggio, inventò un nuovo tipo di matematica, in cui le distanze non contavano. 
Eulero schematizzò il problema con un grafo, indicando con quattro vertici le zone della città (le due isole e le due rive del fiume) e con sette spigoli (i ponti che le congiungevano) e dimostrò che purtroppo non esiste alcun percorso che permetta di realizzare questa passeggiata che i cittadini di Königsberg desideravano tanto.
La sua soluzione si basava solo sulla conoscenza della disposizione relativa dei ponti, non su quanto fossero lunghi o quanto fossero grandi, ma solo nel 1847, Johann Benedict Listing finalmente coniò il termine "topologia" per descrivere questo nuovo campo e per i successivi 150 anni circa i matematici lavorarono per comprendere le implicazioni dei suoi assiomi.


Immagine da Dropsea
La cittadina prussiana di Königsberg è tagliata dal fiume Pregel al cui centro si trovano due isole raggiungibili attraverso sette ponti. E' dunque possibile trovare un percorso chiuso (punto di inizio e punto di fine coincidono) in grado di attraversare tutti i sette ponti una e una sola volta?

Per la maggior parte del tempo, la topologia è stata perseguita come una sfida intellettuale, senza aspettarsi che fosse utile. 
Dopotutto, nella vita reale, la forma e la misurazione sono importanti e una ciambella non è la stessa di una tazza di caffè, ma chi mai si preoccuperebbe dei buchi 5-dimensionali negli spazi astratti 11-dimensionali? 
Persino parti della topologia dal suono pratico come la teoria dei nodi, che aveva le sue origini nei tentativi di comprendere la struttura degli atomi, furono ritenute inutili per la maggior parte del diciannovesimo e del ventesimo secolo.
Improvvisamente, negli anni '90, iniziarono ad apparire le applicazioni della topologia. All'inizio lentamente, ma, guadagnando sempre più slancio, oggi sembra che ci siano poche aree in cui la topologia non venga utilizzata. 
I biologi imparano la teoria dei nodi per comprendere il DNA, gli informatici usano trecce (fili intrecciati di materiale che corrono nella stessa direzione) per costruire computer quantistici, mentre altri scienziati usano la stessa teoria per far muovere i robot. 
Il calcolo quantistico non funzionerà se non saremo in grado di costruire un sistema robusto resistente al rumore, quindi le trecce (operatori treccia) sono perfette per la memorizzazione delle informazioni perché non cambiano se le muovi.
Gli ingegneri utilizzano strisce Möbius unilaterali per rendere più efficienti i nastri trasportatori e i medici ricorrono alla teoria dell'omologia per eseguire scansioni del cervello.
È proprio perché la topologia è priva di misurazioni della distanza che è così potente. 
Gli stessi teoremi si applicano a qualsiasi DNA annodato, indipendentemente da quanto tempo passi o da quale animale provenga. Non abbiamo bisogno di scanner cerebrali diversi per le persone con cervelli di dimensioni diverse.  
I cosmologi la usano per capire come si formano le galassie e le società di telefonia mobile utilizzano la topologia per identificare i buchi nella copertura della rete e i telefoni stessi utilizzano la topologia per analizzare le foto scattate.
Quando i dati del sistema di posizionamento globale sui telefoni cellulari non sono affidabili, la topologia può comunque garantire che tali telefoni ricevano un segnale. 


Rielabolarazione di Yin Yang 
 Colorful Painting 5 di Dirk Czarnota

Queste due storie, come tante altre che se ne posssono trovare, dimostrano come la Matematica oscilli fondamentalmente tra due aspetti. 
Fin dall'antichità mentre alcuni la studiavano per risolvere problemi tecnici, altri cominciarono a chiamarla "arte" e la affiancarono alla filosofia. 
Quindi, senza alcuna ambiguità, chiamiamo queste due facce della matematica Matematica Applicata e Matematica Pura, che ben definì Bertrand Russell (1910) nei Principia Mathematica. 
Tuttavia, spesso può essere molto difficile tracciare una linea di separazione tra Matematica Pura e Matematica Applicata con la conseguente capacità di comunicarla e divulgarla. 
Come tanti esempi dimostrano, è capitato numerose volte, nel corso della storia, che problemi legati alla Matematica Pura e senza alcuna apparente applicazione, dessero poi a distanza di anni un contributo fondamentale al progresso. 
Bisogna quindi immaginarsi la matematica come un grosso Yin-Yang, ma invece che "luce" contro "ombra" o "fuoco" contro "acqua" mettiamoci "pura" contro "applicata".
I matematici applicati si concentrano sull’uso e la comunicazione nel mondo reale della matematica: ingegneria, economia, fisica, biologia, astronomia, tutti questi campi hanno bisogno di tecniche quantitative per rispondere a domande e risolvere problemi. La matematica pura, d’altra parte, è matematica fine a se stessa.
Ma se "applicata" significa utile non ne segue che "pura" debba voler dire inutile.
Come abbiamo visto è tutt'altro!
La matematica pura non si preoccupa delle sue applicazioni, non si occupa del mondo reale, ma ciò che potrebbe sembrare inutile, un giorno potrebbe diventare fondamentale.