di Maria Calzolari
Il tango è ballo di relazione per eccellenza, anzi forse potremmo
dire che il Tango è il ballo di relazione. Su questo credo converremo tutti: la
connessione alta tra i ballerini all’altezza del cuore, il dialogo corporeo che
si trasforma in un dare e ricevere continuo. Non a caso si parla della coppia
nel tango come di un animale a quattro zampe, quasi fosse possibile (e non solo
in termini posturali, di corpo) realizzare una fusione di anime mentre si balla.
Molti libri parlano del tango in questi termini e forse è questa la chiave di
volta che rende questo ballo diverso dagli altri, più profondo, più rivelatorio,
più intenso.
Qualche sera fa mi trovavo in una deliziosa milonga di Bologna e
osservavo le coppie ballare in pista, con l’occhio che mi proviene dalla mia
formazione di sociologa, prima ancora che di insegnante di tango. Mi piace
osservare i fenomeni da un punto di vista anche sociale. E notavo che nessuno, o
quasi, ballava il tango stando davvero in relazione. Presuntuoso da parte mia
affermare questo? Non credo, perché io per prima conosco la differenza (che ho
sentito dentro di me) tra il ballare in relazione e il ballare come prestazione.
Non c’è nulla di sbagliato nel ballare per sentirci bravi, o all’altezza delle
aspettative proprie e del “pubblico tanguero”, tutti desideriamo il
riconoscimento da noi stessi e dagli altri, ma che cosa ci stiamo perdendo
mentre balliamo con questi presupposti? Perdiamo l’essenza del tango. Basta
osservare gli sguardi di chi sta ballando, l’intenzione dei loro corpi, per
comprendere cosa stia accadendo dentro quella coppia. Un occhio attento e
sensibile coglie chi balla restando in relazione e chi lo fa uscendone. Non mi
stupisce tutto questo, perché ho sempre ritenuto che la milonga sia uno specchio
micro di ciò che accade nella società macro. E siamo in un periodo storico nel
quale la relazione si è completamente persa, soppiantata dall’illusione di stare
in relazione, che ci proviene soprattutto dall’utilizzo esasperato dei social
network e dei media.
Dov’è finita la relazione?! Nel tango, come nella vita?!
Azzardo un’ipotesi. Stiamo perdendo la distinzione dei ruoli maschile
e femminile, c’è una grande confusione su questo punto. Siamo in un momento
storico in cui le donne si comportano più come uomini, hanno sviluppato quello
che in psicologia si chiama maschile interiore, in maniera molto accentuata e in
ragione di questo si affermano in maniera molto forte, cadono spesso nel bisogno
di avere il controllo di tutto e finiscono per “comandare”. Mentre gli uomini si
stanno spostando più sul loro femminile interiore, sono molto più protettivi di
anche solo 50 anni fa e più sensibili. Non trovo che tutto questo sia sbagliato,
anzi, c’è qualcosa di davvero importante in queste conquiste e da salvaguardare,
ma senza esasperarlo. Questa confusione di ruoli nel tango si vede chiaramente.
Quando si entra nei due ruoli del tango spesso la donna fatica a lasciarsi
andare e continua a cercare di detenere il ruolo di guida che le è così
familiare nella vita di tutti i giorni e l’uomo fatica a prendere in mano la
situazione e a guidare con decisione. Sono anni che noto questa dinamica tra i
miei allievi e anche nelle milonghe. E la relazione salta, perché il tango ci
chiede che i ruoli vengano rispettati! Non credo sia un caso che il Tango sia
così popolare oggi. E’ un modo per riappropriarsi del proprio ruolo anche a
livello sociale. Il tango funziona quando la donna è nel suo femminile e l’uomo
nel suo maschile ed è comune l’intenzione di dialogare costantemente. Ciò non
significa poi, né per l’uno, ne per l’altro, perdere le proprie conquiste
sociali, ma semplicemente permettersi di ritrovare il proprio ruolo di partenza.
Ed è fantastico, a mio parere, questa riconquista! Per la donna riconquistare il
proprio femminile non c’entra nulla con tacchi alti e mise deliziose. Stare nel
proprio femminile è mollare la presa, abbandonarsi fiduciose, affidarsi e
lasciar fare all’uomo, senza velleità di controllo. Perché se balliamo con un
tacco 9, ma siamo sempre all’erta su tutto quello che l’uomo ci sta proponendo,
di femminile ci rimane solo il tacco purtroppo!
L’altra sera tutto questo mi è stato confermato da un commento di
apprezzamento che mi è venuto proprio dopo essermi immersa nel tango con il mio
compagno di ballo, godendoci un dialogo tra corpi dove i ruoli erano rispettati
e c’era la volontà di ascoltare ogni più piccola piega di noi: il respiro, i
micromovimenti sincronizzati del corpo, la lentezza dei movimenti stessi, il
contatto. Tutto questo dovrebbe appartenere al tango teoricamente sempre, ma
spesso lo si perde. Ballare stando in relazione richiede intenzione e molto
lavoro interiore e su di sé, per imparare a restare davvero aperti all’altro e a
rispettare i ruoli. Mi fa piacere che la relazione arrivi agli occhi di chi
osserva, perché questo mi conferma la parte di responsabilità che hanno gli
insegnanti nel trasmettere l’importanza dello stare in relazione nel tango.
Qualcuno potrebbe ritenere che la relazione si possa spiegare, il come stare in
relazione si possa affermare a parole. Questo è assai difficile. Noi impariamo
quello che respiriamo e vediamo, più di quello che ci viene detto. A livello
psicologico questo è chiarissimo. Avete mai notato i bambini rispetto ai
genitori? Imitano. Non sono importanti le parole che vengono loro dette, ma
quello che vedono, sentono, respirano. Se un genitore dice “a” e fa “b”, il
bambino non impara “a”, ma fa sua l’incoerenza del genitore ed emula “b”. I
famosi neuroni a specchio! Jean Jaurès diceva “Non si insegna
quello che si vuole, dirò addirittura che non si insegna quello che si sa o
quello che si crede di sapere: si insegna e si può insegnare solo quello che si
è”. Ne convengo. Come insegnanti credo abbiamo la responsabilità di
trasmettere l’essenza del tango e quindi di partire da un lavoro su noi stessi,
per essere noi per primi in relazione quanto più possibile mentre balliamo e per
valorizzare la dimensione relazionale di questo ballo. Poi sarà scelta
dell’allievo accogliere tutto questo e farlo proprio, oppure non riconoscerlo
come buono per sé. Perché insegnare passi e struttura in un certo senso ci
compromette meno, trasmettere il senso relazionale del tango è impresa più
ardua, ma almeno dal mio punto di vista più affascinante.
Maria Calzolari è Presidente dell’Asd OliTango, la prima associazione di Bologna che unisce il Tango alle discipline olistiche www.olitango.it. E' insegnante di Tango Argentino, diplomata MIDAS, e Operatrice di TangoOlistico®. Di formazione sociologa, balla tango dal 2007 e scrive per passione. Nel 2013 è uscito il suo romanzo “Amore... a passo di Tango” (Ed. Pendragon) che riflette il suo modo di intendere e vivere il tango. Tiene un blog sul suo sito www.mariacalzolari.it
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