giovedì 26 giugno 2014

Ultimo tango...di Fermat

"La matematica della musica o la musica della matematica" sottotema "C’è più matematica nella musica o più musica nella matematica?" 
Questo, come comunicato da Dioniso, sarà il tema della 75-esima edizione del Carnevale della Matematica che uscirà, come di consueto il 14 luglio, ospitato sul suo blog "Pitagora e dintorni".
Un tema davvero affascinante, un'unione indissolubile che ha caratterizzato gli studiosi di tutti i tempi. 
E a proposito di Pitagora, non si può non ricordare quanto il grande scienziato, vissuto tra il 570 a.C e il 495 a.C, avesse già ampiamente dimostrato sui rapporti matematico-musicali, intimamente legati non solo ai concetti dell’armonia, ma in particolar modo alla fisica del suono e alle forme compositive.
Pitagora, che affermava "Tutto è numero", concependo in modo unitario la musica e la matematica, può essere infatti considerato colui che forse più di tutti abbia stimolato lo studio di questi intimi legami. 

Fermat's Last Tango - A Musical Fantasy

Qui non voglio affrontare specificatamente questo legame e preferisco forse uscire un po' da ciò che il tema proposto intendeva, parlando della "matematica in Musical"! 
Proprio questo tema mi ha fatto invece tornare alla mente, subito ed istintivamente, una bellissima serata trascorsa ad Oxford, durante un mio breve soggiorno da amici a Londra, nei primi anni di questo terzo millennio.
Mi sembra fosse il mese di febbraio 2002 e per caso venni a conoscenza della programmazione di un nuovo ed originale Musical dal titolo, per me accattivante, "Fermat's Last Tango".
Un Musical che univa le due mie passioni Matematica e Tango!!!
Non avrei certo potuto perdermi l'occasione....e Oxford non dista certo molto da Londra!
Dopo esser riuscita ad avere l'agognato biglietto per il Musical, optai per il bus, investii 16£ e partii dalla fermata della metropolitana di Victoria Station con l'Oxford Tube, che effettua un collegamento ultra-regolare, ogni 20 minuti, tra Londra e Oxford. 
Dopo un comodo viaggio, durato circa un'ora e mezza, mi sono ritrovata a Oxford e quindi nella mitica Oxford University, "Oxbridge", che insieme alla Cambridge University è la più antica e più prestigiosa Università del Regno Unito.
Si perché proprio in questa prestigiosa Università andava in scena uno dei più bizzarri spin-off dedicato all'Ultimo Teorema di Fermat, un Musical ispirato alla storia del professore di Princeton, Andrew Wiles, e alla sua ricerca della dimostrazione. 

Fermat's Last Tango - A Musical Fantasy


Il Musical, prodotto dal Clay Mathematical Institute, un'organizzazione dedicata alla formazione in matematica, e scritto da Joshua Rosenblum e Joanne Sidney Lessner (sua moglie), si concentra sul periodo traumatico vissuto da Wiles tra la prima stesura della sua dimostrazione del Teorema di Fermat, del 1993, in cui c'era un difetto, e la ricerca spasmodica di risolvere tale carenza fino alla pubblicazione definitiva di un anno più tardi. 

Daniel Keane, il personaggio che veste i panni di Wiles, deve affrontare la possibilità di un fallimento, crivellato da mille dubbi, schernito dal fantasma di Fermat e ossessionato dal coro spettrale di Pitagora, Euclide, Sir Isaac Newton e Carl Friedrich Gauss.

Anche se sembrerebbe impossibile mettere in scena una commedia musicale basata su un gruppo di matematici morti e su un vivo, nonché molto famoso, professore di matematica di Princeton, il Musical risulta invece allegro, intelligente e accattivante.



Fermat's Last Tango - A Musical Fantasy




Come si alza il sipario appare un'espressione matematica illuminata che domina la scena. "Do you see that theorem?"("Vedete questo teorema?") - chiede il narratore - "In 1637, Pierre de Fermat ... wrote it down in the margin of a book. Then he added this tantalizing note"("Nel 1637, Pierre de Fermat scrisse ... giù a margine di un libro. Poi aggiunse questa nota allettante.")  

Un faretto rivela improvvisamente un barbuto, deliziosamente vanitoso Pierre de Fermat, agghindato con abiti di corte e scarpe d'oro che prontamente canta: "I have discovered a truly marvelous proof, a truly marvelous proof of this, which this margin is not large enough to contain." ("Ho scoperto una dimostrazione veramente meravigliosa, una vera e meravigliosa dimostrazione di questo, anche se questo margine non è abbastanza grande per contenerla").




Poi una rapida successione di vignette, raffiguranti i trecento anni di immensa frustrazione matematica,  si dispiega attraverso il pavimento a scacchiera in una scena piuttosto spoglia. Frustrazione generata dal fatto che questa dimostrazione del teorema di Fermat - noto come "L'ultimo teorema di Fermat" - non sia mai stata trovata in tutti questi anni, in cui la ricerca della soluzione aveva prodotto anche geniali tentativi, false piste o illusori trionfi.
Il numero musicale che chiude questo prologo introduce l'eroe della commedia musicale, Daniel Keane (che veste appunto i panni di Andrew Wiles) - il matematico, professore di Princeton, in pantaloni di velluto, giacca di tweed e occhiali cerchiati di corno, leggermente disorientato - che pretende di aver dimostrato l'ultimo teorema di Fermat.
Un Fermat che appare sulla scena beffardo, sprezzante, arrogante, e un po "vanesio", ma nel complesso molto affascinante e diabolico.
Sicuramente mettere Fermat nel ruolo di carnefice, che non vuole il nome di qualcuno diverso dal proprio associato al suo teorema, è stata la chiave di successo del Musical e l'aver "personificato", mettendo in luce le caratteristiche fin troppo umane dei personaggi coinvolti, questa lotta per la ricerca della dimostrazione matematica, ha catturato l'attenzione del pubblico sugli ostacoli che a volte sembrano messi apposta per complicare la visione della matematica e nello stesso tempo ha creato la sensazione di meraviglia per la bellezza e la semplicità di tutto, quando si vede finalmente la soluzione.
"This drama is so powerful because it describes the clash between frail humanity on the one hand and intellectual destiny on the other..."("Questo dramma è così potente perché descrive lo scontro tra l'umanità fragile da un lato, e il destino intellettuale, dall'altro"), come diceva in una recensione il matematico Arthur Jaffe dell'Università di Harvard o come osservava Osserman "As a musical fantasy on the subject of wrestling with the mysterious process of discovering a proof, `Fermat's Last Tango' is in a class by itself..."("Come fantasia musicale sul tema della lotta con il misterioso processo di scoperta di una dimostrazione, 'Fermat's Last Tango' è di una classe a sé").

Fermat's Last Tango - A Musical Fantasy

Molte delle canzoni di "Fermat's Last Tango" sono divertenti e straordinariamente inventive, con numerosi riferimenti matematici e storici.
Un "vocabolario matematico" anche sorprendentemente sofisticato in cui magari si sente, non solo una volta ma più volte, la frase "Taniyama-Shimura conjecture" ("Taniyama-Shimura congettura").
Proprio come dice Jaffe "Of all popular portrayals of mathematics in the media, I believe that only this play contains real mathematical content," ...."The authors had real insight. The characters think about mathematics just the way a real mathematician would." ("Di tutte le rappresentazioni popolari della matematica nei media, credo che solo in questa commedia musicale vi sia un vero contenuto matematico"...."Gli autori dimostrano una conoscenza reale. I personaggi ragionano di matematica proprio come ragionerebbe un vero matematico").
Questo ritornello ricorda infatti che verso la fine degli anni 50 i matematici giapponesi Yutaka Taniyama e Goro Shimura formularono una congettura nota come "congettura di Taniyama-Shimura". 
Questa congettura affermava che ogni L-serie di un'equazione ellittica poteva essere associata ad una specifica M-serie di una forma modulare. 
Dal punto di vista matematico è molto importante, infatti se si fosse dimostrata vera avrebbe voluto dire che problemi delle curve ellittiche vecchi di secoli si sarebbero potuti trasportare nelle loro forme modulari e affrontati con nuovi strumenti matematici, ovviamente sarebbe valso anche l'opposto.



E partì proprio da questa congettura la successiva dimostrazione di Wiles, perché nel 1984 avvenne un fatto che rivoluzionò la sua vita.
Durante un convegno in Germania, Gerhard Frey dimostrò che chi avesse risolto la congettura di Taniyama-Shimura avrebbe automaticamente dimostrato anche l'ultimo teorema di Fermat.


Sicuramente fu lo stimolo che portò Wiles, insieme al suo ex allievo Richard Taylor, alla prima stesura della dimostrazione del teorema (che conteneva un difetto di elaborazione)  e, dopo un anno tormentato, alla successiva e definitiva presentazione, il 24 ottobre 1994, dei due manoscritti, "Modular elliptic curves and Fermat's Last Theorem" e "Ring theoretic properties of certain Hecke algebras" , il secondo dei quali Wiles l'aveva scritto con Taylor e aveva finalmente dimostrato alcune condizioni necessarie per giustificare il passo corretto nel documento principale.

Altra canzone che colpisce simpaticamente è una ballata d'amore che Keane dedica ai numeri "The Beauty of Numbers" e che, come suppone proprio la sua ideatrice Joanne Sidney Lessner, probabilmente è l'unica canzone d'amore per la matematica che sia mai stata scritta.
Il culmine, il punto in cui il rapporto tra Fermat e Keane esplode, è mirabilmente sottolineato dalla canzone "I'll Always Be There" ("Sarò sempre lì") un trio di tango che coinvolge Fermat, Keane, e la moglie di Keane. Un tango che vuol significare una lotta emotiva di un intellettuale per risolvere il teorema, ma anche la lotta per il suo cuore e per la sua anima.

Fermat's Last Tango - A Musical Fantasy

In definitiva è la moglie che si rivela essere il vero catalizzatore. 
Keane si rende conto che sua moglie, con la sua famiglia, rappresenta tutto ciò che è veramente importante per lui. Tutto ciò che gli avrebbe permesso anche il fallimento, ma che gli ha dato la possibilità di vedere in modo chiaro e di riuscire nell'impresa.

E che dire infine della trovata simpatica, brillante e originale dell'"Aftermath"?
Aftermath è il luogo da dove torna il beffardo Fermat e dove, ovviamente, vanno i matemateci illustri dopo la morte.
Si perché anche Pitagora, Euclide, Sir Isaac Newton, Carl Friedrich Gauss si trovano tutti in questo luogo e devono decidere se anche Kaen sia degno, per i suoi meriti matematici, di passarci l'eternità.
Lo decidono unendo tra loro melodie orecchiabili che vanno dall'operetta, al blues fino al tango del titolo (che si può ascoltare nel video a 58'58" dall'inizio).
Titolo che originariamente era "Proof" ("La Prova"), poi cambiato in "Fermat's Last Tango", proprio per includere il riferimento musicale al "tango", che in quegli anni ritornava in auge e che nel 2009 sarebbe poi stato dichiarato "Un Bene Culturale Immateriale" e inserito nel Patrimonio Universale dell'Unesco.



Una pièce musical/matematica molto  originale, divertente e nello stesso tempo introspettiva, basata su un enigma che, affondando le radici nella Grecia di Pitagora ed Euclide, scorre i trecento anni di  ricerca della soluzione e si incentra sul tormentato ultimo anno del professore di Princeton nella sua ricerca della dimostrazione. Una commedia musicale che sicuramente consiglierei a tutti gli amanti del genere (anche se non proprio amanti della matematica) e che ho cercato di raccontare in questo breve post.

Per poterla gustare dal vivo si dovrebbe andare nel tempio del Musical, Broadway, dove ancora va in scena (qui una rappresentazione del 2012 in vista della 100th Birthday Broadway Celebration)
Oltre al video integrale qui proposto, si può anche acquistare il "DVD Fermat's Last Tango" che credo sia ancora distribuito dal Clay Mathematics Institute.
Non so se sia mai stata messa in scena in altre nazioni europee, oltre all'Inghilterra, o che sia mai stata tradotta. ma spero un giorno di vederla rappresentata anche in Italia.


Fonti:
From the book
L'Ultimo Teorema di Fermat - Simon Singh
From the exert:
Congettura di Taniyama-Shimura 
http://www.math.u-psud.fr/~breuil/PUBLICATIONS/Universalis.pdf
Dimostrazione di Wiles
http://math.stanford.edu/~lekheng/flt/wiles.pdf
From website:
http://www.theatermania.com/new-york-city-theater/news/12-2000/do-the-math_1145.html
Critica di Osserman e Arthur Jaffe della Harvard University
http://www.thefreelibrary.com/Drama+in+numbers%3A+putting+a+passion+for+mathematics+on+stage.-a096417274
From Video:
http://www.imdb.com/title/tt0278443/
https://www.youtube.com/watch?v=RNqQPcMYcG8

sabato 14 giugno 2014

Balla?..."no grazie"!

Il tango, un viaggio sorprendente tra divertimento, desiderio e crescita umana......che passa anche attraverso il "no grazie"!!!!!!
Il tango deve essere "surprise" (sorpresa, stupore, meraviglia) che non possiamo (e non vogliamo) condividere con tutti allo stesso modo e se non si è disposti a fare lo sforzo di godere del ballo, di adattarsi ad esso in modo positivo, si deve imparare a dire "no".


Foto dal sito di Veronica Taumanova 

Tante volte mi sono chiesta perché nel Tango sia così "esecrabile" rispondere con un "no grazie" ad un invito e avrei voluto spiegare le ragioni a sostegno di questo comportamente che non dovrebbe invece avere nulla di offensivo.
Oggi ho trovato sulla pagina facebook di un amico tanguero un bel post in inglese  "Why in tango we are not that social?" di Veronica Taumanova, che, oltre a considerare il fatto che effettivamente il Tango non sia da considerare  un vero ballo "sociale", affronta proprio il punto del "no". 
Ho pensato di farne una veloce traduzione. 

Perché il Tango non è un ballo sociale?

Noi chiamiamo il tango una "danza sociale", ma le persone si lamentano spesso che il tango non sia in realtà molto sociale. A volte, paragonato ad altre danze di coppia, salsa o swing, si arriva alla conclusione che "l'erba del vicino è sempre più verde". Il Tango viene etichettato come una danza che stimola snobismo ed elitarismo, invece di creare un ambiente accogliente per i ballerini di ogni genere, età e livelli di abilità. Naturalmente, non è tutto "o bianco o nero", o non si potrebbe divulgare così rapidamente e noi non saremmo così gioiosamente ossessionati da questa danza. Eppure, c'è qualcosa di vero in ciò. Quindi, perché il tango non è così sociale come altri balli sociali?

Il Tango è lì per te, per farti divertire. Come tutte le cose nella vita, ti dà anche l'opportunità di crescere come essere umano, ma cogliere questa opportunità o meno sta a noi. È anche possibile solo divertirsi. Che cosa significa divertirsi col tango? Significa principalmente connettersi con le persone che ti piacciono. Tutte le altre cose, come imparare la tecnica o comprare le scarpe giuste, sono solo gli attributi che servono all'obiettivo principale: avere una esperienza appagante. Che cosa sia esattamente una esperienza appagante dipende, ovviamente, da persona a persona.

Questo è vero per qualsiasi attività sociale. Eppure, c'è una netta differenza tra il tango e il resto. Questa differenza è meglio spiegata dalle parole "close embrace" (stretto abbraccio). Vedete, questo abbraccio stretto è una questione delicata. Il tipo di connessione che creiamo in un abbraccio di tango è fisicamente intimo, personale, orientato interiormente e totalmente totalizzante. Ci vuole tempo e molta pratica per imparare a improvvisare insieme legati da uno stretto abbraccio. Non è qualcosa che impari a fare subito.

Il Tango è il più introverso di tutte le danze, più c'è connessione nella coppia, meno si è influenzati da fattori esterni. Questo è anche, credo, la ragione per cui ovunque queste belle persone finiscono per creare un orribile traffico sulla pista da ballo: la connessione al nostro partner occupa praticamente tutta la nostra attenzione. Imparare a tener in considerazione altre coppie è un'abilità che richiede pratica, proprio come gli ochos, ma purtroppo non investire gli altri richide maggior sforzo. Il Tango è una danza di emozioni profonde e spesso tristi. Guardate le foto da qualsiasi evento di tango e sui volti delle persone vedrete profonda concentrazione interiore così come una sorta di bagliore interno. Quest'unione del Tango ci rende vulnerabili, ci apre come un libro, ci invita all'introspezione e a condividere ciò che troviamo dentro di noi con un'altra persona. Tutto questo molto discretamente. Anche la connessione erotica nel tango, quando accade, avviene in modo discreto.

Per me, non è una sorpresa che non possiamo (e non vogliamo) condividere con chiunque una tale connessione. Per creare questo tipo di connessione ci deve essere una certa compatibilità tra le persone e il desiderio da entrambe le parti. Per me è più sorprendente il fatto che in realtà si riesca a collegarsi profondamente con tanti partner. Con alcuni preferiamo non farlo, e questo è spesso causa di sofferenza e diventa una questione molto dibattuta. Nel tango il rifiuto e l'evasione sembrano influire direttamente sul nostro valore intrinseco di essere umano; il rifiuto fa male, poco o molto, a seconda di quanta importanza attribuiamo ad esso. Il sapere rifiutare coinvolge anche noi e anche noi troviamo difficile respingere gli altri. Siamo esseri empatici, nonostante le crudeltà di cui siamo capaci. Di solito cerchiamo di non causare ad altre persone ciò che ci danneggerebbe o che preferiremmo evitare anche a noi stessi-

Il Tango è una sottocultura in rapida crescita, ma è composto principalmente da piccoli gruppi locali. Più piccola è la comunità, più forti sono i legami sociali e quindi più profonde saranno le conseguenze di un rifiuto. Nelle grandi città le comunità tendono a formare sottogruppi, perché come esseri umani siamo solo capaci di socializzare comodamente con un numero limitato di persone. Nel momento in cui ci troviamo in mezzo a una grande folla, è come se andassimo alla ricerca di noi stessi in un deserto: non ci si può collegare a tutte le persone che stanno intorno a noi e quindi si preoccupano solo di quelle all'interno della nostra cerchia di amici. Questo spiega perché in una piccola cerchia uno straniero si sente il benvenuto, ma in una grande città la stessa persona si sente perduta e ignorata. Questo non significa che sempre le persone in piccole cerchie siano calorose e quelle nelle grandi città siano "arrogant assholes" (stronzi arroganti). Questo punto di vista è un po' troppo semplicistico.

Per affrontare il lato non-così-sociale del tango si può iniziare accettando il nostro diritto fondamentale ad una preferenza. La nostra vita è anche un "ballo sociale" e nella vita diciamo "sì" ad alcune esperienze e "no" ad altre. Non importa quale sia il motivo per voler ballare con una persona in particolare, ma se c'è il desiderio, allora il motivo è valido. Esso può essere considerato sbagliato da altri, può anche essere considerato sbagliato da noi stessi. Non importa. Ciò che conta è il desiderio. Lo stesso vale per non voler ballare con qualcuno: la ragione è "perché" non ci importa. Spesso non riusciamo nemmeno a spiegare perché vogliamo o non vogliamo una certa esperienza. Il desiderio opera in modi misteriosi.

Inoltre si deve accettare il fatto che altre persone abbiano pure loro il diritto a una preferenza. Le altre persone sono come te. Si sentono un desiderio o non lo sentono. Tutti i motivi per ballare o non ballare con te sono validi, anche se si considera che si possano sbagliare o che sia offensivo. Il desiderio può anche venire durante la danza, come l'appetito. I desideri potrebbero non corrispondere, ma di solito non è un problema. Qualcuno potrebbe voler ballare con te perché sei giovane e bella, o si vuole ballare proprio con quella persona, o perché è un ballerino/a esperto/a. Finché lo desiderate entrambi, la danza funziona. Il desiderio reciproco dà la possibilità di creare quella connessione iniziale da cui è possibile creare una danza appagante. Una possibilità, non una garanzia. Che dire di danze "transazionali", la pratica del taxì ballerino? Che ci crediate o no, c'è voglia da entrambe le parti in questo tipo di tango, troppo: il desiderio di avere un partner per ballare da un lato e il desiderio di fare soldi, dall'altro. Si potrebbe pensare che questo tipo di desiderio è moralmente sbagliato, ma è semplicemente una visione diversa dalla vostra.

Spesso pensiamo al desiderio come alla volontà di prendere, ma quando si invita qualcuno a ballare o ad accettare un invito, si dovrebbe anche essere disposti a dare. Se si accetta di ballare senza desiderio e poi si attende solo la fine della tanda non si sta dando niente. Accettare di ballare e limitarsi a mostrare quanto non vi piaccia, è irrispettoso verso il vostro partner. Se non siete disposti a fare lo sforzo di godere del ballo, di adattarsi ad esso in modo positivo, imparate a dire "no". Se invitate, chiedetevi: che cosa voglio da questa ballerina e cosa sono capace e disposto a dare in cambio? Le persone capiscono nettamente quando si desidera solo prendere. Esse diventano molto meno disponibili a dare a voi. Non sto parlando necessariamente del livello di abilità, né necessariamente di cose tangibili. Se avete un atteggiamento di donazione, le probabilità di successo sono semplicemente molto più alte.

Quando invitate (o create la situazione per essere invitate), non mettete le persone in situazioni in cui diventa difficile per loro rifiutare l'invito. Non si potrà mai ottenere una danza appagante con qualcuno che non è disposto a connettersi, l'esperienza sarà al massimo mediocre . Ricordate, dire "no" è altrettanto difficile come essere respinto, non si può fare e sentirsi male dopo. Utilizzare mirada e cabeceo è un modo discreto per evitare l'imbarazzo di un rifiuto verbale. Accettando il diritto di ogni persona ad un desiderio, si può anche accettare il rifiuto senza pensare che ciò abbia a che fare col vostro valore. Il motivo per cui non si vuol ballare, a volte, non ha nulla a che fare con te mentre altre volte ha proprio a che fare con te. Accettate il fatto che non lo saprete mai. A meno che non si chieda alla persona "perché", tutti i vostri pensieri e le vostre supposizioni sono proprio questo: i vostri pensieri e le vostre supposizioni. Accettate i rifiuti con garbo. Non date peso e non pensateci più. Non fate di quella persona un vostro nemico personale. Non pretendete spiegazioni, a meno che non si scelga il momento giusto e siate disposti a sentire la risposta. Non rispondete al "no grazie" "prego". Non fate sentire la persona più a disagio di come lo sia già. Non aggiungete titoli o insulti. Non postate messaggi solo perché alcune persone, secondo voi, hanno sbagliato a non ballare con voi. Non definite queste persone "snob". Non discutete le ragioni e non pensate che sia scandaloso non voler ballare con voi, probabilmente avete inventato voi tali motivi. Tutte le azioni di cui sopra otterranno un unico risultato: vi sentirete peggio.


"Questo è tutto molto bello", si potrebbe dire, "ma, vivendo in una comunità in cui c'è una scelta molto limitata di partner, se mi concedo il lusso di scegliere solo le persone con cui avrei veramente voglia di ballare probabilmente non ballerei più con nessuno. O perché voglio persone che mi ignorano o perché non ci sono persone in giro di cui ho veramente desidero". Queste situazioni non sono davvero facili. Eppure, non si può semplicemente scartare o forzare il desiderio. Facendo pressione sugli uomini a ballare con più donne a causa di uno squilibrio di genere non si risolverà lo squilibrio di genere, soltanto portando più uomini al tango si risolverà lo squilibrio di genere. Far sentire le persone in colpa e sperare così che vogliano ballare con te non sarà certo produttivo; il desiderio non funziona in questo modo. Se siete a corto di ballerini/e che vi piacciono, cercate altrove, iniziate a viaggiare, ci sono un sacco di partner là fuori. Se vi trovate a corto di partner che vi desiderano, trovate il modo di diventare una ballerina desiderabile o cercate quelli che potrebbero desiderarvi. Tutte le soluzioni possono ripagare in modo delizioso. Il Tango è lì per voi per farvi divertire, ma se lo si utilizza per crescere come essere umano, il viaggio sarà molto più sorprendente.

Libera traduzione di Annalisa Santi dell'articolo "Why in tango we are not that social?" di Veronica Taumanova. Veronica Taumanova vive e balla tango a Parigi ed è una della fondatrici e insegnanti di Tango Mon Amour Parigi


Foto dal sito di Veronica Taumanova


Why in tango we are not that social?

We call tango a social dance, yet people often complain that tango is in fact not very social. It is sometimes compared to other couple dances, salsa or swing, with the conclusion that the grass is greener on the other side. Tango becomes labelled as a dance that stimulates snobbism and elitism, instead of being a welcoming environment for dancers of all kinds, ages and levels of skill. Of course, it is not all that black-and-white, or tango would not be growing as rapidly and we would not be as joyously obsessed with it. Still, there is some truth in it. So, why is tango not as social as other social dances?

Tango is there for you to have a good time. Like all things in life, it also gives you an opportunity to grow as a human being, but whether you take this opportunity or not is up to you. You can also just have a good time. What does it mean to have a good time in tango? It means to connect with people you like. All the other things, from learning the technique to buying the right shoes, are merely attributes serving the main goal: to have a fulfilling experience. What exactly is a fulfilling experience varies from person to person.
This is true for any social activity. Yet, there is one distinct difference between tango and the rest. This difference is best explained by the words “close embrace”. You see, close embrace is a tricky matter. The kind of connection we create in tango embrace is physically intimate, personal, inwardly oriented and totally encompassing. It takes time and a lot of practice to learn how to improvise together in close embrace. It is not something you just get up and do.

Tango is the most introvert of all dances, for the better the connection in the couple, the less the outer impression matters. This is also, I believe, the reason why everywhere such nice people end up creating such horrible dancefloor traffic: connecting to our partner takes up practically all of our attention. Learning to be aware of other couples is a skill that takes practice, just like ochos, but unfortunately we do not invest an equal effort in it. Tango is also a dance of profound and often serious emotion. Look at photos from any tango event and on people’s faces you will see deep inward concentration as well as a kind of inner glow. Tango connection makes us vulnerable, opens us like a book, invites us to go inside ourselves and share what we find there with another person. All of this quite discreetly. Even the erotic connection in tango, when it happens, is discreet.

To me, it comes as no surprise that we cannot (and do not want to) connect in that way with just anybody. To create this kind of connection there has to be some compatibility between people and a DESIRE on both sides. It is more surprising to me that we actually do end up connecting deeply to so many partners. To some we prefer not to, and this often causes suffering and becomes a highly debated issue. In tango rejection and avoidance seem to directly impact our intrinsic value as a human being, rejection hurts, a little or a lot, depending on how much importance we attach to it. Knowing how rejection affects ourselves, we also find it tricky to reject others. We are empathic beings, despite the cruelties we are capable of. We normally prefer not to cause other people harm we ourselves would rather avoid.

Tango is a quickly growing subculture, but it consists mainly of small local scenes. The smaller the community, the stronger the social ties and therefore the more profound the consequences of a rejection. In bigger cities the communities tend to form subgroups, because as humans we are only capable of comfortably socializing with a limited number of people. The moment we find ourselves in too large a crowd, it is similar to finding ourselves in a desert: we cannot connect to all those people around us meaningfully and therefore only care about those inside our circle of friends. This explains why in a small scene a stranger feels welcome, but in a big city the same person feels lost and ignored. This does not mean people in small scenes are warm-hearted and those in big cities are arrogant assholes. This view is a bit too simplistic.

To deal with the not-so-social side of tango you can start by accepting your basic right to a preference. Our life is also a “social dance” and in life we say “yes” to some experiences and “no” to others all the time. It does not matter what your reason is for wanting to dance with a particular person, but if you feel a DESIRE then your reason is valid. It may be considered wrong by others, it may even be considered wrong by yourself. It does not matter. What matters is the desire. The same is true for NOT wanting to dance with someone: the reason “why” does not matter. Often we cannot even explain why we want or don’t want a certain experience. Desire works in mysterious ways.

Next, accept that other people, too, have a right to a preference. Other people are just like you. They feel a desire or they don’t. All reasons to dance or not to dance with you are valid, even if you consider them wrong or hurtful. The desire can also come during the dance, like appetite. The desires might not match, but that is usually not a problem. Someone might want to dance with you because you are young and beautiful, whereas you want to dance with that person because s/he is an experienced dancer. As long as you are both desiring that dance, it works. The mutual desire gives a chance to forge that initial connection from which a fulfilling dance can be created. A chance, not a guarantee. What about “transactional” dances, the practice of taxi dancers? Believe or not, there is desire on both sides in that kind of tango, too: the desire to have a partner to dance with on one hand and the desire to make money on the other. You might think this kind of a desire is morally wrong, but it is simply different from yours.

We often think of desire as willingness to take, but when you invite somebody to dance or accept an invitation, you should also be willing to give. If you accept to dance without desire and then just wait for the tanda to end, you are not giving anything. Accepting to dance and merely showing how much you dislike it is disrespectful to your partner. If you are not willing to make the effort to enjoy the dance, to adapt to it in a positive way, learn to say “no”. If you are inviting, ask yourself: what do I want from this dancer and what am I able and willing to give in return? People always feel sharply when you only wish to take. They become much less willing to give it to you. I am not talking necessarily about the level of skill, it is not even necessarily about tangible things. If you have a giving attitude, your chances of success are simply much higher.

When inviting (as a man or a woman), do not put people in situations in which it becomes difficult for them to refuse your invitation. You will never get a fulfilling dance with someone who is not willing to connect, the experience will be mediocre at most. Remember, saying “no” is just as difficult as being rejected, you can’t help feeling bad afterwards. Use mirada and cabeceo to avoid the awkwardness of a verbal refusal and to give the other person a discreet way out. By accepting each person’s right to a desire, you can also accept the rejection without feeling that it has an impact on your value. The reason for not desiring to dance with you sometimes has nothing to do with you and sometimes it has everything to do with you. Accept that you will never know. Unless you ask that person “why”, all your thoughts and opinions are just that: your own thoughts and opinions. Accept the rejections gracefully. Relieve it of all importance and forget about it. Do not make that person into your personal enemy. Do not demand explanations, unless you choose the right moment and are prepared to hear the answer. Do not beg. Do not make the person feel more uncomfortable than s/he is already feeling. Do not act entitled or insulted. Do not post messages about why some people are wrong not to dance with you. Do not call people snobs. Do not discuss their outrageous reasons not to dance with you, you have probably invented those reasons yourself. All the above actions will only have one result: you will feel worse.

“This is all very nice”, you might say, “but I live in a community in which there is a very limited choice of partners. If I allow myself the luxury to only choose people I truly desire to dance with, I will probably not dance at all. Either because I desire people who ignore me or there are no people around I truly desire.” These situations are indeed not easy. Yet, you cannot simply discard or force the desire. Putting pressure on men to dance with more women because of a gender imbalance will not solve the gender imbalance, only getting more men into tango will solve it. Making people feel guilty and hoping they will want to dance with you will not be productive either, desire does not work this way. If you are short of dancers you like, look for them elsewhere, start to travel, there are plenty of partners out there. If you find yourself short of partners who like you, find ways of becoming a desirable dancer or look for those who might like you now. All solutions can pay off in delightful ways. Tango is there for you to have a good time, but if you use it to grow as a human being, your journey will be so much more surprising.

Testo originale dell'articolo "Why in tango we are not that social?" di Veronica Taumanova 

sabato 7 giugno 2014

Matematica...ma quale?

Non possiamo certo negare l'evidente declino in Italia della scuola, della professione di docente in generale e di docente di matematica in particolare.
Quello che certamente è più complicato da analizzare è il motivo di questo decadimento tutto italiano, perché le cause sono molteplici e variegate.
Secondo Alessandro D'Avenia, come scrive in un articolo "Insegnanti questa scuola non è un'anagrafe" del Corriere della Sera del 25 maggio scorso, principalmente la colpa sarebbe proprio della classe docente, degli in-segnanti che si dimostrano in-docenti o addirittura in-decenti.
Sostiene infatti che "La scuola si liberi degli in-decenti; aiuti gli in-docenti a (ri)diventare se stessi; punti sui docenti, che ne sono le mura di carne e sangue: ce n’è almeno uno nella nostra vita e gli dovremmo, se non il doppio dello stipendio, almeno un grazie"


Bassorilievo in gesso - Antonio Canova 1795 - Insegnare agli ignoranti

"Se non il doppio dello stipendio"....e proprio qui sta il punto! 
Aldilà delle capacità comunicative e professionali (sicuramente basilari per un efficace insegnamento) rimane il fatto che la figura dell'insegnante è ben lontana dall'emblematica e ormai radicata formula magica «denaro = potere = immagine», che riassume l'odierno prestigio sociale. Proprio i ragazzi sono i primi a considerare i prof come degli alieni, degli individui estranei al mondo e alla realtà, ma soprattutto degli "sfigati" che la stessa letteratura e filmografia ha contribuito a caratterizzare. L’immagine della scuola italiana ne esce infatti come un carrozzone folcloristico in cui gli insegnanti sottopagati si barcamenano come possono, tra il menefreghismo e l’incomprensione, ma ben lontani dal rappresentare coloro che hanno il compito importantissimo di formare i cittadini del futuro.
Gli insegnanti sono diventati, oggettivamente, i nuovi poveri della società, sempre più marginali e con pochissime prospettive di poter rivendicare un ruolo importante nella società italiana e soprattutto con uno stipendio adeguato alle competenze e all'impegno.
Oltre a questo appiattimento retributivo e all'assenza di incentivi, ci troviamo  quindi anche di fronte ad una più generale crisi di identità, di stima sociale e di autorevolezza.
Fatte queste premesse vorrei però qui soffermarmi su una specifica categoria di docenti, i prof di matematica.

Ma chi può insegnare la matematica a scuola?

Negli istituti superiori (licei o istituti professionali) credo possa insegnare Matematica chi abbia conseguito non solo una Laurea Magistrale in Matematica, Fisica, e Ingegneria ma anche in Economia e Commercio, Economia Aziendale e simili. 
Nella Scuola Media la specificità decade ulteriormente e credo possano insegnare (le accorpate Matematica e Scienze) anche laureati in Biologia, Scienze Chimiche, Scienze dell'Universo, Scienze della Natura, Scienze Agrarie, Scienze Agrozootecniche, Scienze dei Sistemi di Comunicazione, Scienze della Chimica Industriale, Scienze per l'Ambiente e il Territorio, Scienze Geologiche.......Senza voler togliere nulla alle competenze relative alle Scienze Naturali quali mai potranno essere le competenze matematiche?



Ed è proprio alle "medie" che si dovrebbero acquisire le basi non solo per apprendere, ma soprattutto per capire e amare la matematica, ma soprattutto per non "averne paura". Quindi proprio alle "medie" dovrebbero insegnare la matematica docenti non solo con laurea in discipline matematiche, ma soprattutto con indirizzo storico/didattico.
Beh ai miei tempi, nella Laurea quadriennale in Matematica, gli indirizzi erano tre - Generale,  Applicativo, Didattico - e sono stati proprio gli insegnamenti relativi all'indirizzo Didattico (Matematiche Elementari, Matematiche Complementari, Logica, Storia delle Matematiche......) a darmi le prime basi per l'insegnamento e a farmi scoprire la vastità delle connessioni con altre discipline.
Fermo restando che la formazione iniziale è solo la premessa per “essere” insegnanti, sicuramente rappresenta una efficace base di partenza.
A questa formazione ovviamente bisogna aggiungere altre caratteristiche e impegni soggettivi che concorrono a fare di un insegnante un vero "educatore" ( "educare" dal latino "e-ducere" che significa letteralmente “condurre fuori”, quindi liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto, far emergere la conoscenza che è già in noi), a cui non è affidato quindi solo il compito di contenere i ragazzi e di fare passare loro il tempo della crescita, ma di stimolare giorno per giorno la loro curiosità e creatività.

Ma come stimolare i ragazzi a scuola con la matematica?

In quest'era di cambiamenti repentini della società, dove i nuovi “barbari” della comunicazione globale (sms, i’pod, internet, video, ecc.) condizionano i comportamenti soprattutto dei giovani, gli insegnanti di matematica per primi non devono insistere su una funzione di conservazione o ingaggiare una lotta (sicuramente perdente) tra cultura alfabetica, lineare, cartesiana e queste nuove forme del sapere reticolari, visive, simultanee, ma bensì sfruttare queste meravigliose potenzialità. 

La maggior parte degli studenti trascorrono anni ad apprendere metodi matematici, se non solo formule, più che stimolanti concetti. Metodi di calcolo matematico che sicuramente un computer farà sempre di gran lunga meglio di un essere umano e che distolgono lo studente dai veri stimoli creativi che la matematica potrebbe suscitare.
Io vorrei che si ripensasse l'insegnamento della matematica, e l'istruzione in generale, adattandola al mondo ormai guidato dalla tecnologia. Sfruttare queste potenzialità significa insegnare, già ai bambini, la matematica reale con l'uso del computer.
Piuttosto che dover affrontare argomenti come risolvere equazioni di secondo grado o fattorizzare polinomi sarebbe meglio poter stimolare gli studenti sull'uso e sul potere della matematica per risolvere i problemi del mondo reale, lasciando così anche più tempo per far loro scoprire la stretta connessione con altre discipline, come l'architettura, la musica ecc.....e senza che l'uso di un software sia sinonimo di "imbroglio" durante un compito in classe.




Un esempio interessante, anche se forse non condivisibile completamente, di questo tipo di insegnamento lo offre il metodo del matematico statunitense Conrad Wolfram che descrive programmi di studio che permettono agli insegnanti di concentrarsi sui problemi di matematica del mondo reale, così che gli studenti abbiano la possibilità di interessarsi più ai concetti piuttosto che alle formule.
Ed ecco, sintetizzati nella home page del sito, i punti chiave del sistema didattico di Conrad Wolfram che il matematico espone con chiarezza anche nel video:

"Uses math in infinite ways to improve life"
Utilizza la matematica per migliorare la vita in infiniti modi
"Reaches way beyond traditional limitations to complex real-world solutions" 
Raggiunge soluzioni reali complesse ben oltre i limiti tradizionali 
"Radiates confidence at applying math everywhere"
Irradia la fiducia ad applicare la matematica ovunque
"Achieves so much more by standing on the power of automation"
Ottiene il meglio dalla possibilità di automazione
"Experienced at following the right path to a solution"
Sperimenta in seguito la strada giusta per una soluzione
"First-rate problem solver, not a third-rate computer"
Risolve ottimamente il problema, non come un computer di terz'ordine 
"Understands the heart of math concepts, not just calculation processes"
Va al nocciolo dei concetti matematici, non solo dei processi di calcolo



Video del sistema didattico di Conrad Wolfram

In "metadidattica" il video di Conrad Wolfram con traduzione in italiano

In conclusione la Matematica che vorrei - tema proposto anche al prossimo 74° "Carnevale della Matematica" che uscirà il 14 giugno sul Il Post - è una matematica in cui il "far di conto" venga finalmente considerato solo uno strumento per "far di matematica".
Vale a dire che l'insegnamento tradizionale, che comporta fatiche inutili di "calcolo", dovrebbe essere sostituito da un metodo che, attraverso un uso appropriato del computer, lasciasse maggior spazio per risolvere "problemi reali" e per capire e approfondire "concetti matematici".


giovedì 5 giugno 2014

Bandoneón quel magico oggetto sonoro

In una fredda sera di dicembre 2013, ma nelle calde e suggestive sale seicentesche di Palazzo Graneri, a Torino, dove un tempo si esibì il grande Arturo Toscanini, ho assistito a una performance del bandoneonista iglesiente Fabio Furia. Alternando le note struggenti alle parole, l'artista ha presentato il suo bandoneón - strumento simile a una fisarmonica ma lungo e snodato come un serpente - raccontando la storia curiosa di questo strumento, che intreccia sacro e profano.





Dopo qualche nota infatti inizia la storia, narrata con passione dal musicista che  nasce quale clarinettista e che poi scopre questo magico oggetto sonoro, con cui  riesce a riprodurre meravigliose ed inusitate note.
«Il bandoneón – spiega Fabio Furia – venne inventato dal musicista Heinrich Band nell’Ottocento, ed è uno strumento musicale della famiglia degli strumenti ad ancia, con mantice, come la concertina e la fisarmonica; il bandoneón è lo strumento fondamentale delle orchestre di tango argentine. Nasce originariamente come strumento per la musica sacra, per quelle chiese che non potevano permettersi un organo, oppure per accompagnare i canti nelle processioni, in contrasto con il suo parente più prossimo, la Konzertina, la nostra fisarmonica, strumento decisamente più popolare»
Furia ci racconta anche che proprio la fisarmonica fu il primo strumento che potè suonare nell’infanzia, suonato già dal nonno, mentre lui avrebbe desiderato un pianoforte, troppo costoso, così come lo era l’organo per le chiese renane.
Furono infatti gli emigranti tedeschi che portarono, all’inizio del XX secolo questo strumento in Argentina, e fu qui che rapidamente ebbe grande successo, e venne presto inserito nel contesto della musica locale, tanto che già dal 1911 divenne l’accompagnamento per tutte le orchestre di tango, proprio quelle definite della guardia vieja.



Fabio Furia esegue Ché Bandoneon-Anibal Troilo

Bandoneón...questo sconosciuto?

Avevo già ascoltato o letto racconti su questo curioso strumento, ma non mi ero così tanto incuriosita da approfondire le notizie storiche che comunque sapevo discordanti.
Stimolata da questo piacevole incontro ho incominciato a cercarne le fonti storiche che ho trovato, appunto contrastanti, in diversi archivi e siti, soprattutto tedeschi.
Anche se Furia e alcune fonti attribuiscono l'invenzione del bandoneon a Heinrich Band (1821-1860), questa credo sia l'ipotesi meno accreditata. 
Heinrich Band, un insegnante di musica, musicista, editore e mercante di strumenti musicali, viveva a Krefeld, Renania / Westfalen Germania Ovest, maggiore dei 16 figli di Peter Band, violinista e venditore di strumenti musicali. 
Violoncellista in un'orchestra nella sua città Krefeld, intorno al 1840, aveva conosciuto e ammirato la "Konzertina" - strumento creato da Carl Friedrich Uhlig - e, continuando la tradizione di famiglia, aveva aperto nel 1843 un suo negozio di strumenti musicali nella città natale. Lo strumento "Konzertina" aveva attirato il suo interesse e, intorno al 1846, avrebbe incominciato a commercializzarne una versione perfezionata.


Nel dicembre del 1850, Heinrich Band annunciava infatti nel Crefelden Zeitung (n°215, del 10 dicembre 1850) "per gli amici della fisarmonica, a titolo di una nuova invenzione, abbiamo ulteriormente perfezionato le nostre fisarmoniche, e questi nuovi strumenti, rotondi o ottangonali, da 88 a 104 voci, sono disponibili nel nostro negozio, ve li raccomandiamo per la sostituzione degli strumenti da 20 a 88 voci".
Manuel Romano, autore di "Note di Storia del Bandoneón", nella sua ricerca, dopo aver contattato l'Archivio della città di Krefeld e trovato che "Band è stato registrato in Krefeld come un commerciante, non come un fabbricante, e non ha mai assunto dipendenti per la sua attività", dimotra che molto probabilmente erano strumenti su ordinazione, costruiti da Carl Friedrich Zimmerman a Carlfeld in Sassonia (Germania) col nome di Union-Harmonika.
Nel 1849, durante la "Mostra Industriale di Parigi", ("Note di Storia del Bandoneon" Manuale di Romani) era apparso un cartellone pubblicitario pubblicato proprio da Carl Friedrich Zimmermann, per promuovere uno strumento da lui creato, sulla base della concertina del tedesco Carl Friedrich Uhlig, da lui chiamato "Union-Harmonika" e "Carlsfelder Konzertina", a differenza di quello creato da Uhlig, chiamato in Sassonia semplicemente "Konzertina". 
Lo strumento commercializzato da Band a Krefeld e chiamato "Krefeld Konzertina" divenne poi noto come "bandonion", in tutta la Germania.
Quindi Band, pur non costruendo direttamente gli strumenti, che molto probabilmente furono costruiti proprio da Carl Friedrich Zimmerman a Carlsfeld in Sassonia, ma limitandosi a rivenderli con successo, contribuì alla popolarità dello strumento di Zimmermann. Alcune fonti sostengono che non abbia solo commercializzato ma anche progettato i primi bandonions con 56 toni con 14 tasti bi-sonori su ogni lato e successivamente un modello di 64 (16+16) toni e uno di 88 toni (23+21).



Bandonion 88 toni (23 + 21)


La morte di Band nel 1860 e l'emigrazione di Zimmermann  verso gli Stati Uniti nel 1864, presumibilmente a Philadelphia, hanno forse fatto nascere l'errata interpretazione della sua invenzione come opera di Heinrich Band, dal momento che il suo nome era ormai stato adottato dai vari produttori.
Heinrich aveva contribuito inoltre all'espansione dello strumento con diverse trascrizioni di opere per pianoforte adattate allo strumento, componendo anche valzer e polke. 
Dopo la sua morte, avvenuta alla giovane età di 39 anni, il negozio gestito dalla moglie, prima con un socio e poi con suo figlio maggiore Alfred, ha pubblicato "Scale e accordi  tutte le tonalità maggiori e minori per Bandonion", forse il primo libro di studio rilasciato per lo strumento. 

E l'origine del nome "bandonion" e "bandoneón"? 

Il termine "bandonion" apparve per la prima volta nel 1856 nelle pagine dell'annuario di Krefeld - testualmente: "Accordión’s, Concertina's (da alcuni denominate anche Bandonion's)” - nell’annuncio pubblicitario di un venditore di strumenti.
E con questa denominazione divenne noto anche ad Amburgo e Lipsia, porti dai quali probabilmente partì nel bagaglio dei tanti emigranti tedeschi diretti, tra il 1870 e il 1890, in Argentina o Uruguay.





Per il suffisso che segue il nome ci sono opinioni diverse.
Una riguarda una sorta di cooperativa che era stata formata per raccogliere fondi per la costruzione dello strumento, dando origine al termine "Band Union", cambiato in "Bandonion" dal suono più gradevole all'orecchio e che a sua volta divenne bandoneón in Argentina. Anche se non esiste traccia di tale associazione nei registri dell’epoca.
Un'altra farebbe derivare il nome dall'accostamento tra il nome dato da Zimmermann allo strumento "Union-Harmonika" e il nome del suo divulgatore Band, da cui "Band Union-Harmonika" che generò "Band Union" da cui seguirono bandonion" e la versione argentina "bandoneón".
L'origine forse più accreditata è dettata dal fatto che gli strumenti furono venduti con così tanto successo da Band, che si ritiene che proprio per questo il nome bandonion derivi dalla fusione del suo cognome con quello dell’accordion, al tempo stesso una sorta di sintesi tra “accordion di Band” e una garanzia di qualità.

E la fabbrica di Zimmermann?

Zimmermann prima di andare negli Stati Uniti vendette la sua fabbrica, nel 1864, a qualcuno il cui nome avrà molto a che fare con il futuro industriale del bandoneon: Ernst Louis Arnold (ELA).
Con l'acquisizione infatti Ernst Louis Arnold (1828-1910) diede alla fabbrica il nome "Ernest Louis Arnold Babdonion Konzertina und Fabrik", e il bandonion venne introdotto in Argentina nei primi anni del Novecento da Maz Epperlein, un esportatore di Liepzig stabilitosi a Buenos Aires, con il marchio di fabbrica "ELA".





Alfred, il figlio più giovane di Ernst Louis Arnold, fondò nel 1911 un'altra azienda, chiamata "Alfred Arnold und Bandonion Konzertina Fabrik " (AA) che esportava mensilmente circa 600 strumenti, di cui l'85 per cento esportati in Sud America, dove era nato il tango sul Rio de la Plata. Carlsfeld divenne quindi il centro riconosciuto a livello internazionale della produzione di bandonions e unì il logo "AA" ai più prestigiosi bandoneóns per musicisti provenienti da tutto il mondo.





Il bandoneón era già in uso sul Rio de la Plata (aree Uruguay e Buenos Aires) da diversi anni, prima che effettivamente venisse commercializzato. Non è noto come i primi bandonions possono essere arrivati, forse nel bagaglio di immigrati tedeschi o irlandesi o spagnoli.
Il bandoneón in origine non è stato mai costruito in Argentina e la maggior parte dei bandoneóns, sono gli "AA" prodotti da Alfred Arnold (AA) dal 1911 fino al 1949. I fratelli, Alfred Arnold (AA) e Paul Arnold, vennero sostituiti dai loro rispettivi figli e uno di loro, Horst Alfred, scrisse a un cliente, Oscar Zucchi, "Forse sapete che l'impresa non è più esistente, la mia fabbrica è stata espropriata ed è, dal 1949" fabbrica del popolo ". 
L'azienda, situata nella Germania dell'Est, era stata infatti nazionalizzata e venivano fabbricate pompe per motori diesel.
Nel 1950 il fratello Arno Arnold, fortunosamente espatriato nella Germania Ovest, apre una nuova fabbrica a Obertshausen, la "Arno Arnold Bandonion Fabrik" producendo i bandoneon marcati “Arno Arnold” (spesso millantati da venditori disonesti come “Doble A, Arno Arnold!”) con la supervisione del tecnico Kurt Muller, uno degli otto accordatori della ormai scomparsa “Alfred Arnold” e anche bandoneonista della rinomata "Juan Lloras Original Argentinische Tango Kapella". Tuttavia questi strumenti rimasero ben lontani dal livello qualitativo della produzione anteguerra dei bandoneón straordinari del periodo 1925-1938. 





L'azienda, poi chiuse definitivamente poco dopo la morte del suo proprietario, nel 1971. 
Negli anni ’60 ci furono dei tentativi di produzione in Brasile con la fabbrica “Danielson”, la cui bassa qualità ne determinò velocemente la cessazione della produzione.
Tentativi ripresi più recentemente in Germania (Guthjar, Hartenhauer) in Belgio (Geuns) in Italia (Victoria, Ora) e nella stessa Argentina, in seguito al rinnovato successo del tango in Europa dagli anni ’90, ma che a tutt’oggi non hanno ancora dato i risultati sperati e il suono dei bisonori da 142 voci con piastre in zinco delle fabbriche della dinastia Arnold costruiti tra il 1925 e il 1938 rimane insuperato.
Infatti anche se riprodurli non è impossibile, solo una produzione e vendita di massa come quella di allora permetterebbe di recuperare i costi non indifferenti di ricerche e analisi sui materiali, senza contare che il "suono" tipico è frutto al 75% della maestria di grandi accordatori (ormai quasi tutti scomparsi) che lavoravano con i musicisti ascoltandone le richieste "in una sinergia di uditi" più che "di microfono e oscilloscopio" come troppo spesso accade oggi.



Tristeza de un doble A” (Tristezza di una doppia “A”) - brano di Astor Piazzolla


Il bandoneón del grande Astor Piazzolla!

E non si può parlare di bandoneón senza ricordare quello mirabilmente suonato dal grande musicista e compositore argentino Astor Piazzolla, uno dei primi a integrare al tango e al repertorio della tradizione musicale argentina elementi di jazz e di musica contemporanea. 
Tra le oltre 600 composizioni Astor ne dedica una proprio al Bandoneón AA: “Tristeza de un doble A” (Tristezza di una doppia “A”), marchio della famosa ditta di produzione tedesca "Alfred Arnold und Bandonion Konzertina Fabrik " (AA). 
Nel video che segue, tratto dalla trasmissione tv Teatro 10 del 1972, in cui Alberto Lupo lo introduce come ospite a partire dalla presentazione del suo strumento, si può ammirare il grande virtusismo musicale con il quale Piazzolla riesce a ottenere mirabili sonorità dal suo bandoneón "AA" (Mod. Astor Bandoneones Arnold Double AA bisonorico 1935 ).



Astor Piazzolla ospite nella trasmissione tv Teatro 10 del 1972


Fonti:
From the book:  
"The Bandonion ....a Tango History" by Javier Garcia and Arturo Penon, translated by Tim Barnard
"El tango, el bandoneon y sus interpretes" by Oscar Zucchi
From the exert:  
"Notes on the History of the Bandonion"  by Manuel Roman
David Alsina   "The Bandoneon"    www.davidalsina.com/bandoneon.html
http://www.bandoneon-maker.com/
http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/bsb00004237/images/index.html?id=00004237&fip=24.128.198.225&no=1&seite=25
From website: 
http://www.bandonionverein-carlsfeld.de/
http://www.alexmusical.com/accordionmuseum.html 
http://www.tangoreporter.com/nota-bandoneon.html
http://in-tango.com/gpage1.html
From Youtube Video:
Ché Bandoneon-Anibal Troilo
https://www.youtube.com/watch?v=woLb87m9tqs
Piazzolla Teatro 10 1972
https://www.youtube.com/watch?v=reerrtJ6DOQ#t=119
Astor Piazzolla plays Piazzolla Bandoneon Concerto 
https://www.youtube.com/watch?v=P3Sfv-Uyzc0
From Schools of bandoneon in Italy:
http://www.centrodelbandoneon.com/home.html
http://www.fondazionemilano.eu/musica/pagine/cem-centro-di-educazione-musicale
http://www.resmusica.it/index.htm