lunedì 24 febbraio 2020

Lapalissiano...e la vera storia di Monsieur de Lapalisse

"Benedetti quei fortunati secoli cui mancò la spaventosa furia di questi indemoniati strumenti di artiglieria, al cui inventore io per me son convinto che il premio per la sua diabolica invenzione glielo stanno dando nell’inferno" 
(Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia)


Il 24 febbraio di 495 anni fa, era infatti l'anno 1525, gli eserciti del re di Francia Francesco I e del marchese di Pescara, al servizio dell’imperatore Carlo V, si scontrarono a Pavia, e tra gli illustri personaggi che parteciparono all'epica battaglia c'era Jacques de Lapalisse, ahimè poco conosciuto come condottiero di valore.
Jacques II de Chabannes de La Palice, più noto come Monsieur de Lapalisse, morto a Pavia il 24 febbraio 1525, è stato un militare francese e maresciallo di Francia e non certo una persona che amava dire ovvietà.


Ritratto di Jacques de La Palice 

Perché ricordarlo?

Intanto perché la vicenda, legata al suo nome, avvenne non in Francia bensì appunto a Pavia e perché Alberto Arecchi, architetto e storico pavese, si era fatto promotore, insieme alla sua Associazione Culturale Liutprand, di una petizione che intendeva spingere il Comune di Pavia a realizzare un monumento in onore di La Palice, ingiustamente ricordato soltanto per l'aggettivo "lapalissiano", che appunto deriva dal suo nome ed indica una palese tautologia, qualcosa cioè che è talmente evidente da risultare ovvio e scontato, se non addirittura ridicolo per la sua ovvietà.

Ma cerchiamo di ricostruire la vicenda 

Era un gelido febbraio del 1525, i lanzichenecchi imperiali e gli spagnoli, una guarnigione di 6000 uomini comandata da Antonio de Leyva  (un cognome che i lettori del Manzoni dovrebbe ricordare per una certa Marianna de Leyva, suor Virginia, la sventurata monaca di Monza) erano assediati a Pavia dai francesi, guidati dal re Francesco I, che avevano campo nel parco del Mirabello, alle spalle del castello di Pavia.
Il 24 febbraio 1525 i rinforzi imperiali guidati da Carlo di Lannoy, viceré di Napoli, e dal Connestabile di Borbone, diedero battaglia all'esercito assediante, di cui, oltre ai francesi, facevano parte anche gli alleati svizzeri, i lanzichenecchi di Anne de Montmorency , e le forze del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere.
Il re francese guidò personalmente l'assalto della sua cavalleria, ma questa si trovò circondata dal grosso della fanteria imperiale, comandata dal marchese di Pescara, Fernando Francesco d'Avalos, al quale si era aggiunta l'avanguardia comandata dal marchese del Vasto, Alfonso III d'Avalos, che la massacrò. 
Mentre la celeberrima fanteria svizzera fuggiva, il re stesso veniva fatto prigioniero e questo successo fu conseguito anche grazie alla sortita della guarnigione di Pavia comandata da Antonio de Leyva che prese alle spalle l'esercito francese.
L’armata transalpina veniva così annientata e la maggior parte dei nobili cavalieri francesi (circa l’80% del totale della nazione) moriva in battaglia e, tra di loro, il prode seppur vegliardo La Palice.


Uno dei 7 arazzi¹ sulla battaglia di Pavia (1525), in cui trovò la morte il 
signor de La Palice, conservati al Museo di Capodimonte a Napoli.

Egli fu in servizio per quasi quarant’anni alla corte dei re francesi, Carlo VIII, Luigi XIIFrancesco I, e fu anche insignito del titolo di Maresciallo di Francia.
Condottiero valoroso, tanto da scendere in battaglia con chili e chili di ferraglia in sella al suo destriero alla veneranda età, per l’epoca, di 55 anni, fu un comandante amato e i suoi soldati gli dedicarono questo epitaffio, ignari di consegnare il Maresciallo di Francia alla storia, suo malgrado:

"Ci-git Monsieur de La Palice. Si il n’était pas mort, il ferait encore envie" 
(Qui giace il signore di La Palice. Se non fosse morto, farebbe ancora invidia).


Cattura di Francesco I
Particolare di uno no dei 7 arazzi¹ sulla battaglia di Pavia (1525)
in cui trovò la morte il signor de La Palice, 
conservati al Museo di Capodimonte a Napoli.

Su come siano andate le cose dopo, ci sono due versioni

Versione 1 
Quella, comunemente accettata e che mi raccontava il mio papà², è che, di bocca in bocca, di trascrizione in trascrizione, la "f" di "ferait" sia diventata una "s", e quindi "serait", "farebbe" trasformato quindi in  "sarebbe"
Tesi verosimile in quanto all’epoca si utilizzava la "s lunga" ("ſ"), che in corsivo si può facilmente confondere con una "f", e, in più, che "envie" si sia trasformato in "en vie", con uno spazio, con il risultato di un epitaffio lapalissianamente ridicolo:

"Ci-git Monsieur de La Palice. Si il n'était pas mort, il serait encore en vie" 
(Qui giace il signore di La Palice. Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita)

Ed è con questa dicitura che l'epitaffio del nostro eroe è passato alla storia.

Nel 2013 le Poste francesi dedicano un francobollo a Jacques de La Palice

Versione 2
L'altra versione, che propone Alberto Arecchi, afferma invece che la frase sia stata modificata di proposito.
Nelle scuole primarie che si stavano diffondendo tra il XVII e il XVIII secolo si doveva storicamente parlare di guerra e ricordare purtroppo anche la disfatta del re Francesco I, che per la Francia fu terribile, rimasero sul campo seimila o forse diecimila uomini e cadde quasi tutta la nobiltà di Francia, senza però spaventare i bambini. 
Per questo motivo venne inventata una filastrocca che facesse ridere. 
Anche perché, aggiunge Arecchi, "l’errore sarebbe stato troppo banale. Qualcuno si sarebbe reso conto che la frase non aveva senso"


 "La chanson de la Palisse" di Bernard de la Monnoye 

Versione uno o versione due, sta di fatto che la frase di questo epitaffio risulta di un'ovvietà sconcertante, ma fu ripresa, proprio a cavallo del XVII secolo, dall’accademico, membro dell’Académie française, e poeta Bernard de la Monnoye in "La chanson de La Palisse", una canzone a lui dedicata con ovvio fine parodistico e piena di ovvietà, che non rende certo giustizia alle virtù militari di Jacques de La Palice, il nobile maresciallo di Francia.
Molto in voga all’epoca, la canzone cadde poi nell’oblio fino all’800, quando lo scrittore Edmond de Goncourt la recupera e conia il termine "lapalissade", per indicare una verità scontata.
Il termine in francese è un sostantivo, e si potrebbe da noi usare in luogo di un’ovvietà o un’idiozia, tipo "hai detto una lapalissade". 
Come ricorda il Dizionario De Mauro, il termine compare invece in italiano nel 1914, ma nella forma di aggettivo derivato, "lapalissiano".  

"La Chanson de La Palisse", Bernard de la Monnoye


(FR)
«Messieurs, vous plaît-il d'ouïr
l'air du fameux La Palisse,
Il pourra vous réjouir
pourvu qu'il vous divertisse.
La Palisse eut peu de biens
pour soutenir sa naissance,
Mais il ne manqua de rien
tant qu'il fut dans l'abondance.
Il voyageait volontiers,
courant par tout le royaume,
Quand il était à Poitiers,
il n'était pas à Vendôme!
Il se plaisait en bateau
et, soit en paix soit en guerre,
Il allait toujours par eau
quand il n'allait pas par terre.
Il buvait tous les matins
du vin tiré de la tonne,
Pour manger chez les voisins
il s'y rendait en personne.
Il voulait aux bons repas
des mets exquis et forts tendres
Et faisait son mardi gras
toujours la veille des cendres.
Il brillait comme un soleil,
sa chevelure était blonde,
Il n'eût pas eu son pareil,
s'il eût été seul au monde.
Il eut des talents divers,
même on assure une chose:
Quand il écrivait en vers,
il n'écrivait pas en prose.
Il fut, à la vérité,
un danseur assez vulgaire,
Mais il n'eût pas mal chanté
s'il avait voulu se taire.
On raconte que jamais
il ne pouvait se résoudre
À charger ses pistolets
quand il n'avait pas de poudre.
Monsieur d'la Palisse est mort,
il est mort devant Pavie,
Un quart d'heure avant sa mort,
il était encore en vie.
Il fut par un triste sort
blessé d'une main cruelle,
On croit, puisqu'il en est mort,
que la plaie était mortelle.
Regretté de ses soldats,
il mourut digne d'envie,
Et le jour de son trépas
fut le dernier de sa vie.
Il mourut le vendredi,
le dernier jour de son âge,
S'il fut mort le samedi,
il eût vécu davantage."
(IT)
«Signori, vi piaccia udire
l'aria del famoso La Palisse,
Potrebbe rallegrarvi
a patto che vi diverta.
La Palisse ebbe pochi beni
per mantenere il proprio rango,
Ma non gli mancò nulla
quando fu nell'abbondanza.
Viaggiava volentieri,
scorrazzava per tutto il reame
e quando era a Poitiers,
non era certo a Vendôme!
Si divertiva in battello
e, sia in pace sia in guerra,
andava sempre per acqua
se non viaggiava via terra.
Beveva ogni mattina
vino spillato dalla botte
E quando pranzava dai vicini
ci andava di persona.
Voleva per mangiar bene
vivande squisite e tenere
E celebrava sempre il Martedì Grasso
la vigilia delle Ceneri.
Brillava come un sole,
coi suoi capelli biondi.
Non avrebbe avuto pari
se fosse stato solo al mondo.
Ebbe molti talenti,
ma si è certi di una cosa:
quando scriveva in versi,
non scriveva mai in prosa.
Fu, per la verità,
un ballerino scadente,
ma non avrebbe cantato male,
se fosse stato silente.
Si racconta che mai
sia riuscito a risolversi
a caricar le pistole
se non aveva le polveri.
Morto è il signor de la Palisse,
morto davanti a Pavia,
Un quarto d'ora prima di morire,
era in vita tuttavia.
Fu per una triste sorte
ferito da mano crudele,
Si crede, poiché ne è morto,
che la ferita fosse mortale.
Rimpianto dai suoi soldati,
morì degno d'invidia,
e il giorno del suo trapasso
fu l'ultimo della sua vita.
Morì di venerdì,
l'ultimo giorno della sua età,
Se fosse morto il sabato,
sarebbe vissuto di più.»

Un monumento per Jacques de La Palice 

Si va beh ma perché dedicare un monumento commemorativo al nobile condottiero? 
Perché, come sottolinea Alberto Arecchi, Pavia è conosciuta, all’estero e sopratutto in Francia, grazie all’associazione con La Palice e al termine "lapalissiano", mentre dovrebbe ricordare la storica battaglia che esplose a nord della città, nella frazione di Mirabello, in cui morì il maresciallo di Francia La Palice. 
Ed è proprio lì, al Mirabello, che dovrebbe trovare posto il monumento al condottiero Jacques II de Chabannes de La Palice, sul suo destriero.


Jacques II de Chabannes de La Palice sul suo destriero

Filastrocca lapalissiana

Anche il grande poeta italiano Gianni Rodari, compositore di simpatiche filastrocche e poesie per bambini (ma non solo), prese ispirazione dalla Canzone di La Palisse per comporre una filastrocca. 
Il protagonista della storia, nella sua versione, è nientepopodimenoché³ Napoleone Bonaparte, e il suo testo fu poi musicato da un altro grande uomo della cultura musicale italiana, Sergio Endrigo.  
La filastrocca di Rodari, "Napoleone" risalente al 1974, è stracolma di frasi lapalissiane tipo: 

"Napoleone era fatto così
se diceva di no, non diceva di si
quando andava di là, non veniva di qua
se saliva lassù, non scendeva quaggiù
se correva in landò, non faceva il caffè
se mangiava un bigné, non contava per tre
se diceva di no, non diceva di si"... 

e Sergio Endrigo la cantava così:

Video della canzone "Napoleone" 
cantata da Sergio Endrigo



Note

¹ Nei sette arazzi sono raccontati gli episodi salienti della battaglia di Pavia, del 24 febbraio 1525, combattuta per il dominio in Italia tra le truppe del re di Francia Francesco I di Valois e quelle imperiali di Carlo V d’Asburgo.
Come in una sequenza cinematografica i sette arazzi vedono in scena i protagonisti della storica battaglia, spesso identificati proprio come in un fumetto grazie alle scritte intessute con fili d’oro e di argento su cavalli e armature.
Cavalieri, fanti, picchieri, mercenari svizzeri e lanzichenecchi, si scontrano in una battaglia che ha segnato il corso della storia: la cavalleria francese è massacrata da soldati semplici muniti di armi da fuoco, considerate vili e insidiose perché colpendo da lontano permettevano anche al meno prode di prevalere.
Alcuni personaggi guardando fuori campo ci invitano con il loro sguardo a partecipare agli eventi. Probabilmente è proprio a noi che è rivolto lo sguardo del re Francesco I nel momento in cui è catturato, perché il suo cavallo è stato ferito da un colpo di archibugio.

² Il mio papà (classe 1899) mi raccontava che tra gli allievi dell'Accademia Navale di Livorno, da lui frequentata, era diventato di moda prendersi in giro e raccontare ovvietà, usando un sostantivo, un francesismo molto chic "lapalissade" o un aggettivo da poco coniato "lapalissiano". 
Raccontandomi anche che derivava da un detto, che così lui mi riferì "Monsieur de Lapalisse qui avant de mourir etait encore en vie".

³ Nientepopodimenoché è una parola inventata da Mario Riva, star della televisione italiana fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del Novecento e conduttore della popolarissima trasmissione "Il Musichiere" (1957-1960).
Il significato è circa quello di "addirittura!" o "niente di meno!".
In realtà si tratta proprio della forma "niente di meno" rafforzata da un "po’" ripetuto due volte, e questo "po’ po’" si usa in italiano parlato per indicare una quantità notevole (in pratica: un po' = un poco - un po'po' = due volte poco, quindi tanto!) e ha un forte valore enfatico.



3 commenti:

  1. Grazie per questo articolo interessante e divertente insieme

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  2. Beh, Annalisa santi, non vedo in che data sia stato scritto questo bel documento molto completo e organizzato proprio bene, ma trovo che sia un peccato che non ci sia ancora alcun commento perché l’ho trovato come dicevo proprio fatto bene e gradevole grazie ancora sono Stefano Schiavina di Bologna

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    1. Grazieeeeee...comunque la data è segnata sopra il titolo 24 febbraio 2020

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