lunedì 25 agosto 2025

Tra pensiero e storia…il segreto dei matematici

La matematica è spesso percepita come una disciplina austera, fatta di formule e teoremi rigorosi, tuttavia, dietro questa facciata si cela un mondo ricco di bellezza, intuizione e storie affascinanti. 
In questo articolo, cercherò di esplorare, seppur brevemente, due aspetti del “segreto” dei matematici: il loro modo di pensare e le enigmatiche curiosità storiche a loro legate.

René Magritte, Il doppio segreto (1927)
Il segreto come rivelazione di mondi nascosti

Quando si parla di “segreti dei matematici” si pensa subito a formule incomprensibili, appunti nascosti o enigmi lasciati senza soluzione. In realtà, i matematici custodiscono questi due tipi di segreti molto diversi: da un lato, un modo di pensare che non sempre appare a chi osserva dall’esterno, dall’altro, una serie di curiosità storiche, enigmi e aneddoti che svelano il lato più umano e sorprendente della disciplina.

Il segreto come modo di pensare

Il primo segreto non è fatto di misteri irrisolti, ma di uno sguardo particolare sul mondo.
Per un matematico, la matematica non è solo calcolo, ma è una ricerca di ordine dentro al disordine, di semplicità nascosta dietro la complessità.

Giorgio De Chirico, Colloquio segreto (litografia, 1969–1977)
La dimensione del “segreto” come dialogo interiore 
o confronto silenzioso tra mente e intuizione

Il "segreto" per i matematici è un modo di pensare condiviso incentrato su semplicità, ordine e comprensione, insieme a un profondo apprezzamento per i modelli e l'estetica che si collegano all'arte e al mondo naturale. 
Abbracciano ripetuti tentativi ed errori, prospettive mutevoli e la libertà di rivedere le idee entro i limiti della logica. 
C’è chi ha detto che un buon teorema non si riconosce solo perché è vero, ma perché è bello. 
Questa idea attraversa i secoli: Platone vedeva nella matematica la via privilegiata per accedere alle forme pure e immutabili, Bertrand Russell parlava della matematica come di una “fredda e austera bellezza, simile a quella della scultura”, un’arte che unisce rigore e immaginazione, e Paul Dirac sosteneva che tra più teorie possibili occorresse scegliere quella più elegante, perché la bellezza matematica è spesso segno di verità.

Jacob Lawrence, La Biblioteca (1960)
Un santuario della conoscenza e dell’immaginazione, 
un invito a esplorare l’ampia estensione 
del pensiero umano e della creatività

Come scrive Imre Toth :
“La matematica è l’espressione di una libertà umana che si manifesta nella creazione di mondi, che è una prerogativa divina, e questa creazione è veicolata da un atto di cui solo l’essere umano è capace: la negazione”
E come sottolinea Georg Cantor:
“L'essenza della matematica risiede nella sua libertà”

Queste citazioni evidenziano la concezione della matematica come atto creativo e libero, dove la negazione di principi consolidati permette la nascita di nuovi mondi e teorie. 
Questo concetto si collega strettamente all'idea che la matematica non sia solo una disciplina rigida, ma anche un campo di esplorazione e innovazione, dove il “segreto” risiede nella capacità di pensare oltre le convenzioni e creare nuove realtà logiche.
La libertà di esplorare nuove prospettive è un altro tratto distintivo del pensiero matematico. 
È la stessa libertà che ha permesso, nell’Ottocento, a Carl Gauss, Nikolaj Lobacevskij  o Jànos Bolyai di immaginare geometrie diverse da quella di Euclide, osando mettere in discussione un principio rimasto intoccabile per duemila anni, il V postulato di Euclide

Salvador Dalí, La persistenza della memoria (1931)
Il tempo scandito dagli orologi è solo uno dei tanti possibili.  
Per Dalí il tempo “fa una cosa sola con lo spazio”, pensiero legato 
al vivacissimo dibattito sul rapporto spazio-tempo

Da quel salto di pensiero sono nate le geometrie non euclidee, che non solo hanno arricchito la matematica, ma hanno preparato il terreno per la relatività di Albert Einstein e per una nuova visione dello spazio stesso.
Infine, c’è una parte della cultura matematica che resta invisibile al grande pubblico: articoli firmati senza gerarchie tra autori, idee condivise apertamente su archivi online, come arXiv, prima ancora della pubblicazione ufficiale, seminari informali dove conta più il gesso sulla lavagna che il titolo accademico. 
È un mondo che vive quasi “in segreto”, lontano dalle luci mediatiche.

I segreti come curiosità storiche

Accanto a questo atteggiamento mentale, ci sono poi i segreti più gustosi, quelli che assomigliano a piccole leggende.

Nel 1637, Pierre de Fermat scrisse, a margine di un libro, questa nota allettante
“Ho scoperto una dimostrazione veramente meravigliosa, una vera e meravigliosa dimostrazione di questo, anche se questo margine non è abbastanza grande per contenerla”

Pierre de Fermat, ad esempio, lasciò scritto a margine di un libro di aver trovato una “dimostrazione meravigliosa” per un teorema...ma che lo spazio era troppo stretto per scriverla. 
Per secoli nessuno seppe se fosse vero o un bluff, fino a quando Andrew Wiles riuscì a darne una dimostrazione nel 1994.


Pierre de Fermat e Andrew Wiles 
Fermat's Last Tango - A Musical Fantasy

Srinivasa Ramanujan, geniale autodidatta indiano, sosteneva che le sue formule gli fossero sussurrate in sogno dalla dea Namagiri. 
E molte delle sue intuizioni, verificate solo decenni dopo, hanno davvero lasciato sbalorditi i colleghi.
C’è poi la storia di George Dantzig, che arrivò in ritardo a lezione e, copiati due problemi dalla lavagna pensando fossero esercizi assegnati, li risolse, senza sapere che erano problemi ancora aperti, che nessuno aveva mai risolto prima.

E non mancano i segreti collettivi. 
Il “matematico inesistente” John Rainwater, nato come scherzo nel 1952 da studenti dell’Università di Washington e poi divenuto autore di veri articoli. 
O Nicolas Bourbaki, pseudonimo dietro cui si celava un gruppo intero di matematici francesi che riscrisse da zero interi settori della disciplina.
I membri originali del gruppo Bourbaki, fondato nel 1935, includevano matematici come André Weil, Henri Cartan e Jean Dieudonné
I membri del gruppo mantennero l’anonimato e lavorarono collettivamente contribuendo al mito e alla curiosità intorno a Nicolas Bourbaki. 
Il collettivo francese Bourbaki e l’invenzione di John Rainwater divennero lo pseudonimo collettivo di numerosi matematici di spicco, con cui pubblicarono teoremi molto importanti, mostrando come a volte dietro le firme ci siano pseudonimi e giochi d’identità.

Perfino il Nobel ha la sua leggenda: perché non esiste un premio per la matematica? 
Si è diffusa la voce che Alfred Nobel avesse una rivalità personale con un matematico svedese. 
Nobel avrebbe deciso di escludere la matematica dalle discipline premiate dopo aver scoperto che una sua amante lo aveva tradito con un famoso matematico svedese, Magnus Gustaf Mittag-Leffler.
In realtà non ci sono prove, ma il mito continua ad affascinare.

Tra le curiosità storiche ci sono anche i segreti ancora aperti

Non tutti i segreti infatti sono stati svelati. 
Alcuni vivono ancora oggi sotto forma di enigmi che resistono a ogni tentativo di soluzione, come i problemi di Hilbert o quelli del Millennio, i Millennium Prize Problems.
I problemi di Hilbert costituiscono una lista di 23 problemi matematici stilata da David Hilbert e presentata l'8 agosto 1900 nella sua conferenza del Congresso internazionale dei matematici svolta a Parigi.
Tutti i problemi allora presentati erano ancora irrisolti e molti di essi hanno avuto un notevole impatto sulla matematica del XX secolo. 
Ispirata all'iniziativa di Hilbert è la proposta di cento anni dopo dell'Istituto matematico Clay di una lista dei cosiddetti 7 problemi per il millennio.
I problemi del millennio, selezionati appunto dal Clay Mathematics Institute durante il convegno del Millennio di Parigi, il 24 maggio 2000 (di cui cade quindi quest'anno il 25esimo anniversario), sono sette sfide per il futuro, di cui solo la congettura di Poincaré è stata risolta dal matematico russo Grigori Perelman.


Grigori Perelman rifiuta 1 milione di dollari del Millennium Prize
Qui le ultime foto scattate a Grigori Perelman

Ai 7 problemi, a differenza di quelli di Hilbert, per ognuno di essi di cui si fornisca la dimostrazione, viene assegnato un premio di un milione di dollari, che Grigori Perelman però rifiutò.

Oltre alla congettura di Poincaré, verificata e ritenuta risolta nel 2002 (la dimostrazione della Congettura di Poincaré di Grigori Perelman commentata e spiegata da Terence Tao), l’ipotesi di Riemann, forse resta il più celebre “segreto” della matematica, legata alla distribuzione dei numeri primi, ed è l'unico problema presente in entrambe le liste.
La Congettura di Riemann, o ipotesi di Riemann, è una teoria analitica dei numeri primi, sulla distribuzione degli zeri non banali della funzione zeta di Riemann ζ(s), a cui si sta dedicando da anni, oltre ad altri matematici prestigiosi, il grande matematico Terence Tao medaglia Files 2006.
Tra i problemi, forse il più noto anche se non compare in nessuna delle due liste, è la Congettura di Goldbach, secondo cui ogni numero pari maggiore di 2 è somma di due numeri primi, che, nata da una regola semplicissima, resta ancora indimostrata.
Nessuno infatti è riuscito a dimostrare la congettura di Goldbach nella sua forma originale, tuttavia, la congettura debole di Goldbach, che afferma che ogni numero dispari maggiore di 5 può essere scritto come somma di tre numeri primi, è stata dimostrata dal matematico peruviano Harald Andrés Helfgott nel 2013.

I problemi di Hilbert o quelli del millennio, sono enigmi e segreti che non sono soltanto problemi tecnici, ma anche il simbolo di un orizzonte che si sposta sempre più in là, mantenendo viva la tensione tra ciò che sappiamo e ciò che resta segreto.

Due percorsi che si incontrano

Alla fine i due percorsi, il pensiero e la storia, si intrecciano.
Il segreto dei matematici è al tempo stesso un modo di pensare e una serie di racconti umani.

Giorgio de Chirico, Enigma dell’ora (1911)  
Evoca un'atmosfera enigmatica come l’incontro tra pensiero e storia

Da un lato, la ricerca della bellezza, la pazienza degli errori, la libertà nel rigore, dall’altro, le stranezze biografiche, i miti, i problemi irrisolti, gli episodi in cui la matematica si rivela più vicina alla vita di quanto si creda.
Insieme ci dicono che il segreto dei matematici è, in fondo, questo: 
“trasformare il mondo in forme, connessioni e storie che sanno di poesia”

 

lunedì 9 giugno 2025

Verità imperfette: wabi-sabi, Gödel e la ceramica raku

Viviamo in un mondo che celebra la perfezione, la velocità, l’efficienza, ma è nel limite, nell’errore e nell’incompleto che spesso si nascondono le verità più profonde. 
La stessa nozione di "verità imperfetta" può sembrare una contraddizione. La verità, per definizione, non dovrebbe forse essere integra, definitiva, immune da ambiguità? 
E tuttavia, sia la logica matematica che l’estetica tradizionale giapponese ci suggeriscono il contrario, cioè che esistono verità non dimostrabili, bellezze non simmetriche, forme non rifinite che contengono, proprio per questo, una forma più alta di autenticità.


Opera "Testa" dell'artista  Natalia Lubomirski - tecnica mista con base in raku nudo

Questo mio articolo nasce dal desiderio di proporre un dialogo inusuale tra tre ambiti solo apparentemente distanti: 
. la sensibilità estetica del wabi-sabi, 
. il teorema di incompletezza di Kurt Gödel e 
. la tecnica ceramica raku 
mettendoli a confronto per riflettere sul ruolo positivo dell’imperfezione e del limite nella verità, nella bellezza e nella creazione.
Cosa ci suggeriscono, nel loro insieme, rispetto al concetto di imperfezione e alle strutture del sapere e della creazione?

Wabi-sabi scritto in giapponese 

Wabi-sabi – Bellezza senza controllo

Il wabi-sabi è una sensibilità estetica giapponese che valorizza l’imperfetto, il transitorio, l’incompleto. 
Nelle forme asimmetriche, nei materiali grezzi, nelle superfici segnate dal tempo, si manifesta una bellezza intima e sobria. 
Il wabi-sabi non ricerca l’eternità, ma accoglie il divenire, non pretende la perfezione, ma la fragilità.
Derivato dalle pratiche Zen e dalla cerimonia del tè, il wabi-sabi suggerisce una visione del mondo in cui l’essere è sempre in divenire. 
È una filosofia del tempo, della precarietà e della profondità in cui l’oggetto bello non è quello che sfida il tempo, ma quello che lo incorpora visibilmente in sé: nella patina, nella scheggiatura, nell’asimmetria. 
Il valore non risiede nella finitezza dell’opera, ma nella sua capacità di evocare un silenzio contemplativo, un vuoto fertile.


Caricatura di Kurt Gödel dalla copertina del libro di Deborah Gambetta

Gödel – L’incompletezza come verità

Nel 1931, il logico austriaco Kurt Gödel pubblica i suoi celebri teoremi di incompletezza, modificando radicalmente la visione della logica formale e dei fondamenti della matematica. 
Il primo teorema afferma che in ogni sistema assiomatico coerente e sufficientemente potente da includere l’aritmetica esistono proposizioni vere che non sono dimostrabili all’interno del sistema stesso. 
Il secondo teorema stabilisce che la coerenza di un tale sistema non può essere dimostrata all’interno del sistema medesimo.
Queste affermazioni hanno implicazioni profonde e negano la possibilità di fondare la matematica su un sistema formale completo e chiuso, come sperato nel programma di David Hilbert
In una lettera a John von Neumann (1931), Gödel scrive: 

“Per ogni sistema formale coerente, ci sarà sempre un enunciato che afferma la propria verità ma non può essere provato nel sistema.”

L’incompletezza, dunque, non va intesa come fallimento, ma come un limite strutturale e costitutivo. 
Essa introduce una soglia epistemica che separa ciò che è formalmente derivabile da ciò che è logicamente (o intuitivamente) vero. 
Una soglia che, lungi dall’essere un difetto, garantisce la vitalità della ricerca matematica, come dire che vi è sempre qualcosa di vero che attende di essere pensato, ma non può essere dedotto.

Opera dell'artista Cinzia Fantozzi - Immagine tratta dalla pagina Raku e dintorni

A prima vista, il teorema di Gödel e la filosofia estetica del wabi-sabi appartengono a mondi inconciliabili: uno nasce dalla logica formale del primo Novecento, l’altro da una sensibilità millenaria orientale. 
Eppure entrambi mettono in discussione l’idea di completezza e di perfezione come ideali assoluti.
Nel wabi-sabi, l’imperfezione non è un errore da correggere, ma una qualità da accogliere e, allo stesso modo in Gödel, l’incompletezza non rappresenta un fallimento del sistema, ma una verità più profonda: che ogni costruzione formale lascia fuori qualcosa, un “di più” che non può essere catturato da regole.
Entrambe le visioni condividono l’accettazione del limite come apertura. 
Il silenzio lasciato da ciò che non si può dimostrare (in Gödel), come lo spazio vuoto o la crepa in una tazza wabi-sabi, non è un difetto: è ciò che rende l’opera viva, e la verità accessibile solo attraverso un’intuizione non completamente formalizzabile.


Opere Raku delle artiste Natalia Lubomirski e Cinzia Fantozzi
con le allieve Maria Grazia Giustizieri e Giusi Manini
Foto dalla mostra "L'imperfezione della bellezza"
Immagine elaborata da Annalisa Santi


Raku – L’opera è il fuoco

La ceramica raku nasce in Giappone nel XVI secolo, strettamente legata alla cerimonia del tè e alla filosofia Zen. 
L’argilla viene cotta rapidamente e poi estratta dal forno incandescente per essere posta in materiali combustibili. 
Il risultato è imprevedibile e ogni pezzo è unico, segnato dal caso, dalla materia, dal fuoco. 
Le crepe dello smalto, il tipico "craquelé", non sono difetti, ma tracce del processo, impronte del tempo e della trasformazione.
Come lo spazio vuoto o la crepa in una tazza wabi-sabi, anche il craquelé del raku non va nascosto ed è ciò che rende l’opera viva. 
È in queste fratture che si riflette una verità non programmata, accessibile solo attraverso un’intuizione che sfugge alla pianificazione e al controllo formale.
Il controllo dell’artista è solo parziale e l’opera accade, più che essere progettata.
Il raku diviene quindi l'espressione materiale di un principio condiviso con Gödel e il wabi-sabi, vale a dire la creazione che accetta l’incertezza, l’unicità, l’irripetibile.


Immagine elaborata da Annalisa Santi 

Wabi-sabi, Gödel e Raku  –  Tre visioni, un principio comune
In definitiva Wabi-sabi, Gödel e Raku convergono, in modo sorprendente, nella valorizzazione del limite e dove la perfezione logica fallisce, si apre lo spazio della verità irriducibile. 
Dove la bellezza si libera dal canone simmetrico, nasce una nuova sensibilità, e dove l’opera non è totalmente controllata, può manifestarsi l’inaspettato. 
L’imperfezione, in questo senso, non è una mancanza ma una condizione necessaria.
In una contemporaneità che tende a privilegiare l’efficienza, la completezza e il controllo, queste tre visioni offrono un’alternativa che consiste nel riconoscere valore nel non finito, nel non detto, nel non calcolabile. L’incompletezza - logica, estetica e materiale - non va temuta, ma riconosciuta come apertura verso ciò che eccede il sistema, la regola, la forma. 
Una zona dove la verità e la bellezza non si dimostrano, ma si intuiscono, si lasciano accadere.

L'affascinante e intrigante tecnica raku in questo video da CineFilosofia





domenica 27 ottobre 2024

Il tennis una sfida matematica

Ha preso il via a ottobre di quest'anno la prima edizione del Six Kings Slam, un torneo esibizione di tennis che si è tenuto a Riyad, in Arabia Saudita, dove i sei "re" protagonisti di questo evento sono stati Novak Đjoković, Rafael Nadal, Jannik Sinner, Carlos Alcaraz, Daniil Medvedev e Holger Rune.
La più ricca e direi faraonica esibizione nella storia del tennis è stata pubblicizzata da un video, "Call of the Kings", diretto da Los Perez, una visione cinematografica emozionante che ha visto protagonisti tutti e sei i giocatori, rappresentati come supereroi in vari contesti storici e luoghi del pianeta, con riferimenti alle varie nazionalità, personalità, carisma, e stili di gioco. 
Un video che si sviluppa in un contesto estremamente fantasy, in cui i tennisti si trasformano in "eroi" e "semidei", ma che, grazie anche agli incredibili effetti speciali, è riuscito a fondere magicamente cinema e tennis.


La locandina del Six Kings Slam 2024 con i tennisti in versione supereroi:
Al centro: Djokovic - il capo dei lupi e Nadal - il guerriero della terra
A sinistra: Rune - il guerriero vichingo e Medvedev - il re degli orsi
A destra: Alcaraz - l'uomo della sabbia e Sinner - l’artista rinascimentale


Video "Call of the Kings" bay Los Perez

Ma ancora più "faraonico" è stato il premio che ogni invitato ha portato a casa, di 1,5 milioni di dollari statunitensi (circa 1,36 milioni di euro), e quello, davvero da capogiro, del vincitore Jannik Sinner di 6 milioni di dollari (circa 5,46 milioni di euro). 
Questa simbolica lotta per il "trono" ha visto infatti trionfare l'italiano, numero 1 del ranking ATP, Jannik Sinner in finale contro il numero 2, lo spagnolo Carlos Alcaraz, con il punteggio di 6–7, 6–3, 6–3, dopo che in semifinale aveva superato Novak Djokovic.


Jannik Sinner (l'artista rinascimentale) e Carlos Alcaraz (l'uomo della sabbia) 
alla finale del Six Kings Slam 2024
Video dei punti salienti della finale del 18 ottobre 2024
 
Il serbo ha poi vinto la finale per il terzo posto imponendosi su Rafael Nadal in una partita dal grande impatto emotivo, visto che si è trattato dell'ultimo atto della loro eterna sfida, terminata dunque con un bilancio di 32 a 29 per Nole, anche se quest'ultimo match non rientra nei tornei ATP.
Al tennista spagnolo, già Ambasciatore del tennis in Arabia Saudita, come premio alla carriera e in vista del già dichiarato ritiro, è stata donata una racchetta d'oro massiccio del peso di 3 chili del valore di 250.000 euro.


Rafa Nadal e la racchetta d'oro donatagli da 
Turki Alalshikh organizzatore dell'evento


La matematica dei giocatori esperti 

Proprio guardando questa spettacolare sfida nella finale del Six Kings Slam 2024 tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, non solo con occhi da tifosa di Jannik, ma con una visione anche matematica mi sono accorta di come questi straordinari atleti gestiscano i colpi e la posizione nel campo proprio seguendo schemi matematici.
Sono due atleti eccezionali e hanno una forma fisica e un atteggiamento mentale così profondo che non si può non pensare che possano applicare sia istintivamente che coscientemente la "teoria degli angoli" formalizzata da Henri Cochet, già nel lontano 1933, nata soprattutto per spiegare le posizioni laterali del campo che i giocatori dovrebbero adottare durante gli scambi...e le loro posizioni sono risultate praticamente sempre perfette.
I risultati di una ricerca¹, pubblicata nel febbraio 2024, mostrano che i tennisti esperti applicano i principi della "teoria degli angoli" e confermano quindi l'intuizione di Henri Cochet. 
Vale a dire che, per il posizionamento laterale del campo, una strategia geometrica è ritenuta ottimale dai giocatori esperti e che più i giocatori sono esperti, più precisa diventa la loro applicazione di questa strategia.
Una caratteristica distintiva dello sport con palla veloce come il tennis (lo squash, il racquetball, il padel o il badminton) è la necessità per i giocatori di posizionarsi in modo da coprire e difendere efficacemente l'area di gioco, rispetto alle azioni dell'avversario. 
I principi di posizionamento in questi sport sono codeterminati dalle esigenze spaziotemporali che caratterizzano il gioco (ad esempio, dimensioni e superficie del campo, proprietà della palla) nonché ovviamente dalle abilità degli atleti in gara. 
Nel caso del tennis, la sfida per i giocatori è posizionarsi in modo da poter rispondere nel modo più efficace possibile a tutte le potenziali azioni dell'avversario, con la probabilità di risultati di azione che varia in base non solo al posizionamento del giocatore, ma anche alle rispettive tendenze di azione del giocatore, abilità, e alla precedente sequenza di colpi giocati all'interno degli scambi.
Una delle proposte per ottimizzare il posizionamento del campo nel tennis è appunto la cosiddetta "teoria degli angoli", formalizzata da Cochet.
Ma Henri Cochet, "il mago", chi era costui?


Henri Cochet in una partita di Coppa Davis

Henri Cochet (Villeurbanne, 14 dicembre 1901 – Saint-Germain-en-Laye, 2 aprile 1987), detto "il mago" o spiritosamente "il raccattapalle di Lione", è stato uno dei "quattro moschettieri" della squadra francese di tennis che, assieme a René Lacoste, Jean Borotra e Jacques Brugnon, ha vinto la Coppa Davis tra il 1927 e il 1932.
In singolare Cochet ha vinto 7 tornei del Grande Slam Championship, vincendo il Roland Garros quattro volte (1926, 1928, 1930, 1932), Wimbledon due volte (1927, 1929) e l'USOpen una volta (1928), un French Pro Championship nel 1936, in doppio vinse cinque Grandi Slam, i titoli francesi del 1927, 1930 e 1932 e i titoli di Wimbledon del 1926 e 1928.  
E' stato numero uno nel ranking mondiale maschile per quattro anni di seguito, dal 1928 al 1931.
Cochet trascorse parte della seconda Guerra Mondiale come prigioniero dei nazisti, ma tornò a giocare a tennis ad alto livello dopo la guerra, e nel 1951 gli fu conferito il Nastro Rosso della Legion d'Onore francese per i suoi successi sportivi.
Ritiratosi nel 1958 a 57 anni, divenne insegnante e allenatore di giocatori e allenatori per diversi decenni, influenzando notevolmente lo sviluppo del tennis in Francia.
Lui, insieme ai quattro Moschettieri, nel 1976 fu ammesso alla International Tennis Hall of Fame, organizzazione no-profit che celebra i tennisti più forti di tutti i tempi, ovvero le leggende della storia del tennis, e altri personaggi che hanno contribuito a onorare il tennis mondiale. 
Cochet pubblicò numerosi libri sul tennis e produsse un video sulle tecniche del tennis ("Tennis: Henri Cochet-outtakes" da Digital Collections University of South Carolina) e, negli ultimi anni, gestì un negozio di articoli sportivi.


Copertina e prima pagina del capitolo sulla “teoria degli angoli” nel libro 
di Henri Cochet «Le tennis: sa techniques et sa psychologie» 
(Il tennis: tecnica e psicologia) del 1933 (Fig.1)

Nel suo libro intitolato "Tennis: sa techniques et sa psychologie" (Tennis: la sua tecnica e la sua psicologia), Cochet ha proposto che, secondo la teoria degli angoli (pp. 172–177: Fig.1), i giocatori esperti si debbano posizionare sulla bisettrice dell'angolo delle traiettorie che il loro avversario può ipoteticamente mettere in atto. 
Una caratteristica fondamentale di questa strategia è che quando il giocatore che sta per colpire la palla si sposta lateralmente su un lato del campo, la posizione laterale corrispondente che faciliterà più efficacemente il recupero del colpo successivo per il giocatore avversario, è sul lato opposto del campo (Fig.2).


Illustrazione della "teoria degli angoli" (Fig2)
Sulla sinistra ci sono angoli ipotetici formati dalle possibili traiettorie 
di due tiri giocati da posizioni diverse sul campo. 
I dischi gialli rappresentano la palla. Le linee verdi e rosse indicano possibili
 traiettorie e bisettrici quando la palla viene colpita rispettivamente da una posizione 
centrale e decentrata del campo. 
Cochet ha proposto che le bisettrici dovrebbero riflettere il posizionamento
 ottimale del giocatore in campo (dischi marroni) prima che la palla venga colpita.
 Quando l'avversario è decentrato, l'angolo formato in rosso definisce una 
bisettrice che differisce da quando è posizionato centralmente, 
creando una situazione in cui la posizione ottimale per il giocatore 
che riceve è sul lato opposto del campo. 
Sulla destra c'è un'immagine che illustra la teoria degli angoli 
che si sviluppa in una partita 

Va considerato però anche il fatto, similmente alla proposta di Cochet, che i resoconti contemporanei hanno evidenziato l'importanza della distribuzione spaziale dei giocatori e il significato delle loro posizioni relative sui risultati delle prestazioni. Specificamente per lo studio del tennis, Yannick Palute e Pier Giorgio Zanone, nella loro ricerca² hanno applicato la teoria dei sistemi dinamici per studiare i movimenti laterali dei giocatori di tennis. 
I ricercatori sono stati in grado di categorizzare due modelli di gioco dominanti, che hanno catturato le dinamiche di coordinazione dei due giocatori come oscillatori; uno in fase (dove i giocatori si muovevano nella stessa direzione) e l'altro anti-fase (dove i giocatori si muovevano in direzioni opposte), dimostrando che i movimenti dei giocatori erano accoppiati tra loro e dipendevano dal/dai colpo/i giocato/i nello scambio. 
Gli autori hanno ipotizzato che questa sincronizzazione tra giocatori rappresentasse la stabilizzazione nel sistema dinamico, con spostamenti tra in-fase e anti-fase pensati per riflettere l'evoluzione geometrica della relazione tra i giocatori durante lo scambio. 
Quindi, teoricamente, lo spostamento dei due giocatori può essere analizzato come un sistema formato da due oscillatori non lineari accoppiati.
Chiaramente, i risultati di Palut e Zanone suggeriscono che i giocatori di tennis impiegano strategie di movimento che consentono loro di mantenere un certo grado di stabilità durante gli scambi. 
La teoria degli angoli potrebbe essere messa in discussione anche da ipotesi alternative. 
Infatti, i giocatori esperti potrebbero tendere a muoversi verso una posizione laterale che riflette la tendenza centrale della distribuzione dei colpi precedenti effettuati dai propri avversari dall'area del campo da cui stanno per colpire la palla. 
Questa strategia significherebbe che il posizionamento del giocatore è determinato dalla traiettoria media dei colpi precedenti effettuati dai propri avversari. Quindi, supponendo che gli avversari agissero in modo coerente con le loro azioni precedenti, questa strategia di posizionarsi sulla media o sulla mediana delle traiettorie, che originano da un'area specifica del campo, potrebbe essere concettualizzata come anticipazione di ciò che l'avversario probabilmente farà. 
Va notato che questa strategia sarebbe meno impegnativa fisicamente rispetto alla strategia geometrica proposta da Cochet perché minimizzerebbe l'ampiezza delle azioni necessarie per raggiungere ogni colpo. 
Questo tipo di strategia basata sui valori centrali della distribuzione dei tiri sarebbe compatibile con la ricerca che dimostra la capacità degli esperti di raccogliere e integrare informazioni probabilistiche quando giudicano l'esito di eventi imminenti.
L'obiettivo dello studio è quindi quello di testare le due proposte di come gli atleti esperti si posizionano spazialmente per anticipare cosa può fare o probabilmente farà l'avversario: 
- la teoria degli angoli, che corrisponde a una strategia geometrica
- una strategia probabilistica che corrisponderebbe ai valori centrali della precedente distribuzione dei colpi degli avversari

Per ciò che riguarda la matematica applicata dai giocatori per valutare strategie, tracciare e prevedere le traiettorie delle palline o analizzare probabilità lascio alla curiosità dei lettori altre significative considerazioni su queste ricerche (link nelle note) e mi soffermo su altri aspetti che ben evidenziano lo stretto legame tra tennis e matematica, vale a dire come la matematica venga utilizzata nel punteggio, per classificare i giocatori o pianificare i tornei, per elaborare modelli statistici.

La matematica del punteggio 

Passando all'analisi del gioco in sé, forse la caratteristica più sorprendente del tennis è il suo sistema di punteggio unico. 
Si scopre che non è solo di sapore bizzarro ma che la divisione di una partita in punti, giochi e set ha un impatto sui risultati finali in modi inaspettati.
Intanto vediamone la storia!
Perché 15, 30, 40? 
Ci sono diverse leggende dietro la storia della numerazione dei punti tennistici, addirittura risalenti al Medioevo, molto prima del torneo di Wimbledon del 1877, il più antico evento nello sport del tennis. 
Le origini dei punteggi 15, 30 e 40 pare infatti siano francesi medievali. 
Il primo riferimento è in un testo di Carlo di Valois-Orleans del 1435 che fa riferimento al "quarante cinq" ("quarantacinque"), da cui deriva il moderno 40. 
Anche se le prime teorie registrate sull'origine furono pubblicate nel 1555 e nel 1579, tuttavia le origini di questa convenzione rimangono oscure. 



Si direbbe che il conteggio sia basato su un orologio analogico e il percorso completo da zero a 60 rappresenti l'intera durata di un'ora. 
Le lancette si muovono in senso orario: il primo punto guadagna 15, il secondo 30, il terzo 45 e quando la lancetta arriva a 60, il gioco finisce. 
Quindi un punto corrisponde a un quarto di giro delle lancette, ma perché 45 diventa 40?
Tuttavia, al fine di garantire che il gioco non possa essere vinto con la differenza di un solo punto, viene introdotta l'idea del deuce (pareggio) e il punteggio di 45 è modificato in 40 per fare sì che il punteggio rimanga all'interno dell'orologio. 
Pertanto, se entrambi i giocatori arrivano a 40, il primo giocatore a segnare ne riceve solamente 10, e questo porta l'orologio a 50 (quello che si definice ora AD, vantaggio). Se il giocatore segna una seconda volta prima che l'avversario sia in grado di segnare, ne vengono assegnati altri dieci e l'orologio passa a 60, indicando la fine del gioco. Tuttavia, se un giocatore non riesce a segnare due volte di seguito, l'orologio torna indietro a 40 per stabilire un altro deuce.
Sebbene questo suggerimento possa sembrare attraente, il primo riferimento al punteggio del tennis (come menzionato sopra) è nel XV secolo, e in quel momento gli orologi misuravano solo le ore (da 1 a 12). Quindi il concetto di punteggi di tennis originati dal quadrante dell'orologio non può venire dal Medioevo, ma eventualmente in epoca più tarda.
Un'altra teoria è che la nomenclatura del punteggio provenga invece dal gioco francese "jeu de paume", un gioco precursore del tennis che utilizzava dapprima la mano nuda o con guanto di pelle, in seguito una racchetta, nato in Francia nel XIII secolo.
 

Una partita di "jeu de paume" del 1772

Il campo tradizionale misurava 90 piedi (pieds du roi) di lunghezza, con 45 piedi su ogni lato, e quando il battitore segnava un punto si spostava in avanti di 15 piedi, poi ancora 15, arrivando a 30 e poi gli ultimi 10, per non essere troppo vicino alla rete, guadagnando così 40 piedi. Questo conteggio dei posizionamenti potrebbe quindi aver ispirato il modo di contare i punti (15, 30, 40 e gioco) utilizzato nel tennis, quando il maggiore gallese Walter Wingfield Clopton, il 23 febbraio 1874, pubblicò un brevetto conosciuto col nome di "A Portable Court of Playing Tennis" che stabiliva le regole della nuova disciplina. 
Il brevetto ufficiale del gioco è esposto al Museo dell'International Tennis Hall of Fame, insieme a una delle divise di Wingfield,

Quindi una delle caratteristiche principali del sistema di punteggio del tennis è che, a differenza di altri sport, non tutti i punti influiscono in ultima analisi sull'esito della partita. 
Ma vediamo come funziona.
Consideriamo uno dei games della partita tra Jannik e Carlos in cui Jannik sta servendo e vince i primi 3 punti, quindi a quel punto il punteggio è 40-0.
Se Jannik vince il punto successivo, si aggiudica il game per 1-0.
Ma supponiamo che Carlos in quel game sia riuscito a segnare i successivi 2 punti...il punteggio sarebbe di 40-30. Se Jannik vince quindi il punto successivo, vince il game e il punteggio complessivo per la partita è di nuovo di 1-0. 
Quindi lo stesso risultato si verifica entrambe le volte, indipendentemente dal fatto che Carlos abbia vinto o meno i suoi due punti. I due punti di Carlos sono stati effettivamente cancellati una volta che Jannik ha vinto il game e non hanno alcuna influenza sul risultato finale della partita.
Ciò può portare a strane situazioni in cui i giocatori possono vincere più punti dei loro avversari, o persino più set, e tuttavia perdere la partita! 
Questo sorprendente risultato è strettamente correlato a un fenomeno nelle statistiche chiamato "Paradosso di Simpson", in cui l'analisi dei dati in modo più dettagliato può portare a conclusioni diverse rispetto all'analisi dei dati su larga scala. 
Quanto spesso ciò accade effettivamente nelle partite di tennis professionistiche? 
Uno studio del 2013 si era prefissato di rispondere a questa domanda analizzando 61.000 partite di tennis professionistiche in un arco di tempo di 21 anni, e ha scoperto che circa il 4,5% delle partite è stato vinto dai giocatori con meno punti complessivi (quindi circa 1 partita su 22).
Le partite in cui il giocatore perdente vince più game (invece dei punti) sono più rare, ma comunque possibili. 
Nella partita finale del Wimbledon Championship del 2009, il giocatore svizzero Roger Federer ha sconfitto il giocatore americano Andy Roddick, nonostante Federer abbia vinto 38 game contro i 39 di Roddick, e il punteggio finale sia stato 5-7, 7-6, 7-6, 3-6, 16-14.
Uno degli esempi più famosi di questo fenomeno si è verificato nel primo turno di Wimbledon nel 2010, quando il giocatore statunitense John Isner ha sconfitto il giocatore francese Nicolas Mahut, nonostante Isner abbia vinto meno punti in totale (Isner ha vinto 478 punti e Mahut ne ha vinti 502). 
Il punteggio finale della partita è stato 6-4, 3-6, 6-7, 7-6, 70-68 (allora non c'era tie-break nel quinto set a Wimbledon) e questa partita detiene anche il record per la partita di tennis più lunga della storia: 11 ore e 5 minuti distribuiti in 3 giorni, con il solo quinto set della durata di otto ore e 11 minuti. 
Una targa commemorativa, al campo 18 di Wimbledon, ricorda questo quasi surreale incontro.


Targa commemorativa sul campo 18 di Wimbledon, che celebra la partita 
di tennis più lunga della storia, tra John Isner e Nicolas Mahut

Ci si chiede "Perché non passare a un sistema di punteggio più semplice in cui conti solo il numero totale di punti?"
Questo tipo di punteggio compare già nel tie break, in cui i punti vengono contati usando la numerazione ordinaria e il set viene vinto dal giocatore che ha segnato almeno sette punti e almeno due punti in più rispetto al proprio avversario. 
Tradizione e sapore eccentrico a parte, si scopre che lo stesso meccanismo che consente ai giocatori di vincere con meno punti può anche dare ai giocatori, costantemente migliori, una maggiore possibilità di vincere la partita.

La matematica del ranking ATP

L'ATP (Association of Tennis Professionals) nacque come sindacato maschile nel 1972, grazie agli sforzi congiunti di Jack Kramer, Cliff Drysdale e Donald Dell, e raggiunse la notorietà quando 81 dei suoi membri boicottarono il campionato di Wimbledon del 1973, tra cui il campione in carica Stan Smith, per protestare contro la sospensione di Nikola Pilić e ben dodici delle 16 teste di serie maschili si ritirarono. 
Solo due mesi dopo, in agosto, l'ATP introdusse il suo sistema di classificazione destinato a oggettivare i criteri di ammissione ai tornei, che fino a quel momento erano controllati dalle federazioni nazionali e dai direttori dei tornei, ed il primo ranking a foglio traforato uscì dalla bocca della stampatrice del computer "Blinky" con un elenco di 185 giocatori, il 23 agosto 1973, grazie alla Trw di Simon Ramo.


Il primo ranking a foglio traforato uscìto dalla bocca della stampatrice di Blinky
 con un elenco di 185 giocatori, il 23 agosto 1973


I criteri originali della classifica ATP, che furono pubblicati regolarmente e settimanalmente solo dalla metà del 1979 e persistettero fino agli anni '80, si basavano sulla media dei risultati di ogni giocatore, sebbene i dettagli furono rivisti più volte. 
A partire dal 1990, in concomitanza con l'espansione della competenza ATP come nuovo tour operator maschile, i criteri di classifica furono sostituiti con un sistema "best of" modellato sullo sci alpino competitivo. 
Questo sistema "best of" originariamente utilizzava 14 eventi, ma è stato ampliato a 18 nel 2000, mentre nel 2021 diventarono 19, ai quali per il singolare furono aggiunte le ATP Finals. 
Al contrario di quanto accadeva in precedenza, dal 2016 la Coppa Davis non garantisce punti per il ranking ATP, inoltre i punti per il ranking ATP alle Olimpiadi furono assegnati per la prima volta ai Giochi di Sydney 2000, usanza che fu mantenuta nelle tre successive edizioni e soppressa a partire dai Giochi di Rio de Janeiro sempre dal 2016. 
Dall'introduzione della classifica ATP, il metodo utilizzato per calcolare i punti di classifica di un giocatore è cambiato più volte e l'ultima revisione importante del sistema di punti è stata nel 2009.
Secondo l'ATP Rulebook del 2024, le classifiche dei tennisti di vertice in singolare e in doppio si basano sul totale dei punti accumulati nei seguenti 19 tornei (più le eventuali ATP Finals in singolare):
- Quattro tornei del Grande Slam
- Otto tornei Masters 1000 con obbligo di partecipazione per i tennisti in singolare ai quali è consentito l'accesso in base al proprio ranking. L'unico Masters 1000 in cui non c'è obbligo di partecipazione è quello di Montecarlo.
- I migliori risultati ottenuti in altri sette tornei tra i quali il Masters di Montecarlo, gli ATP 500, la United Cup, gli ATP 250, i tornei Challenger e ITF Men's World Tennis Tour giocati nelle ultime 52 settimane.
- Il punteggio accumulato nelle ATP Finals rimane nel conteggio fino al lunedì che segue l'ultimo torneo della stagione successiva.
I tennisti in singolare hanno obbligo di partecipazione ai tornei degli Slam e a 8 Masters 1000 obbligatori se sono nella entrylist di questi tornei; nel caso non vi partecipino senza validi motivi, come per esempio un infortunio, subiscono sanzioni. 
Ma come vengono calcolati i punti di classifica?
La classifica ATP non riparte da zero, all'inizio di una nuova stagione, come è ad esempio per il campionato di calcio, ma è un sistema basato sui risultati delle ultime 52 settimane e i tennisti ogni settimana scartano i punti della stagione precedente.
Ciò significa che i punti che i tennisti hanno conquistato a un torneo 2023 scadono nel 2024. 
Per fare un esempio semplice, Novak Djokovic che vinse il torneo Paris Master di Bercy nel 2023 e ottenne 1000 punti, quest'anno li ha persi tutti e, non partecipando come dichiarato, non otterrà nessun punto, mentre Jannik Sinner, pur avendo anche lui rinunciato, dovrà scartarne solo 50 (ottenuti per ritiro al terzo turno nello corso anno).
Vengono quindi selezionati i migliori risultati di ogni giocatore nei tornei delle ultime 52 settimane (anche se alcuni tornei importanti, come i quattro tornei del Grande Slam, devono essere inclusi nel calcolo) e i punti vengono assegnati per ogni torneo in base al tipo di torneo, a quanto il giocatore è avanzato prima di essere eliminato, o in base al bye, al walkover o alla wild card (vedi "Glossario del tennis").
Con le regole attuali, un giocatore che nel corso delle 52 settimane si aggiudicasse i quattro tornei del Grande Slam, tutti gli incontri delle Finals ATP, i nove Masters 1000, cinque ATP 500 e i punti massimi disponibili nella United Cup accumulerebbe 21.500 punti, il massimo consentito. 
Il record appartiene a Novak Đjoković, che il 6 giugno 2016 raggiunse 16.950 punti e che il 9 giugno del 2024 ha stabilito il record di 428 settimane in cima alla classifica ATP.

Una volta che i giocatori sono classificati, le teste di serie del tabellone di un torneo slam, per esempio, possono essere semplicemente rilevate dai primi 32 partecipanti in ordine di classifica ATP, così come vengono determinati i tornei Australian Open, French Open e US Open, mentre Wimbledon sceglie di fare le cose in modo leggermente diverso. Invece di usare solo i punti della classifica ATP, usano i propri punti modificati e calcolati con la seguente formula: 


  • ATP è il totale dei punti ATP accumulati dal giocatore fino al lunedì prima dell'inizio del torneo
  • all è il numero totale di punti guadagnati per tutti i tornei su erba negli ultimi 12 mesi
  • best è il numero di punti assegnati al giocatore per la migliore prestazione in un torneo su erba nei 12 mesi precedenti
Va da sé che i giocatori per decidere la loro presenza ai tornei devono progettare un piano di partecipazione non solo in base alle proprie condizioni fisiche ma anche in relazione agli eventuali punteggi da scartare o aggiungere analizzando i risultati probabili nelle fasi future del torneo.

Probabilità e statistica 

Un tennista ad alto livello analizza insieme al suo staff la probabilità di vincita, studiando i colpi degli eventuali avversari in diverse partite e su diverse superfici di gioco, in base anche ai dati disponibili dal Match Charting Project gestito da Jeff Sackman, che mette a disposizione dati che riguardano partite dal 1970 al 2024 e che contengono risultati colpo per colpo che coinvolgono innumerevoli tennisti.
Questo set di dati pubblico fornisce informazioni sul tipo e la direzione del tiro, la profondità dei ritorni, i tipi di errori e altro ancora.


Posizione delle telecamere "Hawk eye"

Altro supporto per analizzare e prevedere tecniche di gioco è quello offerto dal "Hawk eye", l'occhio di falco, un sistema di tecnologia avanzata basato su telecamere ad alta velocità e un software sofisticato, ideato da Paul Hawkins fondatore della Hawk-Eye Innovations Ltd.
Oltre ad evitare errori arbitrali, analizzando la traiettoria della palla durante il gioco e determinando con precisione se questa sia dentro o fuori dopo ogni colpo, viene utilizzato anche per analizzare le traiettorie dei colpi dei giocatori, a mo' di moviola, e quindi poterne comprendere bene le caratteristiche e le scelte in vari momenti dell'incontro.  
Le telecamere, posizionate in modo da coprire tutto il campo, riescono a tracciare il movimento della pallina a 340 fotogrammi al secondo e a trasmetterlo a un computer.  I video registrati vengono sincronizzati e quindi analizzati per individuare e monitorare in tempo reale le posizioni, i movimenti dei giocatori, le traiettorie delle palline e fornire così altri dati utili all'analisi degli incontri e determinare un'eventuale probabilità di vincita o perdita. 
L’analisi di variabili, come la percentuale di punti vinti al servizio o il numero di break point convertiti, consente di individuare i punti di forza o di debolezza di un
giocatore e, soprattutto, di identificare i momenti cruciali dell’incontro, adattandosi al contesto dell’avversario e quindi permettendo una preparazione psicologica e fisica mirata a fronteggiare tali momenti.
L’analisi statistica e matematica applicata al tennis, e allo sport in generale, è in costante evoluzione e questa evoluzione apre la strada a una comprensione ancora più profonda del gioco stesso, mostrando come i modelli statistici impiegati nel tennis presentino un potenziale notevole nel plasmare le strategie di gioco e le metodologie di allenamento, in particolare quando riescono a rivelare le dinamiche di gioco più influenti nel determinare l’esito di una partita.
Vanno altresì valutati modelli statistici che considerino anche la scelta della superficie del campo da tennis, che gioca un ruolo cruciale nello sviluppo delle tattiche e degli stili di gioco dei tennisti, perché ogni tipo di superficie presenta sfide uniche, richiedendo adattamenti specifici e abilità particolari da parte dei giocatori per ottenere prestazioni ottimali. 




I matematici usano le "catene di Markov" per analizzare qualsiasi sistema che si muova da uno stato all'altro con certe probabilità. 
Nel suo libro, "Game, Set and Math" già del 1989, il matematico britannico Ian Stewart aveva usato la matematica delle "catene di Markov" per analizzare un modello di partita di tennis, scoprendo che se un giocatore ha probabilità p di vincere un dato punto (il che significa che il suo avversario ha probabilità 1−p di vincere quel dato punto), allora la probabilità che quel giocatore vincesse una data partita non era p. Invece, era data dalla formula: 



Se p=50% e quindi entrambi i giocatori hanno la stessa probabilità di vincere un punto, allora la probabilità che uno dei due giocatori vinca la partita è anch'essa 50%, come previsto. Tuttavia, il grafico di questa funzione ha una forma interessante, detta "logistica", e mostra che se la probabilità di vincere un punto differisce dal 50% anche solo di poco, la probabilità di vincere una partita cambia di molto. 
Se la probabilità che un giocatore vinca un punto sale al 60%, la probabilità di vincere la partita balza fino a oltre il 73%. 
Una probabilità del 70% di vincere un punto si traduce in una probabilità del 90% di vincere la partita.



Va certo notato che questo modello è solo un modello semplice e che, in particolare, l'analisi delle partite di tennis professionistiche mostra che le probabilità che ogni giocatore vinca un dato punto non rimangono le stesse per tutta la partita, ma cambiano in base ai risultati dei punti precedenti. 
Tuttavia, è utile notare che il sistema di punteggio del tennis premia i giocatori che riescono a mantenere un vantaggio costante sui loro avversari, anche se il vantaggio è solo piccolo.
Stewart ha anche trovato altre formule che collegano la probabilità di vincere ogni singolo punto alle probabilità di vincere set e partita e l'effetto è amplificato man mano che passiamo dai giochi, ai set alle partite.

Ci sarebbero tanti altri argomenti da affrontare per spiegare quanto stretto sia il legame tra la Matematica e il Tennis.
I matematici hanno prodotto molte ricerche e articoli sul tennis, e questo rimane un campo di ricerca attivo soprattutto oggi, dove la tecnologia offre sempre più possibilità di analisi. 
Si sta continuando a scoprire sempre di più sugli effetti del sistema di punteggio e su come potrebbe essere reso più equo, sulle migliori strategie che i giocatori possono adottare, sull'impatto del vantaggio del campo a seconda del tipo di superficie e su molti altri argomenti. 
Il gioco del tennis inoltre cambia continuamente man mano che vengono introdotte nuove tecnologie, tecnologie che forniranno anche la possibilità di compilazione di ulteriori modelli statistici, consentendo di scoprire nuove tendenze e di migliorare la previsione dei risultati.

Gli aspetti che ho considerato in questo articolo sono solo alcuni spunti di correlazione tra la Matematica e il Tennis.
 


Note

¹Ricerca "Henri Cochet's theory of angles in tennis (1933) reveals a new facet of anticipation" di Nicolas Benguigui, François Rioult, François Kauffmann, Matt Miller-Dicks & Colm P. Murphy. ("La teoria degli angoli nel tennis di Henri Cochet (1933) rivela una nuova sfaccettatura dell'anticipazione")
https://doi.org/10.1038/s41598-024-53136-7

²Ricerca "A dynamical analysis of tennis: Concepts and data" di Yannick Palut e Pier Giorgio Zanone
https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/02640410400021682