lunedì 2 novembre 2015

Mafalda e il paradosso dello zero

Leggendo un interessante scritto di Bruno D’Amore (Dipartimento di Matematica, Università di Bologna) "Lo zero, da ostacolo epistemologico ad ostacolo didattico" mi sono imbattuta in questo curioso dialogo, durante il gioco "Io dico un numero… Tu a che cosa pensi?", tra un Ricercatore (R) e Mafalda (M nome di fantasia di una bimba di 4 anni):





R: Numero quattro.
M: Io ho quattro anni.
R: Numero cinque.
M: Non lo so… però anche cinque caramelle.
R: Numero due.
M: I piedi che ho.
R: Numero dieci.
M: (allegrissima, mostrando le mani aperte) Le dita delle mani.
R: Numero uno.
M:  (dapprima pensierosa, poi si tocca il naso) Il mio naso.
R: Numero sei.
M: I colori.
R: Numero otto.
M: Otto signori.
R: Numero zero.
M: I bambini qui. Ci sono io e poi zero.
R: Che vuol dire zero?
M: Che non c’è niente. Vedi? (Mostra le due mani chiuse a pugno) Non c’è
niente.
R: Tu sai come si scrive il numero dieci?
M: Sì. Con uno zero e un uno. (Con le dita finge di scrivere per aria zero e
uno).
R: Allora zero vuol dire nulla?
M: No, zero vuol dire tanto.
R: Ma come, avevi detto che zero vuol dire niente, adesso vuol dire tanto?
M: No, non capisci… Zero vuol dire niente, ma vuol dire tanto. Se tu mi dai
zero caramelle mi viene una panciona grande grande.
R: Ma come, non capisco. Come fa zero a voler dire tanto?
M: Quando tu dici dieci c’è zero che vuol dire tanto. Sì, vuol dire tanto quello
zero.
R: Allora cento vuol dire tanto tanto?
M: No, non lo so cosa vuol dire quella parola.
R: Cento vuol dire un numero che si scrive con uno e poi zero e poi ancora un
altro zero. Allora è tanto o è poco?
M: Io non lo sapevo. Allora cento è più di dieci e allora zero vuol dire tanto
tanto.
R: E mille?
M: Come si scrive?
R: Con uno e poi zero zero zero. Qui come funziona?
M: Che allora zero vuol dire tanto tanto tanto perché è più più più di dieci.



Mafalda e lo "zero" - immagini tratte da 

Questa conversazione dimostra sorprendentemente non solo l'uso spontaneo dello zero da parte dei bambini fra i 3 ed i 6 anni  ma soprattutto appare molto evidente la doppia natura dello zero percepita da Mafalda, sia come cardinale del vuoto, del nulla, sia come cifra per accrescere i numeri.
E dimostra soprattutto come le due concezioni siano entrambe presenti, distinte e palesi e come Mafalda mostri grande destrezza nel maneggiare questi due aspetti, facendo una distinzione esplicita tra essi.
E' evidente che ci sia una totale consapevolezza dello zero come cardinale e come cifra, prima dell’ingresso nella scuola primaria.
Da altre conversazioni proposte si evidenzia che, anche se non tutti i bambini intervistati sanno scrivere i numerali da 1 a 9, quasi tutti sanno scrivere zero, per lo meno sanno che zero si rappresenta con “un tondo”. 
Nel rappresentarlo, però, è totale l’uso della forma oblunga corretta e non è affatto diffusa una forma rotonda a mo’ di circonferenza .
La maggior parte dei bambini sa associare lo zero a “niente”, inteso alle volte come assenza di azione o di oggetti ("Non si fa niente, zero", "Zero anatroccoli", "Zero soldi"....). 
Interessante, a questo proposito l’espressione di un bambino che, giocando a fare le somme, al momento di dare risposta alla 5 + 0 dice 5 e mostra una mano con tutte le 5 dita distese e l’altra mano con le dita a pugno per indicare zero.
Quasi tutti i bambini considerano lo zero un numero e molti, riferendosi alla scrittura dei numeri, dicono che lo zero serve per scrivere i numeri.
La quasi totalità degli intervistati dimostra di riconoscere lo zero in un numero scritto e mostra di saper scrivere numeri con lo zero.
Quasi tutti hanno mostrato di intuire il valore posizionale dello zero nella scrittura dei numeri.
Un certo numero di bambini dimostra di essere consapevole delle proprie capacità ("Io so come si fa", "Io so come si scrive"....).

A conclusione di queste osservazioni mi sorge spontanea una domanda: "Ma come è possibile che una bambina di 4 anni riesca così bene a percepire la doppia natura dello zero, sia come cardinale del vuoto, del nulla, sia come cifra per accrescere i numeri?"
Come è possibile vista l'idea della complessità dello "zero", data anche dal fatto che, come segno matematico, entrò con difficoltà nella cultura europea e che proprio questo doppio aspetto ha permesso allo zero di servire come luogo d’ambiguità fra un carattere vuoto e un carattere per il vuoto.
Lo zero rappresenta infatti la non presenza dei numeri 1,2, ...,9 e contemporaneamente produce l'intera progressione potenzialmente infinita degli interi.
Ma tornando ai bambini, sorprende ancora di più questa loro consapevolezza "naturale" dello zero riflettendo anche sul fatto che se per loro e per Mafalda è una vera e propria cifra, nel sistema babilonese antico il segno introdotto significava solo “assenza” senza alcuna funzione di numerale. 
Potrebbe sembrare una differenza da poco, ma non lo è e accettare un segno specifico che indica vuoto o nulla o assenza come una vera e propria cifra che indica un segno numerale, può essere considerato un vero atto di coraggio culturale e filosofico. 
Neppure i Greci, i più grandi matematici della storia, concepirono lo zero come numero (anche se non tutti gli storici sono concordi). I loro numeri partivano da due, dato che per essi "il numero era molteplicità" dunque uno non è un numero (e zero meno ancora, non ce n’era neppure l’idea).
Spesso si dice che questo fatto è connesso al terrore filosofico che i Greci ebbero del nulla, del vuoto, dell’assenza, concetto che entrava in forte contrasto con la filosofia parmenidea (l’Essere, unità e totalità, eterno, di cui si può predicare solo che “è”) che dominò il loro pensiero filosofico.
I bambini con la loro immediatezza e spontaneità non si preoccupano di temi filosofici e riescono a percepire concetti matematici che purtroppo poi proseguendo nella scuola vengono distorti o resi di difficile assimilazione.

Il tema del Carnevale della Matematica di novembre, ospitato da MaddMaths,  "I concetti indispensabili della matematica", mi ha fatto ripensare all'importanza dello zero, basilare e indispensabile per introdurre opportunamente l'insegnamento della matematica.
Opportunamente perché lo zero può essere considerato un ostacolo epistemologico.
Come ricordavo lo zero, come entità numerica posizionale, era assente presso tutte le popolazioni antiche, compresi Greci e Romani, ed apparve solo nel VII sec. d. C. in India o meglio in Cambogia, come rivelano recenti scoperte.


Alexander de Villa Dei nel 1240 circa (o 1225) scrive la Canzone dell’Algoritmo (Carmen de Algorismo) 
letta e riletta nei conventi e nelle università da chiunque si occupasse di aritmetrica
Prima significat unum; duo vero secunda;
Tertia significat tria; sic procede sinistre
Donec ad extremam venias, quae cifra vocatur.¹

Se cerchiamo di fare una veloce carrellata storica (maggiori informazioni qui) ci accorgiamo infatti che la prima comparsa dello zero risale all’epoca dei Sumeri, cioè a circa 3 mila anni fa. Era un simbolo della scrittura cuneiforme, formato da due incavi inclinati che indicava l’assenza di un numero.
Un simbolo simile era utilizzato di tanto in tanto anche dagli Egizi, ma soltanto tra altri numeri, mai all’inizio o alla fine di una serie. 
Le antiche civiltà cinesi non avevano uno zero vero e proprio, ma l’uso dell’abaco, il precursore della calcolatrice, fa supporre che comunque fosse noto il concetto di valore nullo. 
I Maya, al contrario, avevano un simbolo, ma non lo utilizzavano nei calcoli. 
Lo sviluppo dello zero in senso moderno va fatto quindi risalire alla cultura Hindu, con uno studio dovuto a Brahmagupta risalente al 628 d.C., anche se il padre dello zero è considerato universalmente il matematico arabo Muhammad ibn Musa al Khwarizmi (800 d.C.) che lo introdusse tra i numeri oggi noti come “arabi”.
Per quel che riguarda l'origine dello zero, usato in senso posizionale, devo però far notare che questa è stata recentemente messa in discussione.


Il tablet Gwalior dimostra che dal 876 d.C. un sistema posizionale con base 10 era diventata parte della cultura popolare in almeno una regione dell'India. 
Ciò che sorprende di questi numeri è che sono così simili a quelli che utilizza la civiltà moderna.

Finora si era creduto che la prima testimonianza dello zero posizionale, datata 876 d.C., fosse custodita in India, nel tempio indù Chatur-bhuja (dio a quattro braccia) della città di Gwalior, a sud di Delhi. 
Pare invece che il primo zero si sia palesato in Cambogia, precisamente del 683. 
A scoprire l’iscrizione K-127, citata da alcuni testi a cavallo tra Ottocento e Novecento ma poi scomparsa nel nulla, è stato il matematico e divulgatore scientifico americano di origine ebraica Amir Aczel, che si è messo sulle tracce di testimonianze sommerse per arrivare nella città di Angkor, l’antica capitale del regno Khmer, nel laboratorio di restauro dove l’Università di Palermo guida un progetto internazionale chiamato Trinacria  (Tr-aining In-ternational A-ction for C-onservation and R-estoration I-conographic A-ssets) che ha consentito di salvare oltre cento opere. 
E tra queste l’iscrizione con il numero d’inventario K-127, originariamente collocata sulla porta del tempio pre-angkoriano di Sambor, vicino al fiume Mekong. Un’iscrizione rituale di 21 righe in lingua Kmher antica che alla quarta riga riporta il numero 605. 



L’iscrizione K-127, originariamente collocata sulla porta del tempio di Sambor, vicino al fiume Mekong

Qualunque sia l'origine, l’uso dello zero rese subito i calcoli più rapidi e precisi, permettendo l’introduzione di regole di calcolo (i cosiddetti algoritmi) che consentivano di eseguire sulla carta operazioni prima possibili solo con l’ausilio dell’abaco. 
Il termine “zero”², che deriva dall’arabo sifr (“nulla”), fu usato per la prima volta in Occidente dal matematico italiano Leonardo Fibonacci nel 1202 e divulgato grazie al suo Liber Abaci, anche se la sua presenza in opere europee dei secoli XIII e XIV fu molto ostacolata e causa di furibonde lotte. 
Una piena accettazione dello zero come vero e proprio numero è tarda e si può forse far risalire al secolo XVI.

Tornando allo "zero" di Mafalda, dal punto di vista didattico non si deve perdere questa cognizione "naturale" dello zero del bambino, questa sua visione di numero “speciale”, ma saperla incanalare in una metodologia di insegnamento che non risulti epistemologicamente di ostacolo alla corretta e logica assimilazione concettuale.
Proprio come dimostrano i più recenti studi psicopedagogici dedicati all'apprendimento (vedi Daniela Lucangeli video), al contrario di quel che dicono gli "apocalittici", prima si comincia e meglio è, ma senza costruzioni formali ed innaturali.
Per una corretta didattica occorre lasciare esprimere in modo spontaneo, informale, ingenuo ogni concetto matematico che il bambino ha già fin da piccolo, senza bloccarlo, anzi, sfruttando proprio le sue competenze ingenue, informali e procedere così, con molta oculatezza didattica, facendo in modo che immagini mentali successive di zero si organizzino fino a diventare modelli stabili corretti al momento opportuno, quando il concetto di zero si sia ben organizzato nella mente e coincida con il risultato cognitivamente atteso.
Proprio come diceva con semplicità e naturalezza Mafalda, ("No, non capisci…Zero vuol dire niente, ma vuol dire tanto") lo zero è il “vuoto” in quanto esistente prima dell’origine ma è anche il “pieno” in quanto capace di portare l’origine stessa al suo completamento nel numero 10. La sua natura è l’essenza del concetto di nulla che comprende in sé l’essenza del concetto di pieno. 
Lo zero è quindi un paradosso: non è vuoto e non è pieno, bensì è l’insieme di tutte e due le cose e niente di entrambe.



Padiglione Zero è chiamata la struttura collocata all’entrata di EXPO 2015.
Zero come origine, inizio. Infatti si tratta di un vero e proprio percorso che attraversa la storia partendo dagli albori, un viaggio alla scoperta dell’uomo.
“Divinus halitus terrae” ossia “Il respiro divino della terra”, questa è la frase posta all’entrata del padiglione progettata dall’architetto Michele De Lucchi e realizzata dall’artista visivo Giancarlo Basili.


Citazioni

Scrive Lao Tse, nel Tao Te King, uno dei grandi libri dell’Antica Cina:
"...lo guardi e non lo vedi lo ascolti e non lo senti ma se lo adoperi è inesauribile....."
Questa è la descrizione del Tao, dell’Assoluto, ma sono parole che ben si adattano alla presentazione dello Zero, del Niente, un numero speciale, che richiede un’attenzione particolare, perché ci porta oltre la Matematica, verso concetti quali il Nulla e l’Infinito.

Un grande poeta indiano, Bihari Lal, alludendo a una donna molto bella, fece un paragone fra il punto e lo zero: 
"Il punto sulla sua fronte accresce la sua bellezza di dieci volte, proprio come un punto zero accresce un numero di dieci volte" 
Era l’inizio della matematica moderna.

Secondo il matematico russo Tobias Dantzig, autore de "Il numero, il linguaggio della scienza":
"....nella storia della cultura, la scoperta dello zero si ergerà sempre come una delle più grandi conquiste individuali del genere umano" 
Un libro che, scriveva Einstein, "è il più interessante sull’evoluzione della matematica che mi sia mai capitato tra le mani".

Un grande storico della matematica moderna, Karl Menninger scrive:
"…che tipo di folle simbolo è questo [lo zero] che significa proprio il nulla? Se è nulla, allora dovrebbe essere nulla e basta. Ma qualche volta è nulla e qualche altra volta è qualcosa… così ora zero diventa qualcosa, qualcosa di incomprensibile ma potente, se pochi “nulla” possono mutare un piccolo numero in uno grandissimo. Chi può capire questo?"

Ian Stewart, scienziato e matematico, invece scrive:
"… Nulla è più interessante del nulla, nulla è più intrigante del nulla e nulla è più importante del nulla. Lo zero è uno degli argomenti preferiti dai matematici, un autentico vaso di Pandora, per curiosità e paradossi…"




Note

¹ Il che significa che zero non è considerato al primo posto nella successione dei numeri naturali, ma è la decima cifra, quella che viene per ultima, dopo il 9.
² Fibonacci tradusse sifr in zephirus. Da questo si ebbe zevero e quindi zero. Anche il termine "cifra" discende da questa stessa parola sifr.





6 commenti:

  1. Complimenti! post molto interessante!
    devo assolutamente recuperare leggendo il resto :)

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  2. Interessante. Mi piacerebbe ripetere l'esperimento.

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  3. Una ottima sintesi sullo zero. Una lettura molto interessante la offre il libro di Robert Kaplan "Zero. Storia di una cifra".

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  4. Buongiorno,

    mi chiedo una cosa: quali sono questi atteggiamenti didattici sbagliati che possono oscurare una nozione che il bambino ha già?

    Cosa può fare esattamente un insegnante per confondere la nozione dello 0?

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    1. Io non sono un'insegnante elementare e quindi credo che, meglio di me, possa chiarire la questione questo documento "Matematica e didattica della matematica"
      Corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria
      http://europa.uniroma3.it/cdlsfp/files/fd0b81c3-618b-4cd0-9b7c-156598ab9939.pdf

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