venerdì 26 gennaio 2018

Yiddish tango per ricordare

"non esiste il tango, esistono i tanghi e ognuno corrisponde a una data epoca"
(Osvaldo Rossler)

In occasione del 27 gennaio 2018, Giornata della Memoria, e anche con l'aiuto 'virtuale' di Moni Ovadia, Hain Burstin e Tiziana Piacentini (in arte Vittoria Maggio), vorrei parlare di uno di questi tanghi, il tango yiddish.
Il repertorio della canzone in lingua yiddish contiene un grande numero di tanghi e, come ricordava Moni Ovadia, nella prefazione al libro di Furio Biagini, 'Il ballo proibito - Storie di ebrei e di tango',  "una cultura diasporica e perseguitata non poteva essere insensibile al fascino del  'pensiero triste in forma di danza e canto', all’energia sottoproletaria e meticcia che aveva generato il mistero del tango."



Sempre da questa prefazione si legge che "questo libro di Furio Biagini, importante, bello ed avvincente, ci racconta la storia pressoché sconosciuta di una fatale attrazione fra gli esuli della yiddishkeit est-europea  e dell’ebraismo sefardita ed una danza-musica-canto che ancora oggi sa turbarci ed emozionarci"
Senza trascurare il fatto che lo stesso Moni Ovadia definì 'Yiddish tango', "una delle più belle canzoni yiddish che mi sia capitato di ascoltare"......"dopo averla ascoltata l’ho scelta come uno dei motivi da inserire nello spettacolo scritto a quattro mani con Roberto Andò. La cantava accompagnata dalla TeaterOrchestra la meravigliosa Lee Colbert che ha tutti i quarti di nobiltà per interpretare questo genere di canzoni, essendo un’ebrea Argentina di Buenos Aires con origini russo/polacche.
Il testo di questo tango non parla di amori perduti, è speciale ed è, come ha da essere, forte ed appassionato."


"Suonatemi un tango
Che sia razionalista o mistico,
Ma che possa capirlo anche la nonna
Suonatelo con ardore.
Rit. Suonate musicisti  suonate
Come lo può solo un cuore ebraico
Suonate la danza suonatela
Con anima e sentimento
Suonatemi un tango
Un tango della mia gente dispersa
Che possano capirlo anche i bambini
Suonate questa danza con ardore
Rit. Suonate musicisti…
Suonatemi un tango ebraico
Che non sia né ariano né barbarico
Che il nemico veda che posso ancora danzare
Che posso danzare con ardore. 



Yiddish Tango - Versione cantata da Olga Avigail con Tango Attack band: 
Hadrian Tabęcki - piano, Piotr Malicki - chitarra, Grzegorz Bożewicz - bandoneon

Nel maggio 2017 mi capitò di seguire un'interessantissima conferenza tenuta allo spazio Oberdan dallo storico Hain Burstin, professore ordinario di Storia moderna presso l’Università di Milano-Bicocca, che frequenta da molti anni il mondo rioplatense ed è attento osservatore e conoscitore del tango nelle sue diverse espressioni culturali.
Proprio da questa conferenza, arricchita dall'ascolto di molti brani musicali di tango yiddish, apprezzai queste composizioni e venni a conoscenza di cantanti, direttori, strumentisti, attori, impresari, insomma di quegli ebrei che hanno lasciato un segno nel mondo del tango: i fratelli Rubinstein, Rosita Montemar, la princesa del tango, Besprovan, violinista dell’orchestra Tipica Victor, Sucher, autore del bellissimo Prohibido, Bernstein, Schifrin, solo per citarne alcuni che avevo poi annotato. 
Scoprii così come fossero musicisti apprezzati, come magari si nascondessero dietro pseudonimi o come spesso fossero osteggiati dalle famiglie che vedevano questa promisquità con il tango come una perdita di identità ebraica e uno spreco dell’arte della musica, a cui avevano sempre tenuto, per tradizione. 
Insomma una dimensione del tango decisamente poco nota e a volte dai risvolti tragici come quelli del 'tango della morte',  'Plegaria' e tutti quei tanghi che venivano suonati nei campi di concentramento per accompagnare le visite degli ufficiali, i loro discorsi, o il viaggio verso i forni dei compagni.



Plegarja di Eduardo Bianco) - Orkiestra tangowa "Odeon",  
1930 Odeon (Polish pressing)


Una banda musicale di internati di Auschwitz
Spartito del compositore Rudolf Karel, rinvenuto ad Auschwitz

Questo perché i nazisti vedevano il tango, allora in voga insieme al Jazz, come una musica con meno probabilità di ispirare la ribellione. E dovevano suonare tanghi, in particolare il 'Tango della morte', come accompagnamento alle esecuzioni di massa.
Nella loro drammaticità questi sentimenti portarono alla luce numerosi capolavori musicali, che vennero composti proprio da quei musicisti.


 Spartito - Tango della morte

Durante le torture e le sparatorie nel campo di concentramento "Yanovskiy" (Leopoli), la musica suonava sempre. L'orchestra era composta da prigionieri, suonavano la stessa melodia "Tango of Death" e tra i membri dell'orchestra vi erano il professor del Conservatorio di Stato di Lviv, Shtriks, direttore dell'opera Mund e altri famosi musicisti ucraini. L'autore di questo lavoro è rimasto sconosciuto. 

Un breve brano del libro di Furio Biagini ci ricorda, come sostiene a ragione Osvaldo Rossler, che "non esiste il tango, esistono i tanghi e ognuno corrisponde a una data epoca"

“Quando il tango di Buenos Aires si diffuse nel Vecchio Continente entrò inevitabilmente a contatto anche con la cultura ebraica esteuropea e gli abitanti degli Shtetl lo adottarono, traducendolo in yiddish, come veicolo per esprimere il dramma della loro difficile vita. Persino durante gli anni della tragedia nazista, autori e compositori ebrei, rinchiusi nei ghetti o nei campi di sterminio, scrissero tanghi in giudeo-tedesco. … Naturalmente non si tratta di tanghi rioplatensi, però conservano ugualmente la nostalgia e il principio discepoliano di 'un pensiero triste che si balla'....."

Concludo questo breve viaggio nel tango yiddish aggiungendo le belle e interessanti considerazioni dell'articolo che Vittoria Maggio ha scritto per la sua rubrica 'Finché c’è tango c’è vita', a cui ho associato brani musicali.



Vittoria Maggio - Yiddish tango per ricordare
Un tango per il Giorno della Memoria
Il tango, il vero tango è sempre molto di più di chi ancora lo vede solo in uno spacco di gonna!
Buona lettura su un tema cruciale per l’umanità


'Finché c’è tango c’è vita' compie proprio in  questi giorni due anni di vita, quella vita che con umiltà e rispetto cerca di onorare attraverso il racconto del tango, questo strano ballo, unico a riuscirsi a confondere con la vita stessa, tanto da prenderne a volte il posto.

Tango e musica, arte, creatività e fantasia più in generale, a volte sono l’unico modo per esprimere e conservare identità, interiorità, spiritualità, radici anche quando sono ad alto rischio di sopravvivenza.
Questa settimana ricorre il Giorno della Memoria, quel ricordare ciò che per certi aspetti si vorrebbe dimenticare.
In quel terribile periodo, il tango ha ballato la sua tanda più difficile, quella ai confini tra vita, non vita, e morte.
Pochi conoscono il Tango Yiddish, e pochi  Musicalizador osano metterne qualche brano nelle serate di milonga. Suonarli di tanto in tanto aiuterebbe la memoria del 27 gennaio e contribuirebbe a ricordare uno dei valori più importante da difendere: la tolleranza nei confronti del diverso e la sua integrazione.

Il Tango Yiddish é un tango composto da musicisti ebrei negli anni trenta e quaranta, cantato in yiddish, la lingua giudeo-tedesca, quindi una lingua germanica che veniva parlata dagli ebrei originari dell’Europa orientale.
Tra gli immigrati in Argentina nelle prime decadi del ‘900  c’erano naturalmente anche ebrei e fu proprio in quel periodo che i loro tipici violini si mischiarono ai suoni nascenti del tango che anni più tardi videro la creazione dei tanghi yiddish più famosi.


Yiddish Tango - Timna Brauer & Elias Meiri Ensemble - ORF Live

Papirosen, che significa sigarette, è uno dei più celebri: scritto e composto da Herman Yablokoff nel 1935 a ricordo dell’occupazione tedesca di Grodno nella prima Guerra Mondiale  racconta  la storia di un venditore ambulante di sigarette, orfano di guerra che vende sigarette  in una notte fredda e nebbiosa. È molto bello se pur triste nelle note e nelle parole.



Papirosen - Scritto da Herman Yablokoff.
L'autore è stato ispirato a scrivere questa canzone dopo aver visto i bambini ambulanti durante l'occupazione tedesca di Grodno nella prima guerra mondiale. La versione attuale è in yiddish e russo e incorpora nuovi testi che sono stati aggiunti durante la seconda guerra mondiale. Descrive la vita quotidiana di un orfano ebreo cieco, che deve vendere sigarette e fiammiferi per sopravvivere ...

Il famoso My Yiddishe Mamme, dedicato a una delle tante madri di guerra, composto nel 1925, fu cantato in inglese, in russo, in yiddish e ripreso anche nel 2003 in francese dal grande Charles Aznavour


My Yiddishe Mamme versione in francese di Charles Aznavour

Durante l’Olocausto, il tango è diventato parte della vita dei ghetti e dei campi di concentramento:  i prigionieri avevano bisogno di avere una valvola di sfogo durante la loro tremenda giornata, e la musica poteva anche compiere questo miracolo.
Quindi il tango in yiddish fu il mezzo per esprimere le esperienze dei detenuti, le loro speranze, le sofferenze, le privazioni e il desiderio di libertà.
I nazisti permettevano questa musica non solo perché come il jazz era uno dei ritmi di moda in quegli anni: nei campi di concentramento costringevano le orchestre del campo , le Lager Cappellen, a suonare il Tango di Morte, per accompagnare i detenuti verso le camere a gas.


Tango della morte - l'orchestra del campo 
di concentramento "Yanovsky"

Un compositore ebraico ha scritto uno dei tanghi più conosciuti di questo periodo: si intitola “Friling” che significa Primavera, e fu  scritto da Shmerke Kaczerginski nell’aprile 1943, dopo la morte di sua moglie Barbara nel ghetto di Vilna; il brano, basato su una melodia di tango  esprime la tristezza e il senso di disperazione e solitudine dell’Autore.


Friling
I testi della canzone furono scritti da Shmerka Kocherginsky (1908-1954) nel ghetto di Vilnius nel 1943
 in memoria della moglie defunta nel ghetto.  La musica è stata scritta da Abraham Brudno. 
La canzone è eseguita dalla famosa cantante israeliana Hava Alberstein.


Il tango yiddish è in continua evoluzione, arriva sino ai giorni nostri…. se cominciate a navigare alla ricerca del tango yiddish, troverete questa parola che ricorre spesso: “tangele”. E’ il punto di incontro tra due potenti culture, cioè tra la canzone yiddish e il tango argentino.
“Tangele” è anche il titolo di un album del 2008 che un trio di musicisti (un vocalist, un violinista ed un pianista) ha dedicato alle canzoni, ai tanghi più importanti e conosciuti di quell’epoca.


Tangele ‎– The Pulse Of Yiddish Tango
Mastered by Scott Hull - Piano, Arranged by Gustavo Beytelman - 
Voice Lloica Czackis - Viola Juan Lucas Aisemberg

Esiste anche una pagina Facebook che si chiama Yiddish Tango Club, una band il cui leader è Gustav Bulgach, ebreo argentino, che ha dedicato ed ancor oggi dedica la sua arte e la sua musica alla miscela di danza ebraica conosciuta come Klezmer con il tango argentino.

L’anno scorso un altro gruppo di musicisti, un duo di fisarmonica e clarinetto, I Milongaires, sempre più interessati a divulgare il Tango yiddish, ha realizzato e prodotto un CD intitolato "Un tango per Auschwitz" dedicato a tutte le vittime della Shoah.


Album de I Milongaires - Tracce qui 

C’è un altro emblematico tango yiddish con cui mi piace concludere il nostro viaggio di oggi che si intitola  “Ich hob dich lieb”…. “Io ho amore per te”: chissà, finché  qualcuno avrà amore ancora per qualcun altro…… forse ancora vincerà la speranza!


The Barry Sisters - Ich hob dich zifeel lieb


E  come sempre buon Tango a tutti, a chi lo balla, a chi inizierà a ballarlo, a chi lo ascolterà oppure lo guarderà, a chi lo ama e a chi lo rifiuterà e male ne parlerà … A chi ha la voglia di  vivere!

Un abbraccio!



lunedì 15 gennaio 2018

Le Corbusier e la matematica

Whatsapp è davvero una grande invenzione e proprio con questo velocissimo sistema di connessione mi sono arrivate, in tempo reale, delle foto fatte da un amico a Marsiglia e, tra queste, quelle della "Cité Radieuse" del grande genio dell'Architettura Le Corbusier.
Perché parlarne in un blog dedicato essenzialmente alla matematica e non all'architettura?
Perché la matematica in fondo ha condizionato tutto il suo lavoro e nonostante il suo rapporto con la matematica non fosse dei migliori, almeno sotto l'aspetto formale, furono proprio i rapporti proporzionali e la geometria a dare alle sue creazioni l'armonia, la sobrietà e l'eleganza che le contraddistinguono. 


Marsiglia - © Annalisa Santi 2018

Non sono certo io la prima a fare queste considerazioni e il tema della visione matematica e geometrica nell'opera di Le Corbusier ha dato spunto a tesi di laurea, libri di divulgazione o scientifici fin dai primi anni della sua produzione.
Ma andiamo per gradi e, ricordando che tra il 2016 e il 2017 diciassette delle sue opere sono state aggiunte alla lista dei siti patrimonio dell’umanità dell'UNESCO con la motivazione "una testimonianza dell'invenzione di un nuovo linguaggio architettonico che segna una rottura con il passato", introduco alcune note biografiche del grande innovatore.
Parafrasando Don Abbondio "Le Corbusier chi era costui?"


Le Corbusier su una Fiat 508 S del 1934, più conosciuta come Balilla Coppa d’oro, carrozzeria disegnata
 da Mario Revelli, in cima al Lingotto Fiat di Torino (foto 1934) - © FLC-ADAGP

In effetti sotto questo pseudonimo (talvolta noto anche semplicemente come Corbu, tanto che con tale storpiatura, complice un gioco di parole con la parola corvo, in francese corbeau, usava firmare le sue lettere informali) si cela Charles Edouard Jeanneret Gris, nato in svizzera a La Chaux de Fonds (una delle capitali mondiali dell’orologeria) il 6 ottobre 1887 e morto a Roquebrune - Cap Martin il 27 agosto 1965 (dove si era rifugiato nel suo essenziale “cabanon” meno di dieci metri quadrati), "architetto", urbanista, pittore e designer, nonché scrittore svizzero naturalizzato francese.
Di sue biografie ne sono state scritte e se ne trovano a migliaia, qui ricordo molto sinteticamente solo alcuni momenti che ritengo essenziali e significativi per darne una efficace seppur sommaria visione.


Le Corbusier in cima al Lingotto Fiat di Torino (foto 1934) - © FLC-ADAGP

Perché "architetto" virgolettato?
Perché questo personaggio che ha rivoluzionato l’Architettura dal ‘900 in poi, non ha mai conseguito la laurea....e se ne vantava!
"Si je suis aujourd’hui un architecte possible, c’est que ma formation n’a pas été celle d’un architecte"
Anche se mi sembra giusto ricordare che una Laurea Honoris Causa in Architettura gli fu conferita in tarda età dall'Università di Firenze, il 7 giugno 1963.
Indirizzato all’arte e alla creatività dal padre orologiaio e dalla madre insegnante di musica, nel 1899 si iscrive alla Ecole Industrielle, ma segue anche dei corsi serali in preparazione all'esame d'accesso alla Ecole d'Art. Superato questo esame nel 1902, viene ammesso alla sezione di incisione ornamentale, dove impara la decorazione delle casse d'orologio, che frequenta dall'aprile del 1902 al giugno del 1905.
Questa sua abilità nella decorazione delle casse d'orologio è documentata anche dal diploma d’onore che ottenne per un suo orologio cesellato presentato all’Esposizione Universale di Torino nel 1902. 


Orologio 1902  e Vintage 1945 Le Corbusier 
In omaggio alla carriera di Le Corbusier come scultore e incisore, Girard-Perregaux ha dedicato questo orologio con il quadrante in madreperla, lavorata artigianalmente e montato su di una struttura di oro rosa a 18 carati - Prezzo 53.200 $ - © Annalisa Santi

Un orologio che rappresenta un grande esempio di stile e decorazione, con tratti riconducibili allo stile dell’Art Nouveau francese e tedesco, in cui si fondono, cesellati al "feroce" (come lui lo definiva) bulino, elementi geometrici con quelli naturalistici, derivati anche dal fatto che la sua formazione fu seguita da Charles L'Eplattenier, che gli trasmise certamente il suo forte legame con il decorativismo dell'Art Nouveau.
Curioso il modo in cui, alla scuola d’arte, il pittore e architetto Charles L’Eplattenier, soleva tenere le sue lezioni. Faceva passeggiare gli studenti per i boschi del Massiccio del Giura e li esortava a disegnare tutto ciò che osservavano. 
Le Corbusier riempì così migliaia di pagine di schizzi e disegni, che poi saranno le basi delle idee per i suoi progetti futuri.
Il suo primo progetto nacque dalla collaborazione con l’architetto René Chapallaz per la realizzazione di Villa Fallet e, grazie al denaro guadagnato, dal 1906 incominciò a viaggiare per l'Europa.
Viaggi che sicuramente contribuirono alla sua formazione e in cui Le Corbusier rimase affascinato dal rinascimento e dal barocco italiano, da città come Praga, Vienna, Budapest ed Atene e dove incontrò anche progettisti di rilievo come Walter Gropius, Mies van der Rohe, Tony Garnier da cui, con le sue proposte di una Cité Industrielle, deriveranno le sue idee urbanistiche e "sociali", e  Adolf Loos, l’autore di “Ornamento e Delitto” il propugnatore del Raumplan (casa con la spazialità interna sfalsata su vari livelli) che ispirerà la sua Unité d'Habitation.


Le Corbusier, Chiesa del Redentore alla Giudecca, Venezia. Dall’Album La Roche, 1924 - © FLC-ADAGP

Come ricordato non era laureato e per la realizzazione dei suoi progetti si avvalse sempre di  studi di architettura con validi architetti e ingegneri.
Nel 1917 si stabilisce a Parigi e, lavorando per l’architetto Auguste Perret, celebre per la ricostruzione del centro di Le Havre, oggi anch'esso patrimonio dell’UNESCO, che gli trasmette la passione per il cemento armato, avviene la svolta che, con un cammino faticoso ma inarrestabile, lo farà divenire il personaggio simbolo del Movimento Moderno
Durante questa fase di apprendistato da Perret, Le Corbusier mostra anche una straordinaria ed inedita attenzione per gli aspetti strutturali dell'architettura e, lavorando sia a Berlino che a Parigi, ebbe modo di approfondire fra l'altro il suo interesse per la pittura moderna e tenne una mostra con Amédée Ozenfant presso la galleria Druet.
Oltre alla pittura, si dedicherà in seguito alla scultura e al design, con la realizzazione di alcuni tra i modelli di sedia più famosi, come la Chaise Longue  o il Grand Confort.


Opere di design di Le Corbusier
© L’Italia di Le Corbusier - MAXXI-Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo 
Roma, 18 ottobre 2012 – 17 febbraio 2013 

Interrotta nel 1920 la collaborazione con Auguste Perret, apre quindi uno studio sempre a Parigi, al 35 di Rue de Sèvres, con il cugino Pierre Jeanneret, dopo un progetto imprenditoriale fallito, e fonda la rivista d'arte "Avant-garde e L'Esprit Nouveau" assieme con Amédée Ozenfant e Paul Dermée, che usa per promuovere le sue teorie in fatto d'arte e le sue iniziative, ed è proprio in questa occasione che nasce lo pseudonimo Le Corbusier¹. 
Nel 1923 pubblica “Vers une Architetture”  il libro d'architettura più importante della prima metà del secolo scorso.
Non solo un testo di architettura ma quasi un proclama politico, un esplosivo manifesto in cui sostiene che l'impegno nel rinnovamento dell'architettura può sostituire la rivoluzione politica, realizzando di fatto la giustizia sociale.
Nel libro tratta di tre dei suoi famosi "cinque punti di una nuova architettura", i pilotis, i tetti-giardino e la finestra a nastro, a cui si aggiungeranno, qualche anno dopo, la facciata libera e la pianta libera. 
Sono i famosi "cinque punti di una nuova architettura" applicati con intenti teorematici in una delle opere più importanti del razionalismo architettonico, Villa Savoye  a Poissy, non lontano da Parigi, costruita tra il 1928 e il 1931, e probabilmente l’edificio più famoso del Movimento Moderno e in particolare del cubismo architettonico:
- i "pilotis", cioè i pilastri che sorreggono un edificio e lo isolano dal terreno
- il "toit terrasse", cioè il tetto a terrazza, con giardino e piscina
- la "fenêtre en longueur" (o finestra a nastro), che taglia la facciata della casa in lunghezza, rendendo l’interno luminosissimo
- la "façade libre", cioè la facciata libera, senza schemi prestabiliti
- la "plan libre", cioè la pianta dell’edificio libera

Villa Savoye tutte le immagini

Sempre in quegli anni scrisse un importante libro sui problemi connessi alla progettazione della città, "La Ville Radiouse", che venne pubblicato nel 1935.
Progetti che realizzerà più tardi dopo essersi trasferito, nel 1946, a New York dove il suo genio innovatore fu definitivamente riconosciuto e dove Le Corbusier avrà modo di sviluppare l'idea dell'Unité d'Habitation, sulla quale stava lavorando appunto da circa 15 anni.  
Tornato a Parigi rivoluzionerà il suo tradizionale atelier e nell'aprile 1947 fonderà l'ATBAT (acronimo per Atelier des Batisseurs), dal quale è escluso il cugino Pierre. 
Altra grande rivoluzione avverrà quando Le Corbusier, nel febbraio del 1951, parte per il suo primo viaggio in India come consulente del Governo del Punjab per la realizzazione della nuova capitale Chandigarh, e sempre in quell'anno è invitato a un convegno a Milano, evento collaterale della Triennale, dove a conclusione della conferenza fu creato un Comitato Internazionale di Studio sulle Proporzioni nelle Arti, che elesse Le Corbusier come presidente. 


Le Corbusier spiega le proporzioni del Modulor durante la IX Triennale di Milano nel 1951 - © FLC-ADAGP

Riceve quindi, nel 1952, la Legione d'Onore nell'occasione dell'inaugurazione della prima Unité d'Habitation, quella di Marsiglia, a cui seguiranno l'inaugurazione della Cappella di Notre-Dame du Haut e del primo edificio del celebre Campidoglio di Chandigarh
Considerata a lungo strana e brutta, oggi la Cité Radieuse è stata rivalutata e ospita una ricchissima attività culturale.
Due anni prima della morte, avvenuta il 27 agosto 1965 a Roquebrune, in Costa Azzurra, colpito da crisi cardiaca mentre stava nuotando in mare, gli verrà conferita la Laurea Honoris Causa in Architettura da parte dell'Università di Firenze.


Le Corbusier sul tetto del cantiere dell'Unité d'Habitation de Marseille, 1947 © FLC/ADAGP 
Tetto dell'Unité d'Habitation de Marseille, 2018 © Annalisa Santi 2018

Insomma condensare una bibliografia di un così poliedrico genio in poche righe è davvero ardua impresa e di tantissimi altri progetti e realizzazioni si dovrebbe parlare, che lascio invece alla curiosità del lettore (Fondation Le Corbusier). 
Qui, come detto, mi soffermerò sull'aspetto "matematico" legato fortemente alla sua opera e soprattutto al Modulor e all'Unité d'Habitation.

Il Modulor
Le due scale, rossa e blu, del Modulor di Le Corbusier dove i numeri sono espressi in millimetri

Il Modulor è per Le Corbusier 

"Una gamma di misure armoniose per soddisfare la dimensione umana, applicabile universalmente all'architettura e alle cose meccaniche"

Idea molto simile a quella di Protagora (filosofo greco del V secolo a.C.) secondo il quale "l’uomo è la misura di tutte le cose", con queste parole Le Corbusier definisce il Modulor, un’unità di 226 centimetri alla quale dedica “Le Modulor” pubblicato nel 1948 e “Modulor 2” nel 1955.
Le Corbusier menziona in "Le Modulor" le antiche misurazioni relative al corpo umano, quando evocava gli "strumenti" usati dai costruttori egiziani, caldeani o greci:

"....erano eterni e duraturi, preziosi perché erano collegati alla persona umana. I nomi di questi strumenti erano: gomito (cubito), dito (cifra), pollice (pollice), piede, passo e così via. 
Diciamolo subito: formavano parte integrante del corpo umano, e per questo motivo erano adatti a servire come misure per le capanne, le case e i templi che dovevano essere costruiti" 

Il termine Modulor deriva dalle parole francesi module (modulo) e or (section d'or). 
Si tratta di una "griglia proporzionale" basata su due scelte fondamentali, una di tipo matematico, una di tipo antropomorfo. 
Quest'ultima porta Le Corbusier ad associare alcune delle misure della griglia a misure del corpo umano, e ad assumere come valore di riferimento 183 cm., altezza di un uomo ideale.
L’idea è che lo spazio e gli oggetti devono accordarsi armoniosamente alla figura umana. 
La scelta di tipo matematico consiste nel considerare lunghezze tali che il rapporto tra due consecutive sia φ il numero d'oro (Il prezioso gioiello irrazionale)  
Indicando con a, b, c, d,.. grandezze successive si ha:  
b/a=c/b=d/c=.....= φ (phi, φ,  dal nome del matematico Leonardo Pisano detto Fibonacci che ne fece oggetto di studio)
e
c=a+b, d=b+c,..... 
Anche se queste seconde uguaglianze non sempre sono esatte, operativamente, cioè nella pratica della costruzione architettonica, possono essere accettate come vere. 


Parallelo tra la Serie di Fibonacci e le scale del Modulor

Tale rapporto è matematicamente definibile dalla proporzione 
a:b=b:(a-b)
dove, dato un segmento a, si definisce sezione aurea b, il medio proporzionale tra l'intero segmento a e la parte rimanente (a-b), che vale appunto φ. 
Tra le numerosissime proprietà ha quella di dar luogo ad una successione di quantità in cui ciascuna è somma delle due precedenti e tende, al procedere nella successione, ad assumere φ come rapporto tra due contigue 
La successione dei numeri considerata da Le Corbusier è una successione dunque che segue la legge dei numeri della serie di Fibonacci.
Così come Fibonacci costruisce la sua serie con i numeri:
F1 = 1 F2 = 1 F3 = 2 F4 = 3 F5 = 5 F6 = 8 F7 = 13 F8 = 21 F9 = 34 F10 = 55, ....
con φ = (√5 + 1)/2  = 1,618033989..... (numero irrazionale non periodico)

con φ = lim Fn+1/Fn              
                n→∞
Le Corbusier considera due scale di questo tipo, una ottenuta partendo da un quadrato di lato 113.
Da 113 deriva la sezione aurea pari a 70 (69,8) e inizia così una prima serie, che chiama rossa, con i numeri:
F1 = 4 F2 = 6 F3 = 10 F4 = 16 F5 = 27 F6 = 43 F7 = 70 F8 = 113 F9 = 183 F10 = 296.... 
L'altra serie, che chiama blu, la ottiene partendo da un rettangolo 113x226.
Da 226 deriva la sezione aurea 140 (139,7) e inizia così questa seconda serie con i numeri:
F1 = 13 F2 = 20 F3 = 33 F4 = 53 F5 = 86 F6 = 140 F7 = 226 F8 = 366 F9 = 592 .....




Le Corbusier considera due scale, una ottenuta partendo da un quadrato di lato 113, scala rossa
e una partendo da un rettangolo 226x113, scala blu 

Il numero 226 (113x2), è preso come misura dell'uomo in piedi con il braccio alzato. 
In questo modo viene associata alla determinazione aritmetica dei successivi termini, la costruzione geometrica effettuata partendo rispettivamente dal quadrato e dal rettangolo, così come risulta anche dai disegni con cui Le Corbusier spiegava agli allievi il suo modulor.
In pratica, il Modulor rappresenta un uomo alto circa 183 cm e con un braccio alzato (altezza totale = 226 cm) inserito in un quadrato.
- il rapporto tra la statura dell'uomo (183 cm) e la distanza dall'ombelico al suolo (113 cm) è pari a φ
- l'altezza totale (226 cm), compreso il braccio alzato, è divisa dal livello del polso dell'altro braccio secondo il rapporto aureo φ (140 cm / 86 cm)
- i due rapporti 113 cm /70 cm (serie rossa)  e 140 cm / 86 cm (serie blu) sono ulteriormente suddivisi in dimensioni minori secondo appunto le regole della serie di Fibonacci (essendo ciascun numero uguale alla somma dei precedenti)
Ma ciò che conta, in definitiva, è che la ricorrenza dei valori permette un'infinità di combinazioni e quindi di applicazioni sia in architettura che in design.


Le Corbusier cancellò con un deciso segno rosso le espressioni del passato
 Schizzo del 1930 -  © FLC-ADAGP

Il Modulor comunque si inserisce all'interno della lunga tradizione che parte da Vitruvio, arriva all'uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, ai lavori di Leon Battista Alberti e di tutti quei trattatisti che studiavano le proporzioni geometriche e matematiche del corpo umano per applicarle all’architettura con lo scopo di migliorare la bellezza e la funzionalità degli edifici.
Anche se, facendo una comparazione attraverso le proporzioni tra l'architettura e il corpo umano, Le Corbusier evidenzia la sua discendenza dalla Grecia classica  e dagli artisti del Rinascimento, per quanto riguarda l'immagine architettonica cancellò con un deciso segno rosso, tracciato nel 1930, le espressioni del passato ricordando, oggettivamente, che queste erano "vivants et magnifiques à leur origine, ici ne sont plus che des cadavres".


Incontro tra Le Corbusier e Albert Einstein a Princeton nel 1946 - © FLC-ADAGP

"Il Modulor è una scala di proporzioni che rende difficile l’errore, facile il suo contrario" (Abert Einstein)
Un'ulteriore curiosità legata al Modulor è sicuramente l'importanza che Le Corbusier diede a un suo incontro con Albert Einstein.
Nel 1946 Le Corbusier incontrò infatti Albert Einstein a Princeton in occasione del viaggio a New York per presentare alle Nazioni Unite il suo progetto per la sede dell’ONU, che poi, per incomprensioni e dissapori, non venne approvato e fu invece realizzato da Oscar Niemeyer
Le Corbusier era fiducioso, "pieno di speranza, era giunta l’ora, finalmente di fare grandi cose in questo grande paese" e contava molto sull'approvazione del grande fisico.
Purtroppo l'incontro non ebbe l'esito sperato e, a proposito di quell’incontro con il grande scienziato, anni dopo Le Corbusier ebbe a dire:

"Ho avuto il piacere di discutere del Modulor per una certa durata con il professor Albert Einstein a Princeton. Stavo attraversando un periodo di grande incertezza e di stress; mi sono espresso male, ho spiegato il Modulor male, mi sono impantanato nella palude di causa ed effetto … A un certo punto, Einstein prese una matita e cominciò a calcolare. 
Stupidamente, lo interruppi, la conversazione si spostò su altre cose, il calcolo rimase incompiuto. L’amico che mi aveva portato era sprofondato nella disperazione. In una lettera scritta per me la sera stessa, Einstein ebbe la gentilezza di dire questo del Modulor: 
«È una scala di proporzioni che rende difficile l’errore, facile il suo contrario». 
Ci sono alcuni che pensano che questo giudizio sia ascientifico. Da parte mia, penso che sia straordinariamente perspicace. Si tratta di un gesto di amicizia da parte di un grande scienziato verso di noi che non siamo scienziati, ma soldati sul campo di battaglia. 
Lo scienziato ci dice questa arma spara dritto: in materia di dimensionamento, cioè di proporzioni, rende l’esecuzione del compito più certo."
( Le Corbusier, The Modulor, Harvard University Press, Cambridge 1954)

Non è sicuramente possibile rapportare la visione di Le Corbusier a quella di Einstein circa la natura dello spazio/tempo relativistico, ma la chiarezza compositiva e l’attenersi a proporzioni armoniche pone il metodo di Le Corbusier in accordo con quello che era la ricerca di semplicità da parte di Einstein e la convinzione che la teoria più semplice sia la più bella e la più vera. 
Collegabili entrambi al grande matematico, ultimo universalista, Jules Henri Poincaré che sosteneva che l’armonia e l’eleganza di una dimostrazione o di una soluzione sta nell’armonia delle diverse parti, nel loro equilibrio, ed è "tutto ciò che introduce un senso di ordine che dà unità, che ci mette in grado di vedere chiaramente e d’un solo colpo l’insieme e i dettagli, una soddisfazione estetica legata all’economia di pensiero".

L’Unité d’Habitation


La Cité Radieuse in costruzione 1948 - © FLC-ADAGP

Il Modulor implica anche un’architettura standardizzata, replicabile in serie, estremamente funzionale che darà origine all'Unité d'Habitation.
Il sistema "Modulor" del 1946 seguito dal "Modulor 2" del 1955, Le Corbusier lo applicò così in molti suoi progetti, come nella Unité d'Habitation a Marsiglia e nella città di Chandigarh in India. 
Per molti anni Le Corbusier aveva teorizzato su un suo progetto di edificazione di complessi abitativi che, sviluppandosi verticalmente, offrissero servizio di veri e propri villaggi. 
Concepiti per rispettare la vita individuale e familiare dovevano  nello stesso tempo fornire le strutture per una vita collettiva aperta alla socializzazione.
Qui ovviamente entrano in gioco anche concetti geometrico/volumetrici che, da lui ricreati, daranno ulteriore fascino ai suoi progetti.
Per lui la realtà ha una matrice geometrica e i nostri sensi e la nostra mente ne sono impregnati e già nel 1923, nel saggio "Verso una architettura" aveva scritto queste parole:

"L’Architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico, dei volumi assemblati nella luce. 
I nostri occhi sono fatti per vedere le forme sotto la luce; ombre e luci rivelano le forme; i cubi, i coni, le sfere, i cilindri o le piramidi sono le grandi forme originarie che la luce rivela; la loro immagine ci appare netta, tangibile, senza ambiguità. 
È per questo che sono belle forme, le più belle forme. Tutti concordano su questo, il bambino, il selvaggio, il metafisico.”

La "Cité Radieuse" situata al 280 di Boulvard Michelet, nell’VIII arrondissement 
di Marsiglia - © Annalisa Santi 2018



I "pilotis", uno dei suoi "cinque punti di una nuova architettura", cioè i pilastri che sorreggono 
la Cité Radieuse, isolandola dal terreno - © Annalisa Santi 2018

 Bassorilievi del Modulor nella Cité Radieuse di Marsiglia (1947-51) in cui viene usato per la prima volta


Bassorilievo del Modulor nella Cité Radieuse di Marsiglia (1947-51) in cui viene usato per la prima volta

L’Unité d’Habitation di Marsiglia (1947-51) è la prima realizzazione di questo progetto a cui seguiranno altre analoghe (se ne costruiranno altre quattro a Rezé-Nantes, Firminy, Briey e Berlino) ed è in questa Unità che viene usato per la prima volta il Modulor.
Tanto che nei vani scala di questi edifici sono spesso presenti bassorilievi che richiamano l’uomo del Modulor.
L'Unité d'Habitation de Marseille, conosciuta anche come Cité Radieuse, è un edificio civile di Marsiglia, progettato da Le Corbusier, in collaborazione con gli architetti André Wogenscky, Georges Candilis, Jacques Masson e l'ingegnere Vladimir Bodiansky.
Situato al 280 di Boulvard Michelet, nell’VIII arrondissement, tra mare e montagne, e localmente noto come "maison du fada" ("casa del matto"), il complesso residenziale si estende su un'area di circa 3.500 metri quadrati e misura 137 metri di lunghezza per 24 metri di larghezza e può contenere più di 1.500 abitanti.


Appartamento tipo della "Cité Radieuse" - © FLC-ADAGP

Corridoi interni  della "Cité Radieuse" - © FLC-ADAGP


L'edificio si sviluppa su 18 piani, per un'altezza complessiva di 56 metri e osservando il basamento si può notare l'adozione di grandi pilastri di forma tronco-conica che sorreggono tutto il corpo di fabbrica, sostituendo i setti portanti. Inoltre, la loro funzione strutturale separa volutamente l'edificio dal suolo e, soprattutto, elimina definitivamente la presenza di abitazioni penalizzate dall'oscurità e dall'umidità derivanti dalla collocazione a terra. 
Quando fu inaugurata nel 1952, il New Yorker titolò “Marseille’s Folly”. 
Un parallelepipedo rettangolare in cemento armato grezzo appoggiato su dei pilastri, con all’interno tutto quello che serve per vivere: dalla scuola al cineclub, dalla panetteria al medico, dalla palestra alla biblioteca, e ovviamente gli appartamenti (337 appartamenti di 23 tipologie differenti: dal monolocale all’appartamento per dieci persone) però costruiti su due piani, come piccoli villini incastrati uno nell’altro, con una configurazione e volumi mai visti prima.
Una città verticale, così la immaginò il “pazzo” Le Corbusier, che la chiamò "Cité Radieuse" (Città Radiosa), perché affacciata a est e ovest in modo da avere il sole tutto il giorno. 

Siccome all’inizio nessuno voleva andarci ad abitare, il progetto era infatti troppo avveniristico e incomprensibile per allora, con soluzioni tecnologiche che saranno messe a punto soltanto nei decenni a venire, Le Corbusier andò a parlare ai pionieri della Cité Radieuse e disse immodestamente: 
"Ho riunito qui le condizioni della felicità" 
E sicuramente sarebbe felice anche lui se potesse sapere che ora qui soffia ancora e si diffonde il suo spirito creativo, dopo l'apertura di un centro d'Arte "en plein ciel".
Infatti proprio sulla terrazza della sua "città verticale" l’8 giugno 2013, dopo tre anni di lavori di restauro costati 7 milioni di euro, finanziati da Ora-Ïto (Ito Morabito figlio del designer di gioielli Pascal Morabito), dai co-proprietari dell’edificio e dallo stato francese, è stato inaugurato il MaMo (da Marseille Modulor), un centro d’arte contemporanea di 600 metri quadrati. 



Il "toit terrasse", cioè il tetto a terrazza con piscina, uno dei suoi "cinque punti di una nuova architettura", 
della Cité Radieuse - © MaMo 

Centro d'Arte Contemporanea MaMo sulla terrazza della Cité Radieus - © MaMo 


Nella vicina Svizzera, la sua patria, Le Corbusier è amato e venerato come una gloria nazionale, tanto che sulle banconote da 10 Franchi, tra le più diffuse, è stampato il suo volto, il suo Modulor e la sua Unité d'Habitation.
Infatti nell'ottava serie (prima serie a immagine verticale) di banconote  da 10 Franchi, emessa l'8 aprile 1997, il ritratto sul fronte della banconota è quello di Charles Edouard Jeanneret Gris, detto Le Corbusier, mentre sul retro si vedono:
- il Modulor
- l'Unité d'Habitation
- la pianta del distretto governativo della città indiana di Chandigarh,  con il palazzo della segreteria di Chandigarh, il più importante edificio progettato da Le Corbusier e con l'atrio d'ingresso del palazzo di giustizia di Chandigarh in cui si evidenziano i tre principi strutturali: la configurazione plastica, la predilezione per le rampe come elemento di congiunzione tra i piani di un edificio, nonché il rapporto dinamico tra l'interno e l'esterno

Banconota da 10 Franchi, 8a emissione del 1997, della Banca Nazionale Svizzera 

Purtroppo in Italia abbiamo perso tre occasioni per avere grandi opere di Le Corbusier e una, proprio legata alla matematica o, per meglio dire, alla futura informatica, è l'Usine Verte” (la "Fabbrica verde") che Le Corbusier progettò per Olivetti a Rho (Milano), nei primi anni Sessanta, e che avrebbe potuto essere la Apple italiana.
L’iter progettuale venne però subito fortemente condizionato dalla improvvisa e misteriosa morte di Adriano Olivettiavvenuta su un treno nel 1960 in viaggio per Losanna in cerca di finanziamenti, e sarà il figlio a portare avanti il rapporto con il maestro svizzero e i suoi collaboratori, ma il progetto fu destinato a rimanere sulla carta in seguito anche al sopraggiungere di una grave crisi aziendale (Le Corbusier e Olivetti di Silvia Bodei)
Le Corbu amava l'Italia, che fu per lui fonte d'interesse, suggestione e ispirazione nei 16 viaggi che vi fece e tra le ultime tappe, tre lo portano a sviluppare concretamente dei progetti per l'Italia: quello appunto per il Centro di calcolo elettronico Olivetti a Rho (Milano, 1961-63), per una nuova chiesa a Bologna (1963-65) e per il nuovo ospedale di Venezia (1964-65), che si conclusero purtroppo tutti col fallimento dell'iniziativa, per differenti problemi sia legati alla committenza che per la morte dell'architetto nel 1965.


Le Corbusier, progetto per il Centro Calcolo Elettronico Olivetti a Rho, marzo 1963 - © Silvia Bodei

Le Corbusier, progetto per il Centro Calcolo Elettronico Olivetti a Rho. 
Pianta e sezioni della “boite standard”, volume alveolare abitabile, 25 marzo 1963 - © Silvia Bodei





Note

¹ Lo pseudonimo di Le Corbusier venne coniato sotto indicazione di Amédée Ozenfant nell'autunno del 1920. Inizialmente venne adottato solo per firmare articoli d'architettura sull'Esprit Nouveau, i cui unici curatori erano Ozenfant e Jeanneret, che usavano molti pseudonimi per dissimulare il fatto che gli autori fossero solo loro. L'origine di questo è largamente documentata: dato che Ozenfant per realizzare il proprio pseudonimo aveva preso spunto dal cognome materno, consigliò a Jeanneret di fare altrettanto: questi non poté ascoltare il suo consiglio poiché aveva compiuto i propri studi nello studio di Auguste Perret, che aveva lo stesso cognome della madre. Egli quindi trasse spunto da "Lecorbesier", il cui ritratto era posto nella casa dove aveva passato l'infanzia. La e venne mutata in u sotto consiglio di Ozenfant; il soprannome risultò gradito a Jeanneret poiché gli ricordava quello del maestro (L'Eplattenier). 
È talvolta noto anche semplicemente come Le Corbu per abbreviazione del suo soprannome: tale storpiatura, complice un gioco di parole con la parola corvo (in francese corbeau) comportò la sua abitudine di firmare con questa sigla le sue lettere informali, oppure abbozzando la sagoma di un corvo; dall'abbreviazione della storpiatura del suo soprannome deriva la forma Le Corb, diffusa soprattutto in inglese.


Fonti

From the book
L'Urbanistica di Le Corbusier di Amedeo Petrilli - Ed Marsilio 2006
Le Corbusier e Olivetti di Silvia Bodei - Ed Quodlibet 2014
From website
http://www.fondationlecorbusier.fr/
http://arti.sba.uniroma3.it/esprit/
https://www.archdaily.com/167240/le-corbusier-meets-albert-einstein
https://it.wikipedia.org
From the pictures
© FLC-ADAGP
© L’Italia di Le Corbusier - MAXXI.it
© MaMo.fr
© SNB.ch
© Silvia Bodei
© Annalisa Santi