mercoledì 30 agosto 2017

La matematica diventa magia...nel "Laberinto"

"Solo nelle scienze matematiche, come dice Averroè, si identificano le cose note per noi e quelle note in modo assoluto. Le conoscenze matematiche sono proposizioni costruite dal nostro intelletto in modo da funzionare sempre come vere, o perché sono innate o perché la matematica è stata inventata prima delle altre scienze. E la biblioteca è stata costruita da una mente umana che pensava in modo matematico, perché senza matematica non fai labirinti." 
così Guglielmo da Baskerville, il protagonista de Il nome della Rosa, apostrofava il suo discepolo Adso. 

Un curioso libro del XVII secolo ci fa capire come usavano i numeri per leggere nel pensiero quattro secoli fa.
Siamo nel 1607 e Andrea Ghisi, nobile veneziano, pubblica un curioso libro intitolato "Il Laberinto del Signor Andrea Ghisi". 


60 xilografie dell'edizione del Laberinto del 1616 custodita nella Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia

E’ un libro che si presenta insolito e misterioso, praticamente senza testo (a parte l'introduzione e la dedica al principe di Mantova, Francesco Gonzaga (1586-1612), figlio primogenito di Vincenzo Gonzaga e Eleonora de Medici), costituito praticamente di sole immagini.
Per la precisione 2260 immagini, ordinate in 21 tavole contrassegnate dalle lettere dell’alfabeto.
In questa dedica il Ghisi descrive la sua opera come un esercizio dell’ozio, un'attività ricreativa come lo sport, senza alcuno scopo pratico, utile soltanto per recuperare le energie e dare ristoro al corpo e allo spirito"......"che aprendolo tre volte, con facilità si può saper qual figura si sia immaginata"
Nel 1610 l’editore londinese Thomas Purfoot lo dà alle stampe in traduzione inglese con il titolo "Wits Laberyhth or, the Exercise of Idlenesse".
Infine nel 1616 il libro viene ristampato presso la tipografia di Evangelista Deuchino a Venezia con il titolo "Laberinto dato novamente in luce dal Clarissimo Signor Andrea Ghisi, nobile veneto, nel quale si vede MCCLX figure, quali sono tutte pronte al servitio con la sua obbedienza, & corrispondenza, che parlano l’una all’altra et con la terza volta infallibilmente si saprà la figura immaginata". 
La nuova edizione riporta una diversa dedica, questa volta al doge Giovanni Bembo e il Ghisi dichiara che quelle figure “sono tutte pronte al servitio con la sua obedienza et corrispondenza, che parlano l’una all’altra ”.
Un'esemplare di questa seconda edizione è posseduto dalla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia ed è interessante per due ragioni. 
La prima è che data la sontuosa legatura, risulterebbe essere con ogni probabilità l’esemplare offerto proprio dall’autore al Doge Giovanni Bembo, al quale l’opera è dedicata. 
La seconda, e ciò che lo rende davvero particolare, è data dal fatto che conserva, incollato tra le prime pagine, un foglio di "Dichiaratione" che svela il segreto del labirinto e ne spiega il meccanismo.
Si noti che nel titolo delle prime due edizioni, 1607 e 1610, le 1260 immagini (esattamente riportate in quella del 1616) erroneamente erano riportate come 2260.
Le tre edizioni presentano immagini leggermente diverse, ma il principio alla base del gioco è il medesimo.


Edizione del 1616 custodita nella Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia

Poche parole e moltissime immagini, perché il suo scopo principale non è quello di raccontare una storia ma di leggere nel pensiero.
Il Laberinto è quindi una raccolta di 21 tavole, una per ciascuna lettera dell’alfabeto italiano, ognuna delle quali copre due pagine.
Ogni tavola presenta le stesse 60 immagini, mescolate in modi sempre diversi, suddivise in quattro riquadri di 15 figure ciascuno. 


Copia de "Il nobile e piacevole passatempo", presso la Biblioteca Queriniana di Brescia

Mariano Tomatis, studiando un articolo sulle carte da gioco, scritto da Romain Merlin (1793-1876) nel 1857, scopre anche che Andrea Ghisi aveva realizzato un altro libro/gioco magico. 
Secondo Merlin si intitolava "Il nobile e piacevole passatempo" e sarebbe stato stampato nel 1620 a Venezia, 13 anni dopo il Laberinto (1607).
Ma Roberto Labanti messosi sulle tracce di questo libro, scoprì l'esistenza di una edizione precedente datata 1603, ovvero quattro anni prima dell'edizione del Laberinto del 1607, che si trova a Brescia, presso la Biblioteca Queriniana. 
Il Passatempo, datato effettivamente 1603, risulterebbe essere dunque il più antico ipertesto magico di cui si abbia notizia.
Il titolo completo dell’opera è "Il nobile et piacevole gioco, intitolato Il passatempo, dato in luce nuovamente dal Bidello Academico Cospirante, stampato in Verona da Bonifacio Zanetti alla Porta de i Borsari (1603)". 
L’opera presenta 74 immagini distribuite in modo disordinato su 21 tavole. Su ogni tavola compaiono 52 figure, per un totale di 1092 disegni.
Il libro veniva usato nelle corti italiane per presentare un singolare gioco di prestigio, in cui una persona era invitata a scegliere mentalmente una figura e indicare il riquadro in cui compariva. Al fondo di ogni riquadro c'era il rimando a un’altra pagina, dando vita a un percorso di lettura non lineare che consentiva, a chi ne conosceva il segreto, di indovinare la figura pensata.


Edizione inglese del 1610 su cui si è basato il libro di Mariano Tomatis

Ma torniamo al Laberinto e allo studio, per carpirne i segreti, fatto da Mariano Tomatis nel suo libro "La mappa del Laberinto di Andrea Ghisi" che si concentra sull’edizione inglese di Thomas Purfoot.
Lo studioso statunitense Bill Kalush segnalò infatti una copia in .pdf dell’edizione inglese del 1610 disponibile negli archivi del Conjuring Arts Research Center e il file trovato nel database del centro studi americano è stato sufficiente per portare avanti un lavoro accurato e un’analisi completa.
Si scopre così che il libro è un sofisticato gioco di prestigio, basato su complessi calcoli matematici. 
Un libro “magico” che consente di leggere nel pensiero.
Chi conduce il gioco apre il libro alla prima pagina, dove le 60 figure sono disposte in 4 settori o “quartieri”, e chiede all’interlocutore di pensare una figura e di dichiarare solo il “quartiere” ("riquadro") in cui si trova; la stessa operazione viene ripetuta una seconda volta, finché alla terza il conduttore è in grado di indovinare, tra lo stupore e la meraviglia degli astanti, l’immagine pensata.
Un gioco di società, dunque, come scrive l’autore nella dedica, nel qual potessero i gentili spiriti stanchi trovar riposo anco nell’esercitio honesto”, ma un gioco costato nell’ideazione una non picciola fatica”, perché a differenza degli altri giochi dove gran parte ha la Sorte, et poca l’Ingegno”, qui invece “tutto viene dall’Ingegno”.
Ma come avviene tutto ciò? Qual'è il ragionamento logico ideato dal nobiluomo veneziano?
Tomatis arriva a determinare un “grafo orientato connesso aciclico” che ci aiuta a capire bene il meccanismo "magico".


Grafo orientato connesso aciclico dei percorsi per "leggere nel pensiero"

Per poter analizzare la parte "matematica" occorre però prima scannerizzare ogni figura (sono 1260) e restaurarla digitalmente, per rimuovere le tracce di sporco e le distorsioni dovute alle cattive condizioni delle pagine e, forse la parte più difficile, effettuare il riconoscimento dei 240 piccoli numeri che compaiono sulle quattro tavole. 
Importante poi che le 1260 xilografie vengano reimpaginate seguendo la stessa struttura del libro originale secondo tutte le 60 “partite” possibili, a partire da ciascuna figura. 
Come abbiamo detto e come Tomatis spiega bene nella sua "mappa", il libro veniva usato per indovinare, attraverso tre domande successive, quale figura stesse pensando una persona.
Bisognava quindi analizzare con cura le 21 tavole, una per ciascuna lettera dell’alfabeto italiano, ognuna delle quali copre due pagine, tenendo presente che ogni tavola contiene le stesse 60 immagini, mescolate in modi sempre diversi, suddivise in quattro riquadri di 15 figure ciascuno.
Va anche tenuto conto del fatto che l'alfabeto usato da Andrea Ghisi include la K ma manca la U. L’ordine delle lettere (e dunque delle tavole) è quindi il seguente: A, B, C, D, E, F, G, H, I, K, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, V, Z.


Pagina A di partenza, i numeri associati alle figure e divisione in "quartieri" o riquadri 

Un lavoro ciclopico se applicato appunto a 1260 xilografie?
Resta però da considerare il fatto che più di 1000 di esse sono puri riempitivi, disposte alla rinfusa solo per rendere molto difficile l’analisi del gioco da parte di chi vi ricercava un unico ordine complessivo e che le xilografie diverse e da indovinare sono molto meno cioè 60!
Con l'aiuto del computer il lavoro è stato fatto e Tomatis è riuscito a individuare esattamente la struttura iconografica del Laberinto.
Tomatis inizia con l'isolare le componenti ed elaborarle in un modello astratto, associando a ogni immagine un numero da 1 a 60.
Ogni tavola diventa così una griglia numerica, una traduzione che semplifica enormemente la conversione del libro in linguaggio informatico.
E poiché ognuna delle 21 tavole è diversa dall’altra, l’intero libro non è che una gigantesca matrice numerica misteriosa. 
Il libro ne dà una descrizione molto accurata (qui una copia in .pdf) mentre io mi soffermerò solo sull'analisi del grafo.

Partendo dal presupposto che ciascuna delle 60 figure è raggiungibile attraverso un singolo percorso: analizzandoli tutti, si può risalire al metodo usato da Ghisi per dare forma al suo labirinto. 
Poiché per indovinare ogni figura è sufficiente consultare 3 tavole, ogni percorso può essere descritto con le 3 lettere che le identificano.
I passaggi sono così esplicati e le 21 tavole possono dunque essere suddivise in tre gruppi, a seconda della posizione occupata nei 60 percorsi:
1) il gioco inizia dalla tavola A, che contiene tutte le 60 xilografie diverse, quindi tutti i percorsi avranno la A come prima lettera. 
2) poiché all’inizio di ciascun riquadro della tavola A compaiono la Malinconia (Riq.I), Rinaldo (Riq.II), il Girasole (Riq.III) e il Bullo (Riq. IV), la seconda lettera di ciascun percorso potrà essere soltanto una tra le seguenti: M, R, G o B.
3) analizzando separatamente le tavole B, G, M e R si individua una regola interessante: per come sono disposte le figure, nessun percorso torna su una tavola già visitata in precedenza. Al contrario, tutti i percorsi conducono da una tavola a un’altra che si trova in posizione successiva nell’alfabeto.




Prendendo nota dei 60 percorsi e mettendoli in ordine alfabetico, il risultato mostra un certo grado di ordine:




Se scegliessimo per esempio come figura il Tamburo:
1) partiremmo ovviamente dalla tavola A
2) trovandosi nel IV riquadro che inizia con la xilografia del Bullo si passerebbe alla tavola B
3) da questa si passerebbe alla tavola E essendo la xilografia dell'Edificio la prima del I riquadro in cui compare il tamburo
4) infine nella tavola E il Tamburo compare nel IV riquadro e qui si osserva che l’iniziale della prima figura del riquadro indicato nell’esempio è la lettera D di Dante. 
Iniziando a contare dalla prima immagine (pronunciando mentalmente la lettera A, poi B poi C fino alla D che corrisponde proprio al Tamburo scelto.
Quindi il percorso che conduce al Tamburo può essere individuato dalla sequenza ABE4.

Per apprezzare quindi l’ordine nascosto dietro il Laberinto, ecco due rappresentazioni:
la prima è una rappresentazione grafica della sua mappa proposta come una serie di scatole cinesi, la seconda è proprio il grafo orientato connesso aciclico di cui parlavo all'inizio.


Accanto a ognuna delle figure nel grafo compare, con un numero romano, il riquadro in cui si trovano nella tavola finale. 
L’immagine rende evidente la simmetria nascosta dell’opera: 
il quarto riquadro manca dalla tavola C (che è la prima in alto) e dalla tavola Z (che è la prima dal basso), ma anche dalla H (la quinta a partire da sopra) e dalla Q (la quinta da sotto).
Una volta identificati tutti i 60 percorsi, è facile accorgersi che la grande maggioranza delle immagini che compaiono nel Laberinto sono riprodotte per pura misdirection, cioè sovrabbondanti e disposte alla rinfusa solo per rendere molto difficile l’analisi del gioco.
Le uniche immagini necessarie allo svolgimento del gioco sono quelle che rispondono ad almeno uno dei due seguenti criteri:
- si trovano in una tavola la cui lettera compare sul proprio percorso
- si trovano all’inizio di un qualsiasi riquadro in una tavola in posizione 2 o 3 del percorso, tranne che per i riquadri IV delle tavole C, H, Q e Z (in cui l’autore non ha fatto concludere alcun percorso).

In conclusione, come scrive il nobile veneziano Andrea Ghisi, davvero quindi un gioco di società, “nel qual potessero i gentili spiriti stanchi trovar riposo anco nell’esercitio honesto, ma un gioco costato nell’ideazione una non picciola fatica, perché a differenza degli altri giochi dove gran parte ha la Sorte, et poca l’Ingegno, qui invece tutto viene dall’Ingegno”.
Un gioco di società di cui Mariano Tomatis ha scoperto i "trucchi matematici" , dandoci la possibilità di giocarci anche ai giorni nostri e, molto più modernamente, on line!



Per "giocare" cliccare sotto questa immagine
Per giocare o meglio per leggere nel pensiero cliccare qui
Come indovinare un numero pensato?
Le tavole A, M, S e Z riportano sotto le figure alcuni numeri che
consentono di presentare un secondo gioco di lettura del pensiero 
e costituiscono l’ampliamento dell’edizione inglese rispetto alla prima italiana.
Tutte la spiegazioni da pag. 67 a 71 del libro di Tomatis

Così come ci dice Mariano Tomatis:
"L’ultima fase del mio lavoro è stata quella, naturale, di restituire al libro la dimensione ipertestuale e interattiva che aveva nella mente di Andrea Ghisi. Il Laberinto era stato pensato per Internet con quattrocento anni di anticipo, ma finalmente vi è approdato. Qui potete giocarci cliccando letteralmente sui riquadri in cui si trova la figura pensata, e farvi leggere il pensiero attraverso il Web da un uomo morto da quattro secoli. Un’esperienza che definirei di “tecno spiritismo

Labirinto (nel film del 1986) Il nome della rosa e mappa della biblioteca

"Come nel labirinto de Il nome della rosa, la chiave del Codice Ghisi sta nelle lettere dell’alfabeto. 
Nel romanzo di Eco, per trovare un libro il bibliotecario doveva comporre una parola percorrendo, una dopo l’altra, le stanze corrispondenti alle sue lettere.
Libri diversi corrispondevano a parole diverse e quindi a percorsi diversi.
Come nel castello de Il nome della Rosa, sul perimetro esterno dell’edificio, le 16 stanze potrebbero contenere le 60 icone. 
In altre parole, il Laberinto accompagna il lettore attraverso le sue stanze dalla prima all’ultima tavola, senza che sia necessario usare una mappa. 
Solo la conoscenza del suo segreto consente di orientarsi e per questo si può definire un libro esoterico. Il suo segreto non è né mistico, né spirituale, ma si tratta di un segreto matematico. Un segreto che conferisce a chi lo possiede il potere di leggere nel pensiero."


Fonti

From the book
La mappa del Laberinto di Andrea Ghisi - Mariano Tomatis Antoniono - Pubblicato nel 2011
http://www.marianotomatis.it/biblioteca/repository/Tomatis2011.pdf
From website
http://www.marianotomatis.it/biblioteca/repository/Tomatis2011.pdf
http://www.marianotomatis.it/slide.php?folder=slides/laberinto#
From the pictures
http://www.marianotomatis.it/biblioteca/repository/Tomatis2011.pdf
http://www.marianotomatis.it/slide.php?folder=slides/laberinto#
http://panizzi.comune.re.it/Sezione.jsp?titolo=Il+segreto+del+Labirinto+(1616)&idSezione=902
e rielaborazioni con Photoshop di Annalisa Santi



sabato 12 agosto 2017

Schrödinger e la sua luminosa equazione

In occasione del Compleanno di Erwin Schrödinger, nato a Vienna 130 anni fa il 12 agosto 1887 quale miglior omaggio se non rendere la sua famosa equazione ancor più "luminosa"?
Un'equazione che diventa una luminosa opera d'arte. 
Alcuni anni fa a Londra, per 14 giorni, un pannello luminoso mostrò come la fisica possa diventare arte.
L'idea nacque dalla collaborazione fra l'artista Geraldine Cox, dell'Imperial College di Londra e il fisico quantistico Terry Rudolph.


Video dell'opera dell'artista Geraldine Cox

Questa strana combinazione di simboli è infatti un'importante equazione della fisica, l'equazione di base della teoria quantistica.  
In meccanica quantistica è un’equazione fondamentale, che determina l’evoluzione temporale dello stato di un sistema, ad esempio di una particella, di un atomo o di una molecola. 
Formulata dal fisico austriaco Erwin Schrödinger nel 1927 si basa sul principio che le particelle che costituiscono la materia, come l’elettrone, hanno un comportamento ondulatorio.
Mentre i fisici si spremevano il cervello con il calcolo delle matrici per descrivere il comportamento degli elettroni o anche dei quanti di luce, i “fotoni”, intesi come particelle (la meccanica delle matrici di Heisenberg, che ebbe la sua prima formulazione nel 1925),  Schrödinger suggerì di trattarli come onde. 
Per farlo, bisognava trovare un’equazione che ne descrivesse matematicamente il comportamento. Anche nella fisica classica, quella newtoniana, il comportamento di un’onda è regolato da un’equazione differenziale. 
Fu proprio quella che Schrödinger trovò dopo un intensissimo sforzo mentale e creativo, nel corso di alcune settimane di pernottamento in una stazione sciistica svizzera dove si era rifugiato con una sua amante.
Almeno così si racconta vista la vita libertina condotta da Schrödinger , che scandalizzò spesso i suoi più puritani colleghi per gli atteggiamenti disinibiti nella sfera delle relazioni intime.
Che l'abbia ispirata una relazione amorosa o meno poco importa, resta il fatto che l’equazione di Schrödinger ha avuto un ruolo determinante nella storia della meccanica quantistica che è alla base del nucleare e dei semiconduttori.
Schrödinger partendo da un punto di vista diverso da quello di Heisenberg e affascinato dall'ipotesi di Louis de Broglie (formulata nel 1924 e che gli diede il Nobel nel 1929), cercò una equazione delle onde che potesse descrivere il comportamento di un elettrone, e, nel 1925 (lo stesso anno delle matrici di Heisenberg) la trovò.
Era quella che divenne poi universalmente nota come l’equazione di Schrödinger, l’inizio della cosiddetta "meccanica ondulatoria" e che gli valse nel 1933 il premio Nobel. 


Pannello luminoso dell'artista Geraldine Cox 

In questa espressione, scritta nel linguaggio universale della matematica, onde di materia e particelle di luce convivono nell'inaccessibile mondo dei quanti, inaccessibile eppure manipolabile.
Schrödinger  e alla sua equazione dobbiamo la grande scoperta che esiste un mondo dove le leggi della fisica classica non valgono più. Scoperta che ci ha permesso di creare cose precedentemente impensabili: il backbone internet in fibra ottica, il laser, le macchine a raggi X, microscopi elettronici, GPS e cellulari, elettronica a stato solido¹, reattori nucleari, computer e pannelli solari......insomma ha reso possibile la progettazione di gran parte del nostro mondo moderno.
¹ per elettronica dello stato solido si intende tutta l'elettronica basata su dispositivi a semiconduttore; quindi, praticamente tutta l'elettronica attuale con i vari diodi (a giunzione p-n, giunzione metallo-semiconduttore, LED, p-i-n, gunn, IMPACT, ...) transistor (BJT, JFET, MOSFET, IGBT, MESFET, HEMT, HBT).


Epitaffio sulla tomba di Erwin Schrödinger a Alpbach (Zillertal, Tirol, Austria)

In questo post, essenzialmente dedicato a ricordare il compleanno di un grande scienziato, non entrerò in approfondimenti sull'equazione e sui contributi di Schrödinger ma darò solo alcuni piccoli chiarimenti affinché anche i non addetti ai lavori possano avere un'idea di questi strani simboli, lasciando ovviamente alla loro curiosità un serio approfondimento.
Vediamo di analizzare questi simboli matematici che nell'insegna luminosa ricordano anche quelli apparsi, come epitaffio, sulla tomba del grande Erwin Schrödinger a Alpbach (Zillertal, Tirol, Austria) e che si differenziano un pochino da quelli usualmente considerati. 


Equazione di Erwin Schrödinger

La caratteristica più importante di questa equazione è la funzione d'onda Ψ (psi) che descrive (in probabilità) tutte le proprietà: l'energia, la posizione, la velocità e il momento (per citarne alcune) delle particelle microscopiche di materia o di luce. 

Il lato sinistro descrive come funziona l'onda e quindi queste quantità fisiche cambiano con il tempo e si legano all'energia del sistema nel lato destro che guida questo cambiamento. Quindi è un'equazione dinamica per sistemi infinitesimamente piccoli.  
In entrambe le due immagini della formula troviamo:
nella parte sinistra:
i è l'unità immaginaria (la radice quadrata di -1) 
h (con trattino detto h tagliato) rappresenta la costante di Planck divisa per 2π  
Ψ (psi puntato in alto) nella prima o ∂ / ∂t Ψ è la derivata parziale rispetto al tempo della funzione d'onda Ψ (psi) 
nella parte destra:
Ψ (psi) è la funzione d'onda del sistema
Ĥ o H è l'operatore Hamiltoniano, che rappresenta l'energia del sistema e dove l'operatore Hamiltoniano è la parte chiave che descrive il tipo di sistema che stiamo guardando.  



Il libro di John Gribbin, "Erwin Schrödinger - La vita, gli amori e la rivoluzione quantistica"

A conclusione di questi brevi cenni, per i più curiosi, consiglio un'accurata biografia dedicata alla personalità, non solo scientifica, di Erwin Schrödinger, inserita nel contesto dello sviluppo della meccanica quantistica nel XX secolo.
Un libro di John Gribbin, "Erwin Schrödinger - La vita, gli amori e la rivoluzione quantistica", in cui l’esposizione, pur non essendo per esperti di fisica delle particelle, non è banale. Un testo quasi senza formule, in cui però c’è un tentativo di far comprendere non solo le problematiche, senza ovviamente entrare in un linguaggio matematico complesso, ma anche in che cosa consistono le soluzioni.
Le scoperte della fisica di quei primi anni del XX secolo nel libro di John Gribbin si intrecciano con la vita dei fisici più conosciuti descrivendo un mondo particolarmente fecondo di idee. Un mondo nel quale Schrodinger aveva un posto molto importante in quanto nel 1926 aveva infine completato la seconda rivoluzione quantistica con la pubblicazione di una serie di articoli che spiegavano la teoria della meccanica ondulatoria.
Sullo sfondo, ma comunque molto importante nella vita di Schrodinger, si trovano i suoi amori, per la moglie Anny ma anche per la giovane amante Ithi, amori che in qualche modo sono stati sempre di stimolo alle sue scoperte.
Erwin Schrodinger morirà nel 1961 lasciando una enorme eredità al mondo anche in campi non direttamente collegati alla fisica, tra questi le sue considerazioni filosofiche e biologiche raccolte nel libro "Cos'è la vita" pubblicato nel 1944 dalla Cambridge University Press.




venerdì 11 agosto 2017

Topi, tope e topette...a Venezia

Chi mi conosce sa che adoro i "topastri" e che ne ho una collezione piuttosto ricca di esemplari in stoffa, gesso, legno, ceramica......di tutte le dimensioni.
Non dedicandomi a quelli veri, che comunque ritengo simpatici e carini (quelli di campagna e magari non quelli di fogna), mi incuriosisce tutto ciò che è legato anche a questo termine, topo o topa, che in italiano assume spesso significati molto diversi da quello che identifica il roditore.
Ma vogliamo vedere cosa significa topo, topa o topetta a Venezia?


Gondola a altri natanti a Venezia

Per me, e credo per la maggior parte di coloro che visitano frettolosamente Venezia, tutte le barche a remi che si vedono nei canali e in Laguna, sono gondole.
Naturalmente non è così e ho scoperto invece una moltitudine di modelli diversi in circolazione. 
Ogni barca, infatti, è stata gradatamente modificata nel corso dei secoli, in modo da adattarsi perfettamente al suo impiego, tanto da affermare che non esistano due barche uguali nella Laguna di Venezia.
Attualmente ci sono un centinaio di scafi diversi raggruppati in alcune grandi famiglie.
Tra loro certamente le quattro più famose sono il sandalo, la mascareta, la topa (derivata dal topo) e la  topetta.
Topi, tope e topette, eccoli quindi questi natanti dai nomi curiosi di cui vi parlerò!
Iniziamo dal topo.
Il topo (ormai quasi del tutto sostituito dal mototopo) è un'imbarcazione tipica della tradizione lagunare veneta.
Il topo veneziano elegante, slanciato, lungo e stretto, con la poppa rotonda, è principalmente usato come barca da trasporto merci.
E' un'imbarcazione lagunare e costiera a fondo piatto, lunga tra i 6 e i 14 metri che si distingue per fianco e poppa tonda con asta curva verticale e prua curva distesa in avanti.
Nella sua versione commerciale ha anche degli antenati a vela. 


Topo  veneziano

Il topo si adattava alla vela al terzo e veniva usato nelle zone meno calme della laguna di Venezia dove la vicinanza del mare ne rendeva la navigazione più difficoltosa per le barche a fondo piatto. 
Le dimensioni inferiori rispetto al burchio (altro tipo di natante) lo rendevano più agile di quest'ultimo e dunque più adatto a rispondere ad esigenze di manovrabilità anche se naturalmente riduceva le capacità di carico.
L'albero, posto a circa un terzo della lunghezza dello scafo a partire dalla poppa, evitava lo scarroccio di uno scafo a fondo piatto a bassissimo pescaggio e il timone, con una pala che affonda ben sotto lo scafo, funge da superficie di deriva.
Il materiale tradizionale per la costruzione dello scafo è il legno e la sua lavorazione richiede l'uso di forme e piegature a caldo. 
Il motore dei modelli da trasporto è collocato all'interno dell'imbarcazione in un apposito vano e ha potenze che possono arrivare a richiedere la patente nautica per la conduzione. 
L'odierna versione mototopo, molto conosciuta nella città lagunare, è l'equivalente del furgone da trasporto in terraferma, infatti a Venezia incontriamo le più note compagnie di trasporto, come ad esempio i corrieri espressi, che utilizzano questa imbarcazione per eseguire le consegne in città.
Oltre al topo veneziano ne esistono molte altre varianti tra cui il topo chioggiotto più tozzo, piuttosto largo, con la poppa tozza e rientrante, o quello istriano che, pur derivando da quello chioggiotto, è più addolcito nelle linee e infine quello buranello tipica versione dei cantieri di "Zio vecio" a Burano, dove le tecniche di lavorazione e l’uso dei materiali, venivano tramandati di padre in figlio senza soluzione di continuità, secondo parametri dettati da un’esperienza comune, patrimonio di una stirpe di pescatori, trasportatori e barcaioli in generale.


Topa in laguna

E dopo aver descritto il topo vediamo di parlare della topa.
A venezia il termine topa non ha il significato che s’usa nell’Italia centrale, e soprattutto in toscana. A venezia la topa è un tipo di barca tradizionale di legno o anche in (puà) plastica o meglio vetroresina. 
Per inciso ricordo che il doppiosenso nasce anche con un’altra barca, cioè la passera istriana.
Tornando alla topa vediamo che essa è molto simile al topo e la differenza è data dalla poppa a specchio quasi verticale.
Si tratta in realtà di una semplificazione del topo, nata nel novecento, soprattutto per il diporto a vela, con dimensioni più contenute, che vanno dai 6,50 ai 7,30 metri in lunghezza, con una larghezza variabile tra 1,70 e 1,90 metri.
Attualmente la topa, è una barca lagunare sulla quale si può agevolmente installare un motore fuoribordo.
La propulsione è versatile e l'imbarcazione può essere spinta sia a remi (con posizione di voga alla veneta da uno a quattro rematori) che a vela, con albero asportabile alloggiato nel tratto poppiero, timone-deriva a barra posizionato a poppa e vela al terzo. 
La forma a specchio della poppa si è in seguito dimostrata perfettamente adatta per l'installazione di motori fuoribordo, favorendo così il rapido passaggio a una propulsione completamente motorizzata.
Proprio grazie a questa sua versatilità, ha avuto un grande successo, tanto da essere fabbricata anche in serie, quindi non solo in legno ma anche in vetroresina.


Topetta a motore

Arriviamo infine alla topetta.
La topetta è anche lei un'imbarcazione a fondo piatto tipica della tradizione lagunare veneta che, grazie alle ridotte dimensioni e alla discreta capienza, è quotidianamente utilizzata con motore fuoribordo per uso diportistico (capienza consentita 6 persone) e per il trasporto di piccole quantità di merci. 
Come la topa è molto versatile, può essere armata con vela al terzo ma può essere anche spinta a remi e ha bande alte e prua ampia e affusolata.
Si tratta quindi di una variante di dimensioni più ridotte della topa che, come questa, ha un ampio specchio di poppa, largo poco meno della larghezza massima dell'intera imbarcazione e praticamente perpendicolare al piano di galleggiamento. 
Il materiale tradizionale per la costruzione dello scafo è il legno e la sua lavorazione richiede l'uso di forme e piegature a caldo ma recentemente, vista la versatilità e il successo di cui gode questo tipo di imbarcazione, i costruttori ricorrono sempre più spesso all'utilizzo della vetroresina.


Topo veneziano

Topo mestieretto

Topo istriano da pesca

Topa



Quindi topi, tope e topette non sono solo dei simpatici roditori, spesso anche protagonisti di altrettanti simpatici cartoni animati, ma, come abbiamo scoperto, anche imbarcazioni legate alla tradizione marinara veneziana che ha prodotto una tipologia di imbarcazioni vastissima.