martedì 25 maggio 2021

Il "marziano" Paul Halmos, il matematico con la passione per i gatti e la fotografia

"Marziani" era il termine usato per riferirsi a un gruppo di eminenti scienziati ebrei ungheresi (principalmente fisici e matematici, ma non solo) emigrati negli Stati Uniti nella prima metà del XX secolo, vale a dire dopo la Grande Purga del 1933.
Gli scienziati ungheresi erano apparentemente superumani nell'intelletto, parlavano una lingua madre incomprensibile e provenivano da un piccolo paese oscuro, e ciò li portò a essere chiamati "marziani", un nome che adottarono scherzosamente.

Nell'immagine (partendo da sinistra in alto):
John von Neumann, Paul Erdős, Eugene Wigner e Edward Teller, Leó Szilárd,
 Theodore von Kármán, Paul Halmos, George Polya e John G. Kemeny


Lo scherzo, sostenuto da John von Neumann, consisteva anche nel fatto che gli scienziati ungheresi fossero in realtà discendenti di una forza scout marziana, sbarcata a Budapest intorno all'anno 1900, che in seguito se ne fosse andata dopo aver ritenuto il pianeta inadatto, ma lasciando dietro di sé i figli di diverse donne terrestri, bambini che divennero tutti famosi scienziati. 


Immagine di Halmos col gatto Roger 1970
©The Paul R. Halmos Papers at the Archives of American Mathematics.

Paul Richard Halmos (3 marzo 1916 - 2 ottobre 2006) è stato un matematico americano di origine ungherese che fece progressi fondamentali nelle aree della logica matematica, teoria della probabilità, statistica, teoria degli operatori, teoria ergodica, e analisi funzionale (in particolare, spazi di Hilbert ) ed è stato descritto appunto come uno dei marziani, noto per alcuni dei suoi libri di testo e per la sua collezione di fotografie di matematici.


Immagine di Halmos col gatto Roger 1970
©The Paul R. Halmos Papers at the Archives of American Mathematics.

Ma qui non voglio parlare dei suoi vastissimi contributi matematici ma di due curiosità che lo resero famoso. 
Oltre alla sua passione per i gatti, una è quella appunto della sua passione per la fotografia.
Paul R. Halmos si è infatti divertito a scattare fotografie dei matematici che ha incontrato in tutto il mondo e nei suoi vari campus negli Stati Uniti, tanto che nel 2011, 343 delle foto di Halmos, fatte tra il 1943 e il 1988, sono state digitalizzate dagli Archives of American Mathematics.
Halmos ha fotografato matematici, i loro coniugi, i loro fratelli e sorelle e altri parenti, i loro uffici, i loro cani e gatti...e delle circa 6000 fotografie della sua collezione, Halmos ne ha scelte circa 600 per il libro "I have a photographic Memory".


Copertina del libro "I have a photographic Memory".

Le immagini sono scatti sinceri che mostrano che i matematici sono semplicemente se stessi e le didascalie di accompagnamento, oltre a identificare i soggetti, contengono aneddoti e frammenti di storia che rivelano l'arguzia, il fascino e l'intuizione inimitabili di Halmos. 
Questo libro non è solo una deliziosa raccolta di cimeli matematici ma è anche un prezioso documento storico.
L'altra è ricordata nelle memorie dello stesso Halmos in cui afferma di aver inventato la notazione "iff" per le parole "se e solo se" e di essere stato il primo ad adottare la notazione "tombstone" ("lapide") per indicare la fine di una dimostrazione.
In matematica al posto dell'abbreviazione tradizionale "Q.E.D", "Quod Erat Demostrandum", che significa "che doveva essere dimostrato" (in italiano spesso sostituito da un meno dotto "C.V.D", "Come Volevasi Dimostrare") si usa anche il "tombstone" (la "lapide"), o appunto "halmos", "∎" (o "□") per denotare la fine di una dimostrazione.

La sua forma grafica varia, in quanto può essere 
un quadrato o un rettangolo pieno o vuoto

A volte quindi è chiamato "simbolo di finalità Halmos" o "halmos" dal nome del matematico che per primo lo usò in un contesto matematico nel 1950, avendo l'idea di introdurlo vedendo che veniva usato per indicare il fine di articoli su riviste. 
Nel suo libro di memorie "Voglio essere un matematico" scrisse:
"Il simbolo non è sicuramente una mia invenzione: è apparso su riviste popolari (non di matematica) prima che lo adottassi, ma, ancora una volta, mi sembra di averlo introdotto per primo in matematica. È il simbolo che a volte assomiglia a ▯, ed è usato per indicare una fine, di solito la fine di una dimostrazione. Il più delle volte è chiamato lapide, ma almeno un autore generoso lo ha definito halmos."

Non posso concludere questo breve post se non citando la risposta di Halmos alla domanda su cosa significasse per lui la matematica:
"It is security. Certainty. Truth. Beauty. Insight. Structure. Architecture. I see mathematics, the part of human knowledge that I call mathematics, as one thing - one great, glorious thing." 
Aggiungo questo video di 44 minuti che contiene una rara intervista di Peter Renz a Paul Halmos, in cui rivela i suoi pensieri sulla matematica e su come insegnarla e scriverne.




 

sabato 1 maggio 2021

Animali matematici

"Animali" è il tema proposto da Paolo Alessandrini per il Carnevale della Matematica #150 di maggio ed io mi sono ricordata di un curioso e interessante articolo, letto circa un anno fa, proprio dedicato alla matematica degli animali.
Scritto molto bene da Erik Nelson, un dottorando in filosofia presso la Dalhousie University che si concentra sulla filosofia della cognizione animale, e correlato da un simpatico video, mi ha dato lo spunto per rispondere al tema, con questa libera traduzione intercalata da mie considerazioni e alcune note.

I pappagalli grigi africani sono molto chiacchieroni 

Si pensa che gli esseri umani siano diversi dagli altri animali in modo fondamentale tanto da renderci unici, o anche più avanzati di altre specie. 
Spesso però queste affermazioni di superiorità umana sono utilizzate per giustificare il modo in cui trattiamo gli animali, in casa, in laboratorio o nell'allevamento industriale.

Allora cos'è che ci rende così diversi dagli altri animali? 
Molti filosofi, passati e presenti, hanno indicato che siano le nostre capacità linguistiche. 
Questi filosofi sostengono infatti che il linguaggio non solo ci permette di comunicare tra di noi, ma rende anche le nostre vite mentali più sofisticate di quelle che mancano di linguaggio. Alcuni filosofi sono arrivati ​​al punto di sostenere che le creature prive di linguaggio non sono in grado di essere razionali, fare inferenze, afferrare concetti o persino avere credenze o pensieri.

Illustrazione di uno scimpanzé imbronciato dal libro di Charles Darwin del 1872,
 "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali". (Collezione Wellcome)

Anche se siamo disposti ad accettare queste affermazioni, cosa dovremmo pensare degli animali che sono in grado di parlare? 
Molti tipi di uccelli , per esempio i pappagalli, sono in grado di emettere suoni di tipo linguistico, e ai gorilla e agli scimpanzé è stato insegnato a comunicare usando il linguaggio dei segni. 

Queste vocalizzazioni o comunicazioni indicano davvero che, come gli esseri umani, anche questi animali sono capaci di sofisticati processi mentali?
Gli studiosi hanno generalmente risposto a questa domanda negando che i pappagalli parlanti e i gorilla che comunicano con segni dimostrino qualcosa di più di una mimica intelligente. 
Robert Brandom , illustre Professore di Filosofia dell'Università di Pittsburgh, ha affermato che se un pappagallo dice "rosso" quando gli si mostrano oggetti rossi e "blu" quando gli si presentano oggetti blu, non ha effettivamente dimostrato di comprendere il significato di quelle parole, perché, secondo Brandom e molti altri studiosi, comprendere il significato di una parola richiede di comprendere sia il significato di quella parola sia le connessioni che esistono tra quella e altre parole.
Quindi, se un pappagallo è in grado di dirci il colore di oggetti diversi, ciò non significa necessariamente che il pappagallo capisca il significato di quelle parole. Per fare ciò, un pappagallo dovrebbe dimostrare di comprendere anche che il rosso e il blu rientrano nella categoria del colore, o che se qualcosa è totalmente rosso non può, allo stesso tempo, essere completamente blu.

Pappagallo grigio il più usato per esperimenti di tipo matematico

Ma quale tipo di comportamento dimostrerebbe che un pappagallo o uno scimpanzé hanno capito le parole che stanno usando? 
Erik Nelson, come filosofo che si concentra sullo studio della cognizione animale, per rispondere a questo tipo di domanda, esamina il lavoro sia empirico che teorico.
In una recente ricerca, sostiene che testare le capacità aritmetiche di un animale può fornire informazioni su quanto siano in grado di capire. 
Per capirne il perché, dobbiamo però fare una breve deviazione attraverso la filosofia della matematica.

Il matematico e filosofo tedesco Gottlob Frege

Alla fine del 1800, il matematico e filosofo tedesco Gottlob Frege (Wismar, 8 novembre 1848 – Bad Kleinen, 26 luglio 1925), considerato quasi unanimemente dalla critica odierna uno dei più grandi logici dopo Aristotele ed il padre del pensiero formale del Novecento, cercò di dimostrare che l'aritmetica è una scienza logica oggettiva. 
Molti filosofi e matematici all'epoca pensavano che l'aritmetica fosse semplicemente un artefatto della psicologia umana e Frege temeva che una tale comprensione avrebbe reso l'aritmetica del tutto soggettiva, ponendola su un terreno non più solido delle ultime tendenze della moda.


Il frontespizio del "Die Grundlagen der Arithmetik" 
di Gottlob Frege, pubblicato nel 1884.

In "Die Grundlagen der Arithmetik", Frege inizia analizzando logicamente che tipo di entità siano i numeri e ritiene che la chiave di questa indagine sia capire cosa serve per rispondere alla domanda "quanti?".
Se ti passo un mazzo di carte e chiedo: "Quante?" senza specificare cosa voglio contare, sarebbe difficile anche solo capire che tipo di risposta sto cercando. 
Ti sto chiedendo quanti mazzi di carte, quante carte, quanti semi o qualsiasi altro numero di modi per dividere il mazzo? 
Se chiedo: "Quanti semi?" e rispondi “quattro”, stai dimostrando non solo che sai contare, ma che capisci cosa sono i semi.

Frege pensava che l'applicazione delle etichette numeriche dipendesse dalla capacità di cogliere la connessione tra ciò che viene contato e quanti ce ne sono. 
Risposta "quattro" alla domanda "Quanti?" potrebbe sembrare un atto disconnesso, come i pappagalli che chiamano semplicemente "rossi" gli oggetti rossi. Quindi, se gli animali sono in grado di rispondere correttamente in modo affidabile alla domanda "Quanti?" questo dimostrerebbe che capiscono la connessione tra la quantità numerica e gli oggetti di cui vengono interrogati.

Immagine dal Video di Irene Pepperberg

Un esempio di animali che dimostrano una vasta gamma di capacità aritmetiche è dato dal lavoro che Irene Pepperberg ha fatto con i pappagalli grigi africani, i più famosi suoi soggetti Alex e Griffin.
Alex, un pappagallo africano grigio, è stato in grado di dimostrare grande abilità con i numeri e ha cambiato il modo in cui pensiamo ai cervelli degli uccelli.
Nel 1977, la dottoressa Irene Pepperberg e Alex, il suo primo soggetto di ricerca sui pappagalli grigi, iniziarono una ricerca fondamentale sulle capacità cognitive dei pappagalli, fornendo una nuova visione dell'intelligenza non umana. 
Attraverso i suoi metodi pionieristici, Alex ha imparato a utilizzare con precisione oltre cento etichette per descrivere oggetti, forme, colori e materiali, ha fatto semplici calcoli e ha compreso i concetti di "nessuno", "uguale / diverso", "più grande/più piccolo". 
Per testare le capacità aritmetiche di Alex, Pepperberg gli mostrava una serie di oggetti su un vassoio e gli chiedeva: "Quanti?" per ciascuno degli oggetti. Ad esempio, gli mostrava un vassoio con oggetti di forma diversa e gli chiedeva: "Quanti quattro angoli?" (La parola di Alex per i quadrati.) e Alex è stato in grado di fornire la risposta in modo affidabile per importi fino a sei.
Alex è stato anche in grado di fornire il nome dell'oggetto se gli è stato chiesto di cercare un certo numero di quegli oggetti. 
Ad esempio, se un vassoio conteneva diverse quantità di oggetti colorati, inclusi cinque oggetti rossi, e ad Alex veniva chiesto: "Di che colore è cinque?" Alex è stata in grado di rispondere correttamente dicendo "rosso".
Le indagini di Pepperberg sulla capacità di apprendere e comprendere l'aritmetica di base forniscono esempi che dimostrano che Alex era in grado di fare di più che imitare semplicemente i suoni umani. 
Fornire la risposta giusta quando gli veniva chiesto "Quanti?" implicava che fosse in grado di capire le connessioni tra la quantità numerica e gli oggetti su cui veniva interrogato.

Uno scimpanzé alle prese con questioni numeriche

Sebbene i risultati di Pepperberg siano impressionanti, sono tutt'altro che unici e le capacità numeriche sono state identificate in molte specie diverse, in particolare gli scimpanzé. 
Le scimmie sono matematiche, anche se imprecise! 
La ricerca comparativa ha verificato che le scimmie utilizzano informazioni quantitative e numeriche, come dimostrato in un articolo "Abilità matematiche della scimmia" di Michael J. Beran, Bonnie M. Perdue e Theodore A. Evans in cui si delineano molti di questi risultati. 
L'articolo inizia con una sintesi storica del lavoro con i primati nella valutazione del ruolo che il numero gioca nella vita di questi animali e si concentra quindi sulla questione se i primati possono contare e possono usare i simboli per rappresentare le informazioni numeriche. 
Anche se le prove per il conteggio sono limitate, pare chiaro che possono esprimere giudizi di grandezze ordinate e possono imparare ad associare simboli con varie quantità e numeri di elementi.

Immagine di un cane (Achille) a cui vengono riempite due ciotole 
con più o meno cibo - Foto © Silvia Manzo

Alcune di queste capacità dimostrano che gli animali comprendono le connessioni sottostanti tra diverse parole ed etichette e che stanno quindi facendo qualcosa di più che imitare i suoni e le azioni degli umani che li circondano.
Gli animali che possono fare operazioni aritmetiche di base ci mostrano che alcuni sono davvero in grado di comprendere i termini che usano e le connessioni tra di loro. 
Diversi studi hanno suggerito che dozzine di specie animali sono in grado di elaborare informazioni numeriche. 
Animali diversi come mammiferi, uccelli, anfibi, pesci e persino alcuni invertebrati sono stati studiati con successo attraverso una formazione approfondita e l'osservazione del comportamento spontaneo, fornendo la prova che le capacità numeriche non sono limitate ai primati. 
Lo studio delle specie non primate rappresenta uno strumento utile per ampliare la nostra comprensione dell'unicità delle nostre capacità cognitive, in particolare per quanto riguarda le radici evolutive della mente matematica.
I test sui cani, ad esempio, hanno dimostrato che hanno una conoscenza di base della cardinalità: il numero di cose in offerta. 
Se viene mostrata una pila di leccornie e poi viene mostrata di nuovo la pila dopo che è stata nascosta e il numero di leccornie è leggermente cambiato, reagiranno in modo diverso rispetto al fatto che non ci fosse stato alcun cambiamento.

Tuttavia, è ancora una questione aperta se la loro comprensione di queste connessioni sia il risultato dell'apprendimento di espressioni linguistiche o se le loro espressioni linguistiche aiutino semplicemente a dimostrare le capacità sottostanti.

Il cavallo Clever Hans

Vorrei ricordare, come curiosità finale, quella del cavallo di nome Clever Hans  divenuto famoso all'inizio del '900, entusiasmando il pubblico con le sue capacità di conteggio. 
Il suo allenatore poneva un problema e il cavallo batteva la risposta. 
Alla fine, però, si è scoperto che Hans non poteva davvero aggiungere o sottrarre, ma stava invece rispondendo a segnali sottili e involontari del suo allenatore, che si sarebbe visibilmente rilassato quando il cavallo avesse raggiunto il numero corretto. 



Fonti

Libera traduzione, alcune immagini e video tratti da "Animals that can do math understand more language than we think"
https://theconversation.com/animals-that-can-do-math-understand-more-language-than-we-think-133736 



mercoledì 10 marzo 2021

Pi Day, Oscar Chisini e isoperimetri

Ci sono almeno due ragioni perché per questo 14 marzo, giorno dedicato al pi greco, io parli di un grande matematico, Oscar Chisini.
Una ragione sta nel fatto che, come Einstein, nacque in questo giorno ma dieci anni dopo, nel 1889, l'altra è che nella sua teoria elementare degli isoperimetri il pi greco è protagonista.
Ce ne sarebbe anche una terza, legata ai miei ricordi universitari, quella dell'aula dell'allora Facoltà di Matematica (oggi Dipartimento) di via Saldini 50 a Milano, a lui dedicata.

Aula Oscar Chisini al Dipartimento di Matematica a Milano in via Saldini 50

Terzo figlio di una famiglia di origini nobili veneziane, Oscar Chisini nasce a Bergamo appunto il 14 marzo 1889.
Il padre era un militare in servizio permanente e la famiglia ne seguì le tappe della sua carriera e, dopo gli studi classici prima a Ravenna e poi a Bologna (all’epoca in Italia vi era un unico tipo di Liceo nel quale l’insegnamento del Latino e del Greco erano obbligatori), Oscar si iscrive all’Università a Bologna, prima a Ingegneria e poi passa a Matematica, dove sotto l'ala del grande Federigo Enriques si laurerà nel 1912.
Collaborando proprio col grande Federico Enriques, prima di partire volontario nella prima guerra mondiale, nel 1915, vede pubblicato il primo volume delle "Lezioni sulla teoria delle funzioni e delle equazioni algebriche", che avrà 4 volumi e diventerà nota come l’Enriques-Chisini.
I quattro volumi di questa monografia, iniziata appunto nel 1915 e terminata nel 1934 (I-1915, II-1918, III-1924, IV-1934), furono concepiti in quello che Chisini chiamava un modo peripatetico, cioè camminare sotto i portici di Bologna con Enriques che forse si fermava a scrivere sul pavimento con la punta dell'ombrello, tanto da far nascere in lui l'idea che "la geometria ti insegna come eseguire il ragionamento corretto sull'immagine sbagliata".
La sua collaborazione con il grande Enriques fu per Oscar molto importante, sia per la sua formazione scientifica che didattica, un grande alla cui morte, nel giugno del 1946, Chisini dedicò queste parole:

"Si è perduto, con la scomparsa di Federico Enriques, il matematico italiano che più si accosta ai grandi filosofi antichi per ampiezza di vedute e profondità di pensiero, si è perduto un maestro particolarmente generoso e affettuoso con i suoi allievi, un giudice acuto e imparziale, un uomo che, pur conscio del proprio valore, era modesto e, soprattutto, era buono: così la sua dipartita fu pianta da quanti veramente lo conobbero e molti ne rimasero sbigottiti, tanto che ancor ora non sanno persuadersi che tanta luce di pensiero sia spenta per sempre"  

La sua partecipazione alla guerra, come ufficiale dell'artiglieria alpina, gli fa interrompere questa sua collaborazione e rallentare la carriera, anche se, come la maggior parte dei matematici coinvolti direttamente nel conflitto, Chisini mette le proprie conoscenze a profitto nella soluzione di problemi militari e inventa e brevetta un telemetro logaritmico per la determinazione della quota degli aerei in volo mediante una proiezione bicentrale.
A guerra conclusa, conseguita la libera docenza nel 1918, ricoprì vari incarichi d'insegnamento nelle Università di Bologna e Modena e nel 1923 vinse il concorso per la cattedra di Geometria dell'Università di Cagliari, passando poi nel 1925 a quella di Algebra e Geometria analitica. 
Dopo essere passato, dal 1925, al Politecnico di Milano, nel 1929 Chisini fondò, assieme a Gian Antonio Maggi e Giulio Vivanti, l'Istituto di Matematica dell'Università degli Studi di Milano, e ne tenne la posizione di direttore dai primi anni trenta fino al 1959. 
Nel 1952 fece in modo che l'Istituto di Milano venisse dedicato alla memoria di Federigo Enriques e l'istituto di Matematica ha mantenuto tale nome anche dopo essere divenuto il Dipartimento di Matematica a partire dal 1982.
Chisini si impegnò molto nella didattica e nella divulgazione della matematica, scrivendo vari manuali universitari (in particolare "Lezioni di geometria analitica e proiettiva", di cui la prima edizione è del 1944) e testi per le scuole secondarie.
Fu uno dei principali contributori all'Enciclopedia Italiana e dal 1946 al 1967 fu direttore della rivista "Il Periodico di matematiche", organo della Società Mathesis e fu uno dei maggiori esponenti della scuola italiana di geometria algebrica.
Tra i suoi allievi, che furono anche validissimi professori negli anni in cui io frequentai la Facoltà (oggi Dipartimento) di Matematica, vanno ricordati Bruno de Finetti, Carlo Felice Manara, Modesto Dedò, Ermanno Marchionna e Cesarina Tibiletti Marchionna.
Come racconta proprio Carlo Felice Manara (Biografia, estratto dal "Periodico di Matematiche" ), Chisini univa spesso agli argomenti matematici delle sue lezioni, lunghi passaggi della Divina Commedia di Dante, dovuti alla sua dotta preparazione classica.
Uno dei suoi biografi, Eugenio Giuseppe Togliatti, evidenzia come l'attività di Oscar Chisini nelle scienze matematiche sia stata triplice: ricerca scientifica nel campo della geometria algebrica, ricostruzione originale di alto livello di teorie matematiche e coinvolgimento attivo nell'insegnamento della matematica. 
Fu proprio quest'ultimo a portarlo a riflettere sulla nozione di media, dandone infine una definizione originale nel 1929 che fu prima apprezzata e adottata dal suo allievo Bruno de Finetti e poi divenuta punto di riferimento in statistica come "media Chisini". 
Inoltre Oscar Chisini è internazionalmente conosciuto per i suoi lavori in Geometria algebrica tra cui l’introduzione del concetto di treccia caratteristica di una curva piana (Trecce di Chisini).
Sempre nell'ambito del suo lavoro di insegnante e divulgatore scrisse molti articoli e libri su vari aspetti della matematica elementare. 
Proprio sulla rivista "Il Periodico di matematiche" pubblicò importanti articolo: "Sul principio di continuità" (1956), una lezione espositiva sul principio di continuità nella geometria algebrica, a partire dalle idee di Keplero, "La superficie cubica (1957), una trattazione chiara ed originale delle principali proprietà delle superfici cubiche, presentandola come introduzione preliminare allo studio della geometria algebrica e "Isoperimetri" (1960) che contiene pensieri elementari sul problema isoperimetrico piano.
  
E così, dopo queste note biografiche, arrivo a parlare di quel secondo motivo per cui proprio in questo pi day parlo del grande matematico Oscar Chisini, vale a dire la sua teoria elementare degli isoperimetri, dove appunto pi greco è protagonista, "Sulla teoria elementare degli isoperimetri", che pubblicò in "Questioni riguardanti le Matematiche elementari" curato da F. Enriques (edited by Zanichelli, Bologna, 1914, 541-639) 

"Sulla teoria elementare degli isoperimetri"
 
Problema
Se si ha un pezzo di corda di lunghezza data, diciamo l, qual è la superficie più grande che vi può essere racchiusa?


Il problema facile da esprimere non è semplice da risolvere!
Analizziamo la disuguaglianza isoperimetrica nel piano 

Nota¹ sulla Superficie del cerchio - Immagine © Paola Gario

Ma si sa che π è più piccolo di 4, dunque l’area del cerchio è più grande dell’area del quadrato. 
L’area S del quadrato è minore dell’area del cerchio, 
S ⩽ l²/4π o anche che 4πS ⩽ l²
La disuguaglianza isoperimetrica dice che, qualunque sia la forma che la corda va a contornare, la superficie S che si ottiene verifica la disuguaglianza 4πS ⩽ l²

Immagine © Paola Gario

Il problema ha un enunciato duale, cercare il perimetro minimo che racchiude una data area, e i due problemi sono equivalenti.
Isoperimetri si diranno dunque le figure il cui contorno abbia ugual lunghezza ricordando che la parola "isoperimetri" è parola del linguaggio tecnico di origine greca (ἴσος = uguale, περί = intorno, μέτρον = misura). 

Nello spazio è la sfera che realizza il più gran volume e la disuguaglianza isoperimetrica si scrive:
36πV² ⩽ S³

Il problema ha una storia antica e viene fatto risalire al mito della fondazione di Cartagine nel 814 a.C. e alla sua regina Didone, come riporta Virgilio nell'Eneide (libro I, 365-369).

Didone fonda Cartagine - Dipinto a olio su tela (161 x 200 cm) di Giambattista Pittoni
 eseguito indicativamente nel 1720 e conservato nella collezione del Museo Nazionale
 Ermitage di San Pietroburgo, in Russia.

Collegato al problema isoperimetrico e molto simile, anche se immerso nel mito, è infatti il cosiddetto problema di Didone, legato alla fondazione di Cartagine. 
Didone fu la mitica fondatrice della città di Cartagine, della quale si hanno notizie da alcuni storici romani, anche se il resoconto più noto delle vicende che la videro protagonista è quello messo in poesia da Virgilio, che così ci racconta.
La principessa fenicia Didone (conosciuta anche come Elissa) fuggì con alcuni fedelissimi dalla città natale di Tiro dopo aver scoperto che il re Pigmalione (suo fratello) aveva assassinato suo marito Sicheo; dopo un lungo viaggio approdò sulle coste dell’Africa settentrionale (in Libia). Qui contattò il re locale Iarba per l’acquisto di un appezzamento di terra su cui costruire una nuova città ed  egli, per tutta risposta, le affidò una pelle di toro e le disse che poteva prendere tanto terreno quanto tale pelle potesse racchiuderne.

“Devenere locos ubi nunc ingentia cernis Moenia sergentemque novae Karthaginis arcem, mercatique, solum, facti de nomine Byrsam, taurino quantum possent circumdare tergo. Sed vos qui tandem? quibus aut venistis ab oris? quove tenetis iter?” 
("Giunsero ai luoghi dove ora vedi enormi mura e la nascente fortezza della nuova Cartagine e comprarono tanta terra quanto una pelle di toro potesse circondarne, per questo [il 'luogo fu chiamato'] Birsa² dal nome dell'accaduto. Ma voi chi mai siete? da quali spiagge veniste? dove volgete la rotta?")

Virgilio non descrive dettagliatamente come Didone risolse il problema della pelle di toro, tuttavia la tradizione tramanda che la principessa, senza perdersi d’animo, escogitò un astuto stratagemma per accaparrarsi un terreno quanto più vasto fosse possibile, includente la collina su cui costruire la rocca. Didone ordinò che la pelle fosse tagliata in listarelle sottili, le quali fossero legate insieme ai capi per formare una lunga corda.
Con tale corda, la principessa fece congiungere le rive dai lati opposti dell’altura, acquisendo così la proprietà della collina ed un comodo sbocco sul mare; inoltre viene specificato che Didone fece disporre la corda a forma di semicerchio in modo da racchiudere la maggior area possibile.

Ecco così spiegati l’origine ed il nome del problema di Didone:
Tra tutte le curve della stessa lunghezza aventi estremi su una retta assegnata, determinare quelle che delimitano con la retta la figura piana d’area maggiore.
e del suo “duale”:
Tra tutte le curve aventi estremi su una retta assegnata che delimitano con la retta figure piane della stessa area, determinare quelle che hanno lunghezza minore.

C’è una stretta correlazione tra il problema di Didone ed il problema isoperimetrico: infatti, se Γ è una curva che risolve il problema di Didone, allora la figura che si ottiene riflettendo rispetto alla retta assegnata quella determinata da Γ è necessariamente una soluzione di un problema isoperimetrico. Parimenti, se si taglia a metà con una retta una figura che risolve il problema isoperimetrico si ottiene una figura il cui bordo curvo è necessariamente la soluzione di un problema di Didone. 

Il matematico greco Zenodoro (ca. 200–140 a.C.)

Ma le prime congetture circa le soluzioni del problema hanno origine molto più antica e sicuramente precedente alla storia di Didone, anche se i primi risultati nella determinazione delle soluzioni sono da attribuirsi al matematico greco Zenodoro (ca. 200–140 a.C.) il quale, con ragionamenti di tipo geometrico sintetico, riuscì a dimostrare che il cerchio ha area maggiore di ogni poligono (regolare o no) avente lo stesso perimetro. 
Sebbene tale risultato fosse tutt’altro che completo, esso portò i geometri a formulare il cosiddetto teorema isoperimetrico classico:
Tra tutte le figure piane aventi lo stesso perimetro, il cerchio è quella d’area massima

Zenodoro è infatti noto come l'autore del trattato "Sulle figure isometriche", oggi perduto, ma fortunatamente, conosciamo molte delle sue intuizioni grazie al Libro V delle "Collezioni matematiche" di Pappo che riporta 14 sue proposizioni, citate anche nei "Commentari dell'Almagesto" di Teone di Alessandria. 

Le proposizioni più importanti da lui testate sono:

Di tutti i poligoni regolari di uguale perimetro, quello con l'area maggiore ha il maggior numero di angoli.

Un cerchio è più grande di qualsiasi poligono regolare di contorno uguale.

Di tutti i poligoni dello stesso numero di lati e perimetro uguale, quello equilatero ed equiangolare è l'area maggiore.

Di tutte le figure solide le cui superfici sono uguali, la sfera è la più grande nel contenuto solido.

Oscar Chisini dà un’esposizione profonda del problema prima nel piano, poi nello spazio, partendo  dagli antichi. 
Esamina i problemi isoperimetrici di Pappo e tratta una prima dimostrazione del teorema che si attribuisce a Zenodoro.  
Poi passa ai contributi moderni alla teoria elementare, evidenziando i nodi critici del passaggio rettilineo/curvilineo.
Esamina gli importanti contributi di Gabriel Cramer e di Jakob Steiner e, soffermandosi sul suo "metodo di simmetrizzazione" e sulle sue criticità, analizza il metodo della "dilatazione parallela" di Hermann Minkowski.

Le dimostrazioni classiche, comprese quelle di Steiner, hanno però una lacuna a cui gli sviluppi moderni dell’analisi superiore hanno dato soluzione. 
Esse ammettono l’esistenza di una figura di area massima tra quelle di dato perimetro (di un n-gono di area massima, piuttosto che di una curva di area massima). 
Le dimostrazioni classiche, secondo Chisini, possono essere "interpretate come procedimenti di trasformazioni che conducono a serie illimitate di figure convergenti verso una figura limite"
"Con ciò la teoria stessa potrebbe ritenersi esaurita; ma si affaccia naturale la domanda se gli stessi teoremi non possano rendersi indipendenti dall’esistenza del massimo [… ]. Ho potuto rispondere a questa domanda limitandomi all’uso di procedimenti affatto elementari ed euclidei, e presento quindi i risultati così ottenuti come a coronamento dell’edificio".



Non mi dilungo nella spiegazione ma lascio il link a un'esauriente trattazione dello stesso Oscar Chisini per l'Enciclopedia Italiana (1933) riportata da Treccanitratta dal suo capitolo "Sulla teoria elementare degli isoperimetri",  in "Questioni riguardanti le matematiche elementari" di F. Enriques (parte 3ª, Bologna 1927, pagine 201-310).



Note

¹ La superficie del cerchio, come noto, equivale a πr² ed essedo r=l/2π si ha:
Sup = π(l/2π)²= πl²/4π²= l²/4π 
² La zona ricevette il nome di Birsa (che in greco significa 'pelle' o 'cuoio' ), dal sostantivo 'pelle' (per l'appunto 'byrsa'), che era, se così si può dire, il nome del fatto, ossia il termine centrale che indicava cosa era accaduto. 



 

sabato 6 febbraio 2021

Shannon il giocoliere della Scienza

 "Shannon ha fatto per la scienza del computer ciò che Einstein ha fatto per la fisica"

Claude Shannon, il matematico monociclista giocoliere che ha trasformato l'"informazione" da un'idea vaga in un concetto preciso che sta alla base della rivoluzione digitale.

Il tema Carnevale della Matematica tenuto dai Rudi Mathematici, mi ha dato lo spunto per parlare di Claude Elwood Shannon (Petoskey, 30 aprile 1916 – Medford, 24 febbraio 2001) che è stato un ingegnere e matematico statunitense, con una ben meritata reputazione di "padre del digitale", la tecnologia oggi dominante e veramente onnipresente, ma anche appassionato giocoliere.
Tra le sue passioni e i suoi molti hobbies, c'era quello per la giocoleria ed è noto come stupisse, correndo per i corridoi dei Bell Labs con un monociclo lanciando in aria palline da giocoliere.


Claude Shannon su monociclo - Foto ©  famiglia Shannon

Gli strumenti di base della giocoleria sono la palla, l'anello e la clava. 
In generale i giocolieri si destreggiano con quasi tutto, ma le palle, di cui parlerò, sono le più facili da usare, anche se i giocolieri professionisti usano gli anelli e le clave più impressionanti, spesso infuocate.

Nonostante la sua natura divertente e giocosa, la giocoleria ha un lato scientifico più serio e il primo studio scientifico noto sulla giocoleria apparve nel 1903 quando Edgar James Swift pubblicò un articolo sull'"American Journal of Psychology" che documentava la velocità con cui gli studenti imparavano a lanciare due palline con una mano. 
Negli anni '40 fu fondata l'"International Jugglers Association" e negli anni '50 e '60 la giocoleria fu usata per confrontare le abilità di apprendimento generale.
Fu solo negli anni '70 che gli aspetti scientifici della giocoleria iniziarono a essere studiati seriamente.
In effetti, è stato proprio Claude Shannon ad avviare questa ricerca e a creare le prime macchine da giocoliere, formulando un teorema di giocoleria, costruendo una macchina robotica di giocoleria, con parti di un set di Erector, programmandola per destreggiarsi tra tre palline di metallo facendole rimbalzare contro un tamburo, e diventando così una specie di giocoliere accademico.

Macchina robotica di giocoleria di Shannon - Foto © Mark Ostow

Questa sua passione, a cui si dedicò con metodo scientifico, è anche una testimonianza della convinzione di Shannon che qualsiasi cosa potesse  essere oggetto di una seria analisi matematica.  

Giocoleria a parte, il nome di Claude Elwood Shannon è sicuramente molto più importante, per la nostra era digitale, di nomi famosi come quelli di Bill Gates o Steve Jobs, in quanto è stato l'artefice di ciò che noi oggi conosciamo come la rivoluzione digitale tanto che si dice che "Shannon ha fatto per la scienza del computer ciò che Einstein ha fatto per la fisica".
John von Neumann, Alan Turing e molti altri innovatori ci hanno fornito computer in grado di elaborare le informazioni, ma è stato Claude Shannon a darci il concetto moderno di informazione, con un salto intellettuale. 
Shannon è noto infatti per aver fondato la teoria informatica con un documento fondamentale, "A Mathematical Theory of Communication", che pubblicò nel 1948, quando era un ricercatore di 32 anni presso i Bell Laboratories.

Non molto tempo dopo la sua nascita, il 30 aprile 1916, divenne chiaro che Claude Shannon sarebbe diventato un grande inventore. 
Da giovane, aggiustava le radio dei vicini o trasformava le recinzioni di filo spinato in una linea telegrafica, attraverso la quale comunicava con un amico.
Nel 1936, dopo due lauree di primo livello in matematica e ingegneria elettronica si distinse subito per le sue doti di matematico.
Interessandosi fin dall’inizio all’algebra di Boole e alla trasmissione dei segnali, fondò la teoria della progettazione di circuiti digitali nel 1937, quando a soli 21 anni, da studente universitario al Massachusetts Institute of Technology (MIT), scrisse la sua tesi dimostrando che le applicazioni elettriche dell'algebra booleana potevano costruire qualsiasi relazione numerica logica.
La tesi evidenziava come i simboli di George Boole potessero essere utilizzati come una sequenza d’interruttori "accesi" o "spenti" (on/off) e come l’aritmetica binaria (stringhe di "0" e "1") potesse essere applicata ai circuiti elettrici.
Quello che immaginava era un computer costruito con circuiti elettrici invece che con motori, attingendo all'algebra booleana che, con parole più semplici, assegna il valore di "1" alle dichiarazioni "vere" e il valore di "0" a quelle "false", applicando quindi il valore di "1" per circuito acceso, e il valore della "0" al circuito spento, facendo nascere, con questo metodo semplice e geniale, il metodo digitale.
In questo studio Shannon dimostrò infatti che il fluire di un segnale elettrico attraverso una rete di interruttori (cioè dispositivi che possono essere in uno dei due stati) segue esattamente le regole dell'algebra di Boole, se si fanno corrispondere i due valori di verità (Vero e Falso) della logica simbolica allo stato Aperto o Chiuso di un interruttore. 
Pertanto, dimostrando che un circuito digitale può essere descritto da un'espressione booleana, la quale può poi essere manipolata secondo le regole di questa algebra, Shannon definì un potente metodo, ancora oggi usato, per l'analisi e la progettazione dei sistemi digitali di elaborazione dell'informazione.

Claude Shannon ai Bell Labs davanti al calcolatore analogico.
Concepito da Bush e dai suoi studenti alla fine degli anni '20 e completato nel 1931,
 l'analizzatore differenziale era un computer analogico - Foto © MIT museum

Potremmo definire proprio questa scoperta come l'anello di congiunzione tra il mondo analogico e quello digitale, tanto che lo stesso Howard Gardner definì la tesi di Shannon "forse la più importante, e anche la più nota, tesi di master del secolo".
Shannon ha così aperto la strada al campo della teoria informatica, che affronta la questione di come quantificare le informazioni, in "bit" e "byte", dato che per esprimere le informazioni in un "bit", si utilizza una cifra binaria, un "1" o uno "0", e che queste cifre binarie possono descrivere qualsiasi cosa, dalle parole alle immagini, dalle canzoni ai video o al software di gioco più sofisticato.
Con la più elegante semplicità, Shannon aveva mostrato che tutti questi tipi di media potevano essere espressi allo stesso modo, con un concetto veramente innovativo che ha cambiato per sempre la comunicazione elettronica.
Gli anni '80 vedranno l'ascesa del personal computer ma il declino personale di Shannon, che lasciò il MIT nel 1978 e a cui, alla fine, fu diagnosticato il morbo di Alzheimer.
Shannon entrò in una casa di cura nel 1993 e anche se furono proprio i contributi di Shannon a rendere possibile Internet, per una crudele ironia della sorte, proprio quando la rivoluzione di Internet iniziò a cambiare il mondo moderno, Shannon cadde nella demenza. 
Morì nel febbraio 2001, lasciando dietro di sé un'influenza su tutto, dai telefoni cellulari al mondo cibernetico, alla TV ad alta definizione...



La cavia meccanica dei Bell Labs, il topo chiamato Teseo - © Nokia Corporation

Come ricordavo Shannon era anche un uomo pieno di hobbies ed un inventore originale che, in quella che lui chiamava la sua "stanza dei giocattoli", progettò una vasta gamma di aggeggi e diede vita, tra l'altro, a un topo meccanico (Teseo, dalla leggenda del Minotauro) che era in grado, grazie a un dispositivo magnetico, di muoversi all'interno di un labirinto modificabile e di trovare un pezzo di formaggio.
La cavia meccanica dei Bell Labs, il topo chiamato appunto Teseo, è considerata la prima macchina capace di apprendere autonomamente, il prototipo di un nuovo sistema di comunicazione in cui il labirinto è il campo dal quale trarre gli insegnamenti necessari per la propria autonomia di movimento e può essere considerato quindi uno dei primi algoritmi che "imparavano" dall’esperienza fatta, insomma un precursore dell’intelligenza artificiale.

Claude Shannon insieme alla moglie Betty Moore Shannon
la sua più stretta collaboratrice -  © Andrew e Peggy Shannon

Detto per inciso, era anche molto amato dalla mia mamma, "scientifica" giocatrice alla roulette, perché, come lei, Shannon frequentava i Casinò e infatti aveva l’abitudine di passare i weekend a Las Vegas, con la moglie Betty Moore Shannon, applicando varie teorie alla roulette o al tavolo da blackjack.
Progettò anche un computer indossabile, che utilizzò proprio per scopi di gioco d'azzardo, facendo viaggi redditizi a Las Vegas anche insieme a Edward O. Thorp, il matematico del conteggio delle carte e autore di "Beat the Dealer", una sorta di Bibbia per tutti i giocatori di blackjack.

Uno dei primi modelli della statua dedicata a Shannon 
con l'iscrizione della sua equazione - © Eugene Daub

Ma tornando alle "palle", all'inizio degli anni '80, Shannon pubblicò il primo teorema matematico formale della giocoleria, correlando la durata del tempo in cui le palline sono in aria con la durata di ciascuna pallina nella mano del giocoliere. Il suo teorema ha così dimostrato l'importanza della velocità della mano per una giocoleria di successo.
Da allora molti matematici sono stati affascinati dalla giocoleria: 
"Penso che sia una questione di dare un senso all'ordine che è negli schemi di giocoleria", ha detto Jonathan Stadler, un professore di matematica alla Capital University in Ohio, che ha iniziato a fare giocoleria da adolescente. "Ha a che fare con la comprensione di come le cose si susseguano"

I vincoli fisici che influenzano la maestria e limitano il numero di oggetti manipolati derivano ovviamente dalla gravità e ogni palla deve essere lanciata sufficientemente in alto per dare al giocoliere il tempo di affrontare le altre palle. 
Così che la necessità di velocità o l'altezza aumenta rapidamente con il numero di oggetti manipolati.
Questi vincoli temporali sulla giocoleria sono proprio riassunti dal teorema di Shannon che definisce le relazioni che devono esistere tra il tempo in cui le mani sono vuote o piene e il tempo che ogni pallina trascorre in aria.
Shannon ha presentato i suoi teoremi in un articolo che ha scritto negli anni '80 dal titolo "Scientific Aspects of Juggling" in cui fornisce le prime basi matematiche della giocoleria.

Shannon apre l'articolo con un dialogo tratto da "Lord Valentine's Castle", il romanzo di fantascienza di Robert Silverberg ambientato nel lontano pianeta di Majipoor, e, prima di passare agli aspetti matematici, sottolinea l'importanza che, nel leggere questo suo articolo, le persone "cerchino di non dimenticare la poesia, la teatralità e la musica della giocoleria".
Prosegue quindi, nell'arco di circa due pagine, viaggiando per oltre 4.000 anni e coprendo una gamma considerevole di cenni popolari e culturali della giocoleria. 
Sin dai tempi antichi, la giocoleria è stata considerata principalmente una forma di intrattenimento e il suo tour storico si apre con la prima raffigurazione conosciuta di giocoleria, che proviene dalla tomba di un principe egizio del Medio Regno (1994-1781 a.C.) in cui quattro donne lanciano tre palle ciascuna. 

Prima rappresentazione di giocoleria - Immagine da Scientific Aspects of Juggling

Da lì si parte per l'isola polinesiana di Tonga, con il marinaio-avventuriero Capitano James Cook e lo scienziato Georg Forster
L'anno era il 1774 e Forster osservò, in "A Voyage Round the World", che i tongani avevano un talento per mantenere più oggetti sospesi nell'aria in sequenza. 
Shannon cita anche l'osservazione di Forster di una ragazza che, "vivace e disinvolta in tutte le sue azioni, giocava con cinque zucche, delle dimensioni di piccole mele, perfettamente sferiche. Le lanciava in aria una dopo l'altra continuamente e non mancava mai di catturarle tutte con grande destrezza, almeno per un quarto d'ora".
Si ritorna quindi sulla terraferma e a un'altra ragazza, protagonista nel 400 a.C., al banchetto di Senofonte e Socrate, che, vedendo la giovane donna destreggiarsi tra dodici cerchi in aria, è stupito nell'osservare: 
"L'impresa di questa ragazza, signori, è solo una delle tante prove che la natura della donna non è davvero inferiore a quella dell'uomo, tranne che nella sua mancanza di giudizio e forza fisica."
Un giudizio, che non fa certo annoverare Socrate tra i femministi ante litteram e di cui Shannon, forse, ne mette in dubbio anche la capacità visiva.
La ragazza infatti, giocando con dodici cerchi, avrebbe detenuto il record mondiale per il maggior numero di oggetti manipolati contemporaneamente e su questo fatto Shannon è disposto a concedere a Senofonte e Socrate il beneficio del dubbio: 
"Chi potrebbe chiedere testimoni migliori del grande filosofo Socrate e del famoso storico Senofonte? Sicuramente potevano entrambi contare fino a dodici ed erano attenti osservatori".
Più avanti nell'articolo, Shannon rende più esplicito il caso delle giocoliere, precisamente due che ha scelto per una menzione speciale: Lottie Brunn, "la giocoliera donna più veloce del mondo" protagonista nel circuito europeo degli anni '20, e Trixie Firschke, la "first lady dei giocolieri", una star tedesca nata in una famiglia di cistercensi di Budapest.
Così, iniziando dall'antico Egitto e passando per l'ibrido del menestrello medievale di "giocoleria, magia e commedia", Shannon finisce nel mondo degli spettacoli di varietà del ventesimo secolo e dei loro protagonisti che hanno ispirato una generazione di ragazze e ragazzi, incluso il giovane Claude Shannon, a terrorizzare i loro genitori con l'intento di voler scappare per unirsi al circo.

Enrico Rastelli, giocoliere bergamasco, 
in uno dei suoi più famosi numeri di scena

Conclusa la lezione di storia, passa a un'indagine più seria: come comprendere la psiche di un giocoliere e la pratica della giocoleria?
In questa analisi Shannon considera due tipologie di giocolieri: giocolieri delle prestazioni e giocolieri tecnici, dove i tecnici si destreggiano in un gioco di numeri, una corsa al maggior numero di oggetti manipolati.  
Tra questi ha dato molto spazio a uno dei più grandi tecnici del mondo, Enrico Rastelli, in grado di tenere dieci palline in aria contemporaneamente, e di cui la rivista Vanity Fair disse a elogio: 
"Nella sua devozione ventennale al suo mestiere questo figlio d'Italia elevò la giocoleria, probabilmente per la prima volta, a ciò che era inconfondibilmente un'arte."
Rastelli e i giocolieri tecnici sono quelli che hanno maggiormente interessato Shannon  e, da allora, i matematici, dando loro la possibilità di organizzare con numeri e formule implicite la ricerca di gestire un numero sempre crescente di oggetti.  

Si arriva così alla parte strettamente matematica che Shannon introduce con un riferimento al Jazz.
Non deve sorprendere in quanto il suo amore per la giocoleria è stato superato solo dal suo amore per la musica, e quindi apre la sezione matematica con un riferimento al batterista Gene Krupa, che sosteneva che "Il ritmo incrociato del 3 contro 2 è uno dei più seducenti conosciuti." e che per Shannon era utile per un'introduzione alla matematica della giocoleria. 
Il modello tre contro due è infatti lo schema con cui la maggior parte delle persone impara per la prima volta a destreggiarsi: tre palline in due mani.

Osservando i movimenti di un giocoliere ciò che emerge è una serie di parabole prevedibili; una palla lanciata in aria produce un arco, più palle, più archi. 
Non resta che combinarli in uno schema coerente, impostato su un ritmo, ed è così che Shannon affronta il problema della giocoleria, non solo come esercizio di coordinazione, ma come formula algebrica.
 
Così si presenta l'equazione di Shannon:
(F + D) H = (V + D) N

Le variabili che Shannon usa per formare i suoi teoremi sono:
D - il tempo di sosta (tempo che una palla trascorre in una mano tra quando viene presa e quando viene lanciata)
F - il tempo di volo (tempo che una palla trascorre in aria tra quando viene lanciata e quando viene presa)
V - il tempo libero tempo una mano è vuota tra il lancio di un oggetto e la presa del successivo)
H - numero di mani coinvolte
B - numero di palline giocate

Teorema 1

In una giocoleria uniforme: (F + D) / (V + D) = B / H o (F + D) H = (V + D) N
Cioè, il numero di palline e mani è proporzionale al tempo totale per ogni circuito di palline e ogni circuito di mani. 
Questo teorema è rappresentato schematicamente per la cascata di tre sfere in figura

Immagine © Juggling
Teorema 2

Se B e H sono relativamente primi (non hanno un divisore comune), allora c'è essenzialmente un unico giocoliere uniforme. Le palline sono numerate da 0 a B-1 e le mani da 0 a H-1 in modo tale che ogni pallina passa attraverso le mani in sequenza ciclica e ogni mano prende le palline in sequenza ciclica.

Teorema 3

Se B e H non sono primi relativamente e n è il loro massimo comune divisore, allora B = np e H = nq, dove p e q sono primi tra loro. In questo caso, ci sono tanti tipi di juggle quanti sono i modi di partizionare n in una somma di interi.

Di questi tre teoremi trovate la dimostrazione in  "Scientific Aspects of Juggling" dove Shannon spiega anche come abbia intrapreso e portato a termine con successo la sperimentazione.
Shannon ha infatti condotto una serie di esperimenti per misurare i vari tempi di permanenza, i tempi di assenza e i tempi di volo coinvolti nella giocoleria effettiva e ha chiamato il sistema che ha usato "Jugglometer".

tre schemi di base: a cascata, a doccia e a fontana - Immagine © Juggling

In sostanza, la giocoleria si riduce al semplice movimento del lancio, con ogni palla che segue un arco parabolico pulito mentre viene lanciata, tranne per il fatto che ci sono più palle che seguono percorsi intrecciati in schemi ripetuti periodicamente. 
Per un singolo giocoliere, ci sono tre schemi di base: 
- la cascata, in cui un numero dispari di palline viene lanciato da una mano all'altra
- la fontana, in cui un numero pari di palline si destreggia in due colonne separate
- la doccia, in cui tutte le palline vengono lanciate in cerchio. 
Un giocoliere più esperto potrebbe lanciare più di un oggetto da una sola mano contemporaneamente, una pratica nota come multiplexing.
Il modo in cui i giocolieri coordinano i loro arti per muoversi ritmicamente e con la stessa frequenza all'interno di questi vincoli è diventato un obiettivo primario nello studio del movimento umano. 

I ricercatori hanno preso in prestito concetti dalla teoria matematica degli oscillatori accoppiati [vedere "Coupled Oscillators and Biological Synchronization", di Steven H. Strogatz e Ian Stewart da Scientific American, dicembre 1993]
Il fenomeno chiave nell'oscillazione accoppiata è la sincronizzazione: la tendenza di due arti a muoversi con la stessa frequenza. 
Il particolare tipo di coordinazione mostrato dalle mani del giocoliere dipende dallo schema di giocoleria. 
Nella cascata, ad esempio, l'incrocio delle palle tra le mani richiede che una mano prenda alla stessa velocità con cui l'altra lancia. Anche le mani si alternano: una mano prende una palla dopo che l'altra ne ha lanciata una.
Il motivo a fontana, al contrario, può essere stabilmente eseguito in due modi: lanciando (e afferrando) le palle contemporaneamente con entrambe le mani (in sincronia) o lanciando una palla con una mano e afferrandone una con l'altra allo stesso tempo ( fuori sincrono). Teoricamente, si può eseguire la fontana con frequenze diverse per le due mani, ma quella coordinazione è difficile a causa della tendenza degli arti a sincronizzarsi.
La definizione dei vincoli fisici e temporali è un aspetto dell'analisi di giocoleria e un modello realistico deve anche incorporare almeno altri tre fattori complicanti. 
In primo luogo, l'oscillazione della mano del giocoliere non è uniforme, perché la mano è riempita con una palla durante una parte della sua traiettoria e vuota durante la parte rimanente. In secondo luogo, i movimenti di entrambe le mani sono influenzati dalle esigenze fisiche di lancio e ripresa accurati. Terzo, il tempismo tra le mani si basa su una combinazione di visione, sensazione e memoria.
Questi tre fattori rendono gli schemi di giocoleria intrinsecamente variabili, in quanto due lanci e due catture non sono esattamente gli stessi, ma l'analisi di questa mutevolezza fornisce utili indizi sulla strategia generale dei giocolieri per produrre uno schema solido che minimizzi la possibilità di errore.

Le variabili associate al lancio (angolo di rilascio, velocità di rilascio, posizione dei lanci, altezza dei lanci) sono quelle più strettamente controllate: i giocolieri tentano di lanciare le palle nel modo più coerente possibile, il cui tempismo deve obbedire al teorema di Shannon. 
Data l'altezza, una misura cruciale del tasso di giocoleria è il cosiddetto rapporto di permanenza, che è definito come la frazione di tempo in cui una mano tiene una palla tra due prese (o lanci). 
In generale, se il rapporto di permanenza è grande, la probabilità di collisioni in aria sarà piccola. Questo perché la mano mantiene la palla per un tempo relativamente lungo e quindi ha l'opportunità di lanciare con precisione. Se il rapporto di permanenza è piccolo, il numero di palline nell'aria mediato nel tempo è grande, il che è favorevole per apportare correzioni.

Divertente immagine di Claude Shannon in sella a un biciclo
 o velocipede - Foto ©  famiglia Shannon

Ci sono molte possibili combinazioni di lanci, quindi come fanno i giocolieri a decidere quali produrranno uno schema valido? 
Lo fanno per mezzo di un sistema di notazione matematica chiamato "scambio di sito" che collega ogni pallina lanciata a quanto tempo rimane in aria, descrivendola in termini di "battiti". 
Ad esempio, un tiro di una battuta significa che il giocoliere passa semplicemente la palla da una mano all'altra. 
Se la palla viene lanciata in aria, l'altezza che raggiunge determina quanto tempo impiega la palla a tornare nella mano del giocoliere: due battiti, tre battiti o più...Più battiti, più alta deve essere lanciata la palla per mantenere lo schema. Grazie alla disponibilità di strumenti di animazione online, un giocoliere può vedere come apparirà un determinato schema prima di tentare il trucco nel mondo fisico.

Qui non mi dilungherò oltre, lasciando, per la curiosità del lettore, il link a un articolo in cui tutti i processi, le dimostrazioni e le sperimentazioni sono spiegate in dettaglio 

Il "diorama" di giocoleria di Claude Shannon - Foto © MIT museum

Nel 1982 Shannon costruì il suo "diorama" di giocoleria no-drop in cui il display presenta tre clown animati, che ricordano tre grandi giocolieri: il russo Sergei Ignatov "il poeta della giocoleria", l'italiano Enrico Rastelli e la rumena Virgoaga, detentori all'epoca del titolo mondiale.
I tre si destreggiano con il loro numero record di oggetti di scena: Ignatov si destreggia con 11 anelli, Rastelli con dieci palline e "Virgoaga" con sette clave. 
I pagliacci si muovono come se stessero davvero facendo i giocolieri e Shannon, in un articolo scritto al riguardo nel numero di marzo 1982 della rivista "Juggler's World", disse:
"I più grandi giocolieri di tutti i tempi non possono sostenere i loro numeri per più di pochi minuti, ma i miei piccoli pagliacci si destreggiano tutta la notte e non fanno cadere mai un oggetto!"


I pagliacci che si destreggiano nel "diorama" - Foto © MIT museum

Fino all'arrivo di Shannon sulla scena, i matematici erano stati riluttanti a usare un passatempo come fonte di dati ed esperimenti e nessuna rivista scientifica aveva esplorato la matematica della giocoleria, ma da quel momento la giocoleria detiene un fascino estetico oltre che intellettuale per il matematico. 
"Il modo in cui mi sento quando guardo una bella equazione è lo stesso che provo quando guardo un bel modello di giocoleria", ha detto Burkard Polster della Monash University australiana, che ha scritto il libro sulla matematica della giocoleria nel 2002, "The Mathematics of Juggling". 

Concludo con una nota davvero giocosa, un simpatico video di uno spettacolo del febbraio 2015 di Federico Benuzzi, giocoliere e insegnante di Fisica e Matematica, che dimostra, come diceva Galileo, che "Il buon insegnamento è per un quarto preparazione e tre quarti teatro"