mercoledì 28 agosto 2019

Una chiesetta e un ritratto a ricordo dei Corbellini

Il ricordo di un ritratto dopo una passaggiata a Corteno Golgi.
Visitando la suggestiva chiesetta di San Martino Franco, sull'altura che domina Corteno Golgi, ho scoperto mirabili affreschi del XV secolo e altri,  datati 1754 e restaurati nel 1974 (insieme agli interni e al tetto), raffiguranti la vita del santo, presumibilmente di Paolo Corbellini, modesto pittore, figlio del più celebre Giacomo Antonio Corbellini.


Carlo Innocenzo Carloni - "Ritratto di Caterina Corbellini (?)"- 1730

Non ancora completamente presa da Alzheimer, mi sono ricordata di un quadro, visto a Brera proprio in occasione della presentazione, nel marzo scorso, del dipinto il "Ritratto di Caterina Corbellini (?)".
Il "Ritratto di Caterina Corbellini (?)" (1730 circa e visibile in sala XXXVI) è di Carlo Innocenzo Carloni (1687 - 1775), pittore originario di Scaria d'Intelvi che sposò certa Caterina Corbellini, figlia dello stuccatore e intonacatore Giacomo Antonio Corbellini (1674 - 1742) e quindi sorella di Paolo.
Il dottor Ruggero Poletti, generoso mecenate della Pinacoteca di Brera, cui ha donato dipinti del Cerano e del Magnasco, donò nel 2010 un "Ritratto di Signora" di Carlo Innocenzo Carloni, grande protagonista del rococò internazionale, ricercato dai più illustri committenti dell'impero asburgico e delle corti della Germania centro-meridionale. 
Da recenti ricerche, Simonetta Coppa, cui era affidata la presentazione, sostiene che tale ritratto raffiguri quasi sicuramente proprio Caterina Corbellini, moglie del pittore e figlia dello stuccatore e pittore intelvese Giacomo Antonio Corbellini di Laino, collaboratore del Carloni nella cappella della reggia di Ludwisburg nel Wuerttemberg (Germania) e nel duomo di Monza, che operò in Boemia, a Praga, nei domini della casa di Dietrichstein, e che, negli ultimi anni della sua vita dal 1733 al 1742, visse e morì in Italia a Laffio.


Foto della chiesetta di San Martino Franco a fine restauri - 1974
Si nota il portale d’ingresso stranamente spostato rispetto al centro 
della facciata e sopra un oculo di antichissima fattura. 

La tradizione indica un segno di un ipotetico passaggio di Carlo Magno in Aprica, dove l'imperatore avrebbe fondato l'oratorio San Pietro in località Le Plate e la valle di Corteno fu, con tutta probabilità, compresa nel vasto territorio indicato come Valcamonica che Carlo Magno donò al monastero benedettino di Tours il 16 luglio 774. 
In effetti esiste ancora oggi il dosso di San Martino o di Piazze, con una chiesa dedicata al santo patrono del monastero francese di Tours, che dominò la valle dal 774 al 1026. 
A ricordo della dominazione franca e della presenza del monastero di Tours rimane quindi la dedica a San Martino Franco della chiesa che sorge al centro di quella che fu la rocca di Corteno.
La chiesa conserva antichi affreschi del XV secolo che si trovano tra il coro e la navata, raffiguranti i SS.Pietro e Paolo, e sulle pareti alcuni poco distinguibili e altri forse ancora coperti dalla calce, essendo stata la chiesa adibita anche a lazzaretto.


 Affresco del XV secolo di San Pietro, con la chiave ed il libro, 
e San Paolo, con la spada foto ©Annalisa Santi
Altri affreschi del XV secolo -  foto ©Annalisa Santi

In seguito alla costruzione della chiesa a Pisognéto nel 1425, San Martino venne infatti utilizzato come lazzaretto e nel maggio del 1895 l’ arciprete dell’epoca, fece raccogliere in due grosse bare i resti dei cadaveri di coloro che una volta morti di peste erano stati inumati intorno alla costruzione sacra, nonché addossati al muro esterno posto a nord della Chiesa. 
Il pavimento rustico a lastroni di pietra sembra coprire ben altri cinque pavimenti a testimonianza di riedificazioni e decorazioni successive, fino agli affreschi del 1754 raffiguranti la vita del santo, per la maggior parte dipinti sulla volta dell’altare maggiore.
Nelle foto che seguono si vedono alcuni particolari  degli affreschi del XVIII secolo dopo il restauro  conclusosi nel 1974.

Un opuscolo presente nella chiesetta di San Martino Franco cita  il pittore Antonio Corbellini come autore della volta affrescata a metà settecento.


Nel cuore della volta, un dipinto raffigura San Martino in un tripudio di angeli 
che gli porgono la mitria ed il pastorale - foto ©Annalisa Santi

Mettendo però a confronto le date risulta poco probabile che gli affreschi settecenteschi di San Martino Franco possano essere attribuiti a Giacomo Antonio Corbellini bensì al figlio Paolo, nato a Praga il 24 aprile 1711 e morto a Doverio di Corteno in Valcamonica (Brescia) il 12 luglio 1769, mentre dipingeva la chiesa, nella casa del cappellano don Savardi.



Nella volta, le tre virtù teologali, Fede, Carità e Speranza, oltre alla Religione
foto ©Annalisa Santi

Le note di questo modesto pittore sono scarse e attendono ulteriori ricerche d'archivio, in una più ampia ricognizione del patrimonio artistico bresciano. 
Erroneamente gli è stato attribuito il nome di Pietro e per lo stato quasi illeggibile di molte sue opere gravemente rovinate, anche in epoca recente da cattivi restauri, non è facile l'attribuzione degli affreschi per i quali Paolo Corbellini potrebbe essersi avvalso a sua volta dell'aiuto del figlio Antonio (o Antonio Giacomo, nome del più famoso nonno).
   
 L’immagine di San Rocco, con la caratteristica piaga della peste sulla gamba, 
e quella di San Lorenzo, con la graticola su cui venne trascinato
Di fronte a San Rocco e San Lorenzo, un affresco raffigurante la Madonna 
col Bambino, San Gottardo e Sant’Antonio Abate - foto ©Annalisa Santi

Le chiese, rinnovate all’inizio del seicento a seguito delle visite borromeiche, nel settecento barocco vengono decorate e spesso ampliate, anche nel territorio della Val Camonica e della Valtellina. 
In questi interventi furono coinvolti pittori a volte locali come testimoniano gli affreschi settecenteschi di San Martino Franco ma anche di fama, chiamati a decorare le volte e gli interni per riportarli a nuovo splendore.
Gli artisti convocati erano di diversa provenienza e formazione e sembra che non esista un filone privilegiato: pittori emiliani, lombardi e veneti ma soprattutto locali come i pittori bresciani e bergamaschi, che si collocano a cavallo delle varie culture figurative.

Sopra l’altar maggiore, la pala di fattura più recente, un dipinto della celebre 
scena di San Martino a cavallo che divide il proprio mantello con il povero.
S. Martino a cavallo che divide il mantello con la spada è l’emblema 
del gonfalone municipale di Corteno Golgi - foto ©Annalisa Santi

Numerosi, anche se non tutti identificabili, sono i pittori che appartengono, per ragioni stilistiche, alla schiera di artisti originari dell’area comasca e della Val d’Intelvi o del Ticino, che precedono o seguono Carlo Innocenzo Carloni, il più importante e “internazionale” degli esponenti di quel gruppo, che realizzò affreschi e diverse bellissime tele. 
Pittori itineranti, caratterizzati da una fattura decisa e da una brillante cromia, o più tenue e delicata che richiamano appunto le produzioni rispettivamente del famoso stuccatore e intonacatore Giacomo Antonio Corbellini e quella dei suoi discendenti quali appunto Paolo e Antonio Corbellini.
Nuovo splendore che purtroppo molto spesso è stato mal conservato, cancellato o malamente restaurato.
Tanto che l'ultima opera di Paolo Corbellini, gli affreschi per la chiesa di Doverio di Corteno (1769) con i "Fatti della vita dei SS. Fabiano e Sebastiano", è pure irriconoscibile per i cattivi restauri che rendono difficile valutare quanto vi sia ancora di suo e quanto del suo collaboratore  e figlio Antonio Corbellini.


lunedì 26 agosto 2019

L'arte a 369 gradi

Matematicamente parlando 369 è un numero dispari
- è un numero composto con 6 divisori: 1, 3, 9, 41, 123, 369 
- è un numero difettivo poiché la somma dei divisori (escluso il numero stesso) è 177 < 369
- è la somma di 4 cubi diversi: 369 = 1³ + 3³ + 5³ + 6³
- è un numero palindromo nel sistema numerico esadecimale  171 
- è parte delle terne pitagoriche (81, 360, 369), (369, 492, 615), (369, 800, 881), (369, 1640, 1681), (369, 2508, 2535), (369, 7560, 7569), (369, 22692, 22695), (369, 68080, 68081).
- è un numero congruente (in matematica un numero congruente è un numero naturale che rappresenta l'area di un triangolo rettangolo che ha per lati tre numeri razionali...

Queste sono alcune proprietà del numero 369 che certo non troviamo però come misura di un angolo noto.


Francesco Tresoldi - "Natura morta con antiche carte" - olio su tavola - 2017

"Arte a 369 gradi" sembrerebbe quindi un errore o un refuso seppur matematicamente non sia sbagliato. Rappresenta infatti un angolo che semplicemente supera di 9 gradi il più noto angolo giro di appunto 360 gradi.
Una visione completa a 360 gradi con una piccola visione in più, di quei 9 gradi che vogliono testimoniare anche i 50 anni dell'esperienza artistica di Francesco Tresoldi iniziata dopo l'Accademia di Brera, proprio nel 1969. 
Accademia di Brera in cui aveva avuto come guida e mentore Bruno Gandola, poliedrico artista, pittore, scultore, incisore, ceramista...che, come mi ha raccontato lo stesso Tresoldi, lo sostenne proprio in quegli anni di debutto nelle sue prime mostre.




Alcuni quadri dell'esposizione "Arte a 369 gradi" 

"Arte a 369 gradi" è quindi l'ultima mostra, conclusasi domenica 25 agosto 2019, allestita in una location davvero suggestiva, la chiesetta di San Martino Franco, in località Piazza, di Corteno Golgi.
Mostra dove le tele di Francesco Tresoldi si sono fuse con gli interni e i pregevoli affreschi quattrocenteschi della chiesa romanica che domina la vallata da cui si gode un’ottima vista sul Corno del Baitone e sull’Adamello, che fu eretta e intitolata al santo, vescovo di Tours, dai monaci benedettini nel corso del IX secolo d.C.


Francesco Tresoldi - Schizzo Chiesetta San Martino Franco - 2019

Interno della Chiesetta di San Martino Franco

Affresco risalente al XV secolo di San Pietro, con la chiave ed il libro,
 e San Paolo, con la spada

"Arte a 369 gradi" quei 9 gradi in più a significare l'essenza della cultura!
Tra i molti quadri esposti uno in particolare mi ha colpito per i richiami a testi antichi, forse anche matematici, di cui si intravede una scritta, e per la simbologia che si percepisce.
Dal titolo "Natura morta con antiche carte", l' opera, un olio su tavola del 2017, ha stimolato la mia curiosità per i particolari che, per me, evidenziano una ricerca di cultura, forse di antica saggezza: insieme alle vecchie carte, un vaso ed alcune bacche.
Il vaso affascina perché è un oggetto che rimanda ad altro da sé.
Chi avrà pensato, plasmato, decorato quel vaso? Il pittore o l'artigiano? Qual'è lo scopo per cui è stato fatto o dipinto?
Materiale, modellatura, scopo, provenienza, epoca, preziosità, contenuto sono infatti tutti aspetti che in qualche modo non parlano solo del vaso in sé, ma portano a coglierne la valenza simbolica. 
Un vaso chiuso può celare un mistero e un vaso vuoto e aperto, come quello del quadro, puo essere il segno di capacità recettiva o di offerta, fors'anche di inservibilità.
La sua apertura verso l’alto simboleggia la richiesta di essere riempito, riempito di cultura forse, e la sua forma nello spazio implica solidità e nello stesso tempo impedisce la dispersione di quanto contiene. 
Ma anche la sua fragilità è proverbiale e basta poco per ridurlo in cocci. 
Tutti significati, a mio avviso, che contribuiscono a qualificare il vaso come simbolo di recettività, interiorità ma anche fragilità, elementi caratteristici della cultura. 
E il ramo di foglie e bacche?
Forse un agrifoglio senza spine che grazie ai suoi due colori, verde delle foglie e rosso delle bacche, può assumere due distinti significati che si possono ricollegare anch'essi alla cultura. 
Il verde del ramo a significare la speranza e l'eternità della cultura, mentre il rosso delle bacche, come il rosso del sangue, può rappresentare la voglia di combattere per la cultura, per non cadere nell'ignoranza, per non rinunciare ai valori e all'importanza del sapere.




Non so se Francesco Tresoldi volesse davvero significare tutto ciò e soprattutto se volesse, con questo quadro, simboleggiare l'essenza della cultura.
Questo è quello che ha stimolato in me che credo, sopra ogni altra cosa, all'importanza del sapere e della cultura, come un patrimonio insostituibile di cognizioni e di esperienze a cui ogni essere umano non dovrebbe mai rinunciare.